La salute come “bene comune” nella sfida del rianimatore Felice Spaccavento accanto ad Emiliano. “Fitto persegue il modello della sanità lombarda, messo in ginocchio dal Covid-19”

by Antonella Soccio

Il suo slogan è, con l’hashtag, in scienza e coscienza. Razionalità e cuore, coraggio e analisi. Conosce profondamente il significato delle locuzioni: “a caro prezzo”; “pietre di scarto”; “cittadinanzattiva”; “generazioni”; “osare il futuro”.

Medico rianimatore, coordinatore delle Cure Palliative della Asl Bari, il dottor Felice Spaccavento nei mesi della pandemia e oggi che il virus sta drammaticamente riaffacciandosi è stato ed è con la sua pagina social Io medico una delle voci della sanità nazionale capace di infondere insieme cautela ed ottimismo. Il nostro è un tempo in cui le professionalità tecniche, però, non possono restare, pur nella loro straordinaria efficienza, confinate in un solo ambito. È per questo che l’anestesista si candida alle prossime regionali, accanto al governatore uscente Michele Emiliano, nella lista più radicale, interprete della Puglia migliore vendoliana, per dare rappresentanza a tante realtà territoriali pugliesi, che da anni lavorano, restando a Sud, ma spesso non trovano riconoscimento e apprezzamento.

Noi di bonculture, dopo averlo consultato sul virus, lo abbiamo intervistato su questa sua “nuova” esperienza politica.

Dottor Spaccavento, anzitutto, che fase sta vivendo oggi la Puglia? Dobbiamo preoccuparci?

Come ormai capita dall’inizio della pandemia, quotidianamente, ci soffermiamo sulla lettura dei bollettini epidemiologici diramati dal Ministero della Salute e dalla nostra Regione, da cui, nelle ultime settimane, sta emergendo che il numero dei soggetti positivi al coronavirus sull’intero territorio nazionale è in risalita.

Nonostante l’aumento dei contagi, al momento, resta stabile il numero dei ricoveri in terapia intensiva, anche se fa registrare casi di soggetti giovani. In crescita invece i positivi domiciliati e i contatti degli stessi in quarantena.

I nuovi casi registrati riportano l’abbassamento dell’età media che si aggira intorno ai 40 anni. L’ Rt (indice di contagiosità), in numerose Regioni, è salito oltre 1, tra cui la Puglia.

Nella nostra Regione, la fase che stiamo vivendo è in linea con il resto d’Italia; nelle ultime settimane si viaggia con la media di una decina di contagi al giorno, o poco meno, con picchi anche di 20-23 casi. La curva epidemica, al momento, è una curva tendenzialmente bassa, cioè non ha un vertice importante tale da mettere in crisi gli ospedali, ma sta dando netti segnali di allerta che confermano l’opportunità di mantenere le misure di prevenzione e controllo già adottate e di elevare l’attenzione alla preparazione di interventi in caso di evoluzione in ulteriore peggioramento.

Possiamo dire che questi nuovi casi sono potenziali prodromi di una seconda ondata.

Il nostro sistema sanitario regionale pubblico reggerà una possibile seconda ondata del Covid?

Oggi abbiamo il vantaggio di conoscere il virus e abbiamo imparato, nei mesi scorsi, a gestirlo. Nella prima fase di questa emergenza sanitaria, nella nostra Regione, i grandi ospedali-hub sono stati trasformati in ospedali Covid. Scelta risultata vincente insieme alla sospensione delle attività ordinarie, garantendo comunque tutte le urgenze.

Importante, al fine del contenimento della diffusione del virus, sono state anche le azioni poste in essere da tutti i servizi territoriali ed in particolare dal Dipartimento di Prevenzione che ha avuto il compito, con i Medici di Medicina Generale e i Pediatri di Libera Scelta, di effettuare un grande intervento di sorveglianza sanitaria ed epidemiologica su tutto il territorio.

