Lettera a Jeanne Hébuterne, l’artista ventenne che decise di mettere fine alla propria vita per il folle amore per Modì

by Michela Conoscitore

Cara Jeanne,

ti scrivo da un tempo imprecisato. Quel tempo a cui tu hai rinunciato per amore, annullando qualsiasi possibilità di futuro. Voglio dirti che anche se ci divide più di un secolo, i contemporanei non ti hanno dimenticata. Non sei scomparsa nel nulla, come forse avresti voluto, ma anzi la tua vita è vividamente presente nell’immaginario collettivo che, ti meraviglierà saperlo, ha ispirato tanti nel creare partendo da te, quell’essenza di donna lieve ma sicura dei propri sentimenti.

She is benediction

She is addicted to thee

She is the root connection

She is connecting with he…

Questi sono i versi di una canzone dedicata a te da una delle rocker più celebri e all’avanguardia dei nostri tempi, Patti Smith: si chiama Dancing Barefoot, l’ha scritta pensandoti e domandandosi, probabilmente, da donna moderna perché una giovane ventenne, nei primi del Novecento, ha deciso di mettere fine alla propria vita per un uomo. Per noi il tuo gesto è stato estremo, soprattutto ora che le donne hanno guadagnato in consapevolezza e indipendenza. Però penso che tu l’abbia fatto perchè credevi nel tuo sogno, credevi in lui, credevi nella luce degli occhi di tua figlia Jeanne, in cui vedevi riflessi te e Amedeo, belli e trasfigurati dall’amore.

Sono convinta non sia stata arrendevolezza la tua, sei venuta al mondo in una famiglia illuminata. Tuo padre, mi dicono, Achille Casimir Hébuterne era un ateo convertitosi, in seguito, al cristianesimo, amante di Blaise Pascal di cui, alla sera, vi leggeva sempre qualche pagina. Tua madre Eudoxie, ormai, lo viveva come un rito, senza il quale non sarebbe riuscita a prendere sonno. Vostro padre lo faceva principalmente per te e per tuo fratello Andrè, per instillarvi libertà e raziocinio. Eppure, di pratico avevate ben poco voi fratelli Hébuterne, fin da piccoli sceglieste l’arte per esprimervi. Andrè ti precedette, dall’istruzione alle esercitazioni en plen air in Bretagna, vostro rifugio. Tu, però, cara Jeanne non hai fatto fatica a colmare la distanza. Lui parlò della tua bravura ai vostri genitori, e tutti insieme decideste che ti saresti iscritta all’Academie Colarossi di Parigi. Eri entusiasta, avresti trasformato in lavoro il tuo mondo interiore.

Modigliani ritratto da Jeanne

I corsi all’Academie ti appassionarono molto, migliorasti in poco tempo appropriandoti di tecniche e prospettive, stavi diventando un’artista completa. C’erano altre donne come te, che frequentavano i corsi, divennero tue amiche. Una in particolare, Camille Claudel, entraste particolarmente in sintonia almeno fin quando lei non si innamorò di Auguste Rodin, uno dei vostri docenti. Non la vedesti più.

Intanto, scoppiò la Prima Guerra Mondiale, tutto si fermò anche i corsi all’Academie. Andrè partì per il fronte, non sopportavi l’idea di perderlo in guerra ma non potevi opporti. Il mondo era impazzito, e tu ti aggrappasti alla tua arte per preservare un minimo di normalità. Anni dopo i corsi ripresero, tornasti all’Academie: era il 1917, Parigi completamente in fermento, nonostante la guerra fosse ancora in corso. Un’energia nuova agitava il tuo mondo, era nata a Montparnasse la cosiddetta Ecòle de Paris, un movimento artistico in cui rientravano le menti più geniali dell’epoca. Soutine, Utrillo, Chagall e poi quel pittore italiano, soprannominato maudit, un vero bohemienne, quelli che i tuoi genitori criticavano e disprezzavano con una smorfia della bocca, quando li vedevano in strada, nei pressi del Quartiere Latino.

Mo-di-glia-ni, che cognome strano. Tendevi a metterci l’accento sulla I mentre lo scandivi in mente. Strane erano anche le sue composizioni, ma ti piacevano, ti attraevano. Per te erano visioni di mondi altri, non facevano parte della quotidianità. Lui stesso era un alieno, lo vedesti all’Academie quel giorno, per la prima volta dopo averne sentito così tanto parlare. Il suo sguardo ti catturò, come un incantesimo, non riuscivi a distogliere l’attenzione da lui.

Poi non sai cosa successe, non eri più tua, eri sua. Il tuo corpo, la tua mente, la tua arte, tutto apparteneva ad Amedeo. Vivevi per lui, respiravi soltanto perché lui era lì accanto a te. I tuoi genitori e tuo fratello ti misero in guardia, dopo aver intravisto nei tuoi occhi, solitamente quieti, lampi di elettricità. Eri febbrile, agognavi i momenti da trascorrere con Modì. Trascuravi la tua arte, o al massimo ti dedicavi al ritratto di Amedeo. Avevi deciso che il capolavoro della tua vita sarebbe stato l’amore per lui. A diciannove anni si aspira solo a questo, alla felicità.

