Jeanne Hébuterne, la pittrice dall’amore febbrile che visse per Amedeo Modigliani come in un capolavoro

by Michela Conoscitore

She is benediction

She is addicted to thee

She is the root connection

She is connecting with he…

Questi sono i versi scritti da una delle rocker più celebri dei nostri tempi, Patti Smith: la canzone si chiama Dancing Barefoot, e Smith l’ha scritta pensando alla vicenda di Jeanne Hébuterne domandandosi, probabilmente, da donna moderna perché una giovane ventenne dei primi del Novecento abbia deciso di mettere fine alla propria vita, dopo la morte del suo uomo.

Jeanne venne al mondo in una famiglia estremamente cattolica. Suo padre, Achille Casimir Hébuterne, era un ateo convertitosi al cristianesimo, amante di Blaise Pascal di cui, alla sera, leggeva sempre qualche pagina a sua moglie e ai figli. La madre di Jeanne, Eudoxie, ormai lo viveva come un rito, senza il quale non sarebbe riuscita a prendere sonno. Quelle letture serali, tuttavia, erano dedicate principalmente a Jeanne e al fratello Andrè, per instillare loro raziocinio. Eppure, di pratico i fratelli Hébuterne avevano ben poco, fin da piccoli scelsero l’arte per esprimersi. Andrè precedette Jeanne, dall’istruzione alle esercitazioni en plen air in Bretagna, rifugio della famiglia Hébuterne. Tempo qualche anno, anche Jeanne volle studiare pittura. Andrè parlò della bravura di Jeanne ai genitori, convincendoli ad iscriverla alla celebre Academie Colarossi di Parigi. Jeanne ne era entusiasta, avrebbe trasformato in lavoro il proprio mondo interiore.

I corsi all’Academie l’appassionarono molto, migliorò in poco tempo appropriandosi di tecniche e prospettive, stava diventando un’artista completa. C’erano altre donne, come lei, che frequentavano i corsi e che divennero sue amiche. Una in particolare, Camille Claudel: le due artiste entrarono particolarmente in sintonia, almeno fin quando Camille non si innamorò di Auguste Rodin, uno dei docenti dell’Academie. Non si sarebbero più incontrate.

Intanto, in Europa scoppiò la Prima Guerra Mondiale, tutto si fermò anche i corsi all’Academie. Andrè partì per il fronte, Jeanne non sopportava l’idea di perderlo in guerra ma non poteva opporsi allo status quo. Il mondo era impazzito, e Jeanne si aggrappò alla sua arte per preservare un minimo di normalità. Anni dopo, i corsi ripresero: era il 1917, Parigi era in fermento, nonostante la guerra fosse ancora in corso. Un’energia nuova agitava il mondo dell’arte parigino, era nata a Montparnasse la cosiddetta Ecòle de Paris, un movimento artistico in cui rientravano le menti più geniali dell’epoca. Soutine, Utrillo, Chagall e poi quel pittore italiano, soprannominato maudit. Un vero bohemienne, come quelli che i genitori di Jeanne criticavano e disprezzavano con una smorfia della bocca, quando li notavano in strada, nei pressi del Quartiere Latino.

Oltre che maledetto, era anche italiano. Il suo nome era Amedeo Modigliani. Dedo, come lo chiamavano gli amici, dipingeva strane composizioni. Quando Jeanne le vide per la prima volta ne fu turbata, ma le piacevano, l’attraevano. Per lei erano visioni di mondi altri, non facevano parte della quotidianità. Modigliani aveva dato vita ad un qualcosa di nuovo, originale che, come gli altri artisti dell’Ecòle de Paris, rompeva ogni schema artistico. Tutto quel che Jeanne aveva studiato fino ad allora, fu spazzato via da quei volti senza pupille. Un giorno del 1916, finalmente lo incontrò proprio all’Academie, dopo averne sentito così tanto parlare. Il suo sguardo la catturò, come un incantesimo, non riuscì più a staccarsi da lui. Il suo corpo, la sua mente, la sua arte, tutto apparteneva ad Amedeo. Jeanne viveva per lui, respirava soltanto perché lui era con lei.

I genitori e Andrè la misero in guardia, dopo aver intravisto nei suoi occhi, solitamente quieti, lampi di elettricità. Jeanne divenne febbrile, agognava solo i momenti da trascorrere con Modì. Inoltre, cominciò a trascurare la sua arte, prendeva il pennello in mano solo quando si dedicava al ritratto di Amedeo. Jeanne aveva deciso che il capolavoro della sua vita sarebbe stato l’amore per lui. A diciannove anni si aspira solo a questo, alla felicità.

Achille ed Eudoxie la ripudiarono. Andrè non potette fare nulla per rabbonirli, furono irremovibili. Nel 1917, la giovane lasciò la casa paterna, e con Amedeo andò a vivere in un freddo monolocale in Rue de la Grande Chaumière, nei pressi dell’Academie Colarossi. Jeanne fece finta di non accorgersi della sua salute inferma, della tubercolosi sempre incombente, non volle notare nemmeno la sua dipendenza dall’alcol e dalle droghe. La pittrice era felice così, quella era la vita per cui era nata. Eppure, le cose non andavano bene, tanto meno con Amedeo. Lui sembrava volesse tenere Jeanne nascosta, e in quella stanza gelida, che era la loro casa, vivevano solo di vino e sardine. I seicento franchi che Leopold Zborowski, mecenate di Amedeo, passava loro ben presto non sarebbero più stati sufficienti, perché Jeanne era incinta.