Modigliani con dedica donata a Jeanne

Achille ed Eudoxie ti ripudiarono. Andrè non potette fare nulla, furono irremovibili. Lasciasti casa tua, e con Amedeo andasti a vivere in un bugigattolo freddo in Rue de la Grande Chaumière, nei pressi dell’Academie Colarossi. Non ti accorgesti di nulla, né della sua salute inferma, con la tubercolosi sempre incombente, né della sua dipendenza dall’alcol. Eri felice così, quella era la vita per cui eri nata. Eppure le cose non andavano bene, tantomeno con Amedeo. Sembrava volesse tenerti nascosta, e in quella stanza gelida che era la vostra casa vivevate solo di vino e sardine. I seicento franchi che Leopold Zborowski, mecenate di Amedeo, vi passava ben presto non sarebbero più stati sufficienti, eri incinta.

I problemi polmonari di Amedeo peggiorarono, il clima inclemente di Parigi di certo non lo aiutava, così insieme ai coniugi Zborowski decideste di trascorrere qualche mese in Costa Azzurra. L’aria di mare avrebbe fatto bene anche a te, mancava poco all’arrivo di Jeanne. Volle venire con voi anche tua madre, notizia che tu non accogliesti bene. E infatti, litigavate ogni volta che Modì tornava ubriaco dalle sue scorribande notturne. Eudoxie non comprendeva quell’annullarti immotivato per un uomo che sembrava ti ignorasse e di cui, invece, portavi in grembo sua figlia. Ma cosa ne sapeva tua madre del vostro amore, di quello che provavate l’uno per l’altra, di come ve lo dimostravate. Nelle interminabili sedute di posa, quando lui ti ritraeva nuovamente in uno dei suoi quadri, diventavate una cosa sola. Quello era il vostro amore. Amedeo ti disegnava gli occhi, aveva visto nel fondo della tua anima e sapeva di che colore fosse: celeste, come la pace che avevi relativamente portato nella sua vita.

Nacque Jeanne, lì in Costa Azzurra. L’unico compito che affidasti ad Amedeo fu quello di registrarla all’anagrafe. Non lo fece. Ti raccontò che per la felicità di festeggiare la nascita della piccola, non fece caso all’ora, intento com’era a girare i bistrot e offrire da bere a tutti alla salute della bimba. Tua madre rimase zitta, ma sapevi che ciò peggiorò irrimediabilmente la fama di Amedeo ai suoi occhi, senza possibilità di ravvedimento. Quando tornaste a Parigi, ci andasti tu all’anagrafe e le detti il tuo cognome. Amedeo ti promise che ci sarebbe andato presto, e che ti avrebbe sposata.

Un anno dopo, eravate lì, seduti ad una panchina vicino alla brasserie La Rotonde. Faceva freddo, la bambina era con la tata calabrese. Voi non riuscivate ad occuparvene, troppo presi dalla vita che vi stava sfuggendo di mano. Creditori, pigione da pagare e povertà. Questa era la vita degli artisti a Montparnasse. Amedeo non riusciva a vendere nemmeno uno dei suoi quadri, giudicati troppo licenziosi. Cara Jeanne, tu persa d’amore non riuscivi a spiegarti perché gli altri non vedevano la bellezza nei dipinti del tuo Amedeo.

Lui, mesi dopo, tornò in Costa Azzurra sperando di vendere qualche quadro. Tu rimanesti a Parigi con Jeanne, la tata e il pancione che cresceva, un altro figlio da Amedeo, la tua gioia più grande. Resistetti poco a Parigi da sola, volevi raggiungerlo per festeggiare insieme il suo trentacinquesimo compleanno. Tuttavia la salute di Amedeo peggiorò, in modo preoccupante e inesorabile, anche nei mesi successivi, un lento declino a cui si era condannato. Il 22 gennaio del 1920 alcuni amici di Amedeo non vi vedevano da giorni, bussarono alla vostra porta non ottenendo risposta. La sfondarono, e vi trovarono nel degrado più cupo, stesi sul letto, tu al nono mese di gravidanza e lui, incosciente e gravemente malato. Non ci fu nulla da fare, Amedeo morì qualche giorno dopo, il 24 gennaio. Tutti lo piansero, ma non comprendevi il perché. Cosa stava succedendo?

Quando lo vedesti immobile nel letto d’ospedale, accompagnata da tuo padre che ti aveva preso in custodia dopo che la cameriera dell’albergo in cui alloggiasti la notte precedente trovò un coltello nascosto tra le lenzuola, prendesti pienamente coscienza della tua miserevole situazione. Chi eri tu, senza di lui? Perché continuare a vivere senza Amedeo? Nemmeno le manine di Jeanne che ti carezzavano il viso ti distrassero da quell’idea. La sera, quando andasti a dormire a casa dei tuoi genitori, tuo fratello Andrè non volle lasciarti da sola. Sapevi che non ti avrebbe perso d’occhio, ma prima o poi si sarebbe addormentato. Ne eri sicura. E così fu.

Era un’alba fredda, apristi la finestra. Il gelo di Parigi entrò in quell’appartamento signorile, al quinto piano di quell’edificio del V arrondissement. Ti sporgesti sulla strada, non c’era nessuno in giro, regnava calma e tranquillità. Guardasti nuovamente giù, notasti qualcuno. Non lo riconoscesti subito, avevi gli occhi velati da lacrime. Te li asciugasti, e ti si riempì il cuore: era Amedeo, ti salutava con la mano e ti sorrideva. Andrè fu svegliato dal rumore sordo del tuo corpo quando colpì l’asfalto. Un giorno dopo Modì, tu e il bambino moriste sul colpo. Era un maschio, e tu avevi solo ventidue anni.

Cara Jeanne, ti basti sapere che da questo tempo imprecisato ricordiamo la donna che sei stata, completa e innamorata.

Autoritratto

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