Proprio in quel periodo, i problemi polmonari di Amedeo peggiorarono, il clima inclemente di Parigi di certo non lo aiutava, così insieme ai coniugi Zborowski la coppia decise di trascorrere qualche mese in Costa Azzurra. L’aria di mare avrebbe fatto bene anche a Jeanne e al suo pancione, mancava poco all’arrivo della bambina. Eudoxie volle andare con loro, notizia che la pittrice non accolse con favore, poiché sapeva dell’antipatia reciproca tra la madre ed Amedeo. Anche perché la salute di Amedeo era troppo malferma, voleva tutelarlo da stress inutile. Però la madre fu irremovibile, così partirono tutti per il mare. Come previsto da Jeanne, Eudoxie si alterava ogni volta che Modì tornava ubriaco dalle sue scorribande notturne. La signora Hébuterne non comprendeva quell’annullarsi immotivato della figlia per un uomo che sembrava la ignorasse e di cui, invece, portava in grembo una figlia. Ma Jeanne continuava a ripetersi che la madre non sapeva niente del loro amore, di quello che provavano l’uno per l’altra, di come se lo dimostravano. Nelle interminabili sedute di posa, quando il pittore livornese la ritraeva in uno dei suoi quadri, diventavano una cosa sola. Quello era il loro amore. Amedeo le disegnava gli occhi, aveva visto nel fondo della sua anima e sapeva di che colore fosse.

Il 29 novembre del 1918 la piccola Jeanne nacque lì, in Costa Azzurra. L’unico compito che la pittrice affidò ad Amedeo fu quello di registrare la bambina all’anagrafe, per riconoscerla. Lui non lo fece. Le spiegò che per la felicità di festeggiare la nascita della piccola, non aveva fatto caso all’ora, intento com’era a girare i bistrot e offrire da bere a tutti alla salute della bimba. Eudoxie rimase zitta, ma Jeanne sapeva che ciò aveva peggiorato irrimediabilmente la fama di Amedeo ai suoi occhi, senza possibilità di ravvedimento. Quando la famiglia tornò a Parigi, Jeanne si recò all’anagrafe e diede alla bimba il suo cognome. Amedeo le promise che ci sarebbe andato presto anche lui, e che si sarebbero sposati. Glielo scrisse anche su un biglietto, a mo’ di giuramento d’onore. Ma anche quella volta era ubriaco fradicio, e al posto di Jeanne, scrisse: “Mi impegno a sposare la signora Jane…”.

Un anno dopo, la coppia veniva vista spesso seduta ad una panchina vicino alla brasserie La Rotonde. Anche col freddo graffiante di Parigi, loro erano sempre lì. La bambina era stata affidata ad una tata calabrese, Jeanne non riusciva a prendersene cura. Amedeo aveva bisogno di lei. A ciò si aggiungevano i creditori, la pigione da pagare e tanta povertà. Questa era la vita degli artisti a Montparnasse. Amedeo non riusciva a vendere nemmeno uno dei suoi quadri, giudicati troppo licenziosi.

Il pittore tornò nuovamente in Costa Azzurra, sperando di vendere qualche sua opera. Jeanne rimase a Parigi con la figlia, la tata e il pancione che cresceva, un altro bambino da Amedeo, la sua gioia più grande. Tuttavia, la pittrice resistette poco a Parigi da sola, voleva raggiungerlo perché mancava poco al suo trentacinquesimo compleanno. La coppia riuscì a festeggiarlo insieme. Ma la felicità durò poco. La salute di Amedeo peggiorò, questa volta in modo preoccupante. La sua condotta bohemienne, lo aveva condannato ad un inesorabile declino. Il 22 gennaio del 1920 alcuni amici del pittore che non li vedevano da giorni, bussarono alla loro porta ma non ottennero risposta. La sfondarono, e li trovarono nel degrado più cupo, stesi sul letto, Jeanne al nono mese di gravidanza che stringeva la piccola a sé e il pittore, incosciente e gravemente malato. Non ci fu nulla da fare, Modigliani morì qualche giorno dopo, il 24 gennaio del 1920.

Jeanne fu affidata a suo padre, quando gli fu riferito che la cameriera dell’albergo, in cui la figlia aveva alloggiato la notte precedente, aveva trovato un coltello nascosto tra le lenzuola. Accompagnata da lui, la donna si recò in ospedale, da Amedeo: quando lo vide immobile, nel letto, prese pienamente coscienza della sua miserevole situazione. Una domanda cominciò ad ossessionarla: perché continuare a vivere senza di lui? Nemmeno le manine di Jeanne che le carezzavano il viso, la distrassero da quell’idea. La sera, quando tornò a dormire a casa dei genitori, il fratello Andrè non volle lasciarla sola, temendo gesti inconsulti. Jeanne sapeva che Andrè non l’avrebbe persa d’occhio, ma prima o poi si sarebbe addormentato. Ne era sicura. E così fu.

Jeanne si gettò dal quinto piano di quell’appartamento signorile, nel V arrondissement: era un’alba fredda quando un operaio la trovò morta, in strada. Andrè fu svegliato dalle sue grida, e si precipitò a raggiungerlo. Un giorno dopo Modì, Jeanne e il secondo figlio di Modigliani morirono sul colpo. La pittrice aveva solo ventidue anni.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.