Attualmente, in Italia, è stato rinnovato lo stato di emergenza, e pertanto il nostro sistema sanitario regionale è chiamato a garantire sia l’attività ordinaria sia la gestione di una potenziale seconda ondata.

Per questo, è stato varato il nuovo piano ospedaliero della Puglia con il potenziamento di 1255 posti letto della rete ospedaliera, raddoppiando la terapia intensiva (+276 posti letto) e semi intensiva (+285 posti letto) oltre alla riorganizzazione dei servizi di emergenza urgenza.

Il riordino ospedaliero è però solo una dell’attività di riprogrammazione, che si integra in un progetto di sanità rivisto anche nella sua componente territoriale e nei servizi di prevenzione, in una logica di rete e di integrazione.

Che idea si è fatto di questa estate fin troppo “leggera” in termini di cautela anti contagio?

Il 7 agosto scorso, la Presidenza del Consiglio ha integrato i precedenti decreti legge, di marzo e maggio, relativi alle misure urgenti per fronteggiare l’emergenza da COVID 19. Il Decreto richiama, tra le tante disposizioni, anche l’obbligo di utilizzare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi al chiuso accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e di mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Ma il richiamo al senso di responsabilità, all’obbligo del distanziamento sociale e ai comportamenti per arginare la diffusione del coronavirus non sta sortendo gli effetti sperati, anzi, nella maggior parte dei casi resta disatteso. Basti guardare video e foto che con leggerezza vengono postati quotidianamente sui social che riprendono incolonnamenti delle arterie stradali verso zone di mare, assembramenti sotto gli ombrelloni o folle di giovani ammassati mentre ballano in discoteca. In questa maniera si rischia una impennata dei casi, come sta avvenendo per la Francia e la Spagna. La movida potrebbe essere uno dei fattori di rischio della seconda ondata. E questo ha spinto il Presidente Emiliano ad emanare un’ulteriore ordinanza per correggere il tiro di una estate fin troppo “leggera”, tanto da disporre l’utilizzo della mascherina anche all’aperto ove non si può garantire la distanza di sicurezza di almeno un metro e ancora di più nelle discoteche.

Negli ultimi giorni si sono verificati anche diversi focolai legati a vacanzieri pugliesi di rientro da luoghi che stanno rivivendo una nuova fase acuta dell’emergenza, come Grecia Malta, Spagna, Croazia, verso i quali prima la Regione Puglia, poi il Ministero della Salute hanno dato disposizioni in merito alla gestione dei rientri.

E che giudizio dà alla pur legittima difesa da parte del Governatore Emiliano dei segmenti economici più caratterizzanti la Puglia, come il turismo e il tempo libero?

ll DPCM del 17 maggio scorso ha dato indicazione alle Regioni di poter procedere alla riapertura di numerose attività economiche e produttive. La Regione Puglia, nel mese di giugno, ha valutato che il basso livello di circolazione del virus e il basso numero di nuovi casi del momento non suggerivano alcun effetto sulla ripresa delle attività produttive tanto meno segnali particolari di allarme che potessero precludere il riavvio di ulteriori settori come quelli del tempo libero e del turismo. Il turismo resta una delle forze trainanti dell’economia pugliese, come dichiarato dal rapporto dell’Osservatorio regionale, con 135.000 addetti (15,4% del totale) direttamente e indirettamente coinvolti nella filiera turistica formata da 52.000 imprese (il 38% del totale). E per questo il turismo è stato legittimamente difeso dal Governatore Emiliano, così come avvenuto per altri ambiti produttivi ed economici per i quali sono stati predisposti protocolli e linee guida mirati, idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nei diversi settori da riavviare.

In questi anni, il centrosinistra ha sicuramente aperto molto al settore privato per la cura degli anziani e della lungodegenza. Crede che serva un cambio di rotta? Alcuni servizi possono tornare ad essere pubblici? O in un Paese che invecchia è inevitabile che la cura in alcuni territori più deboli (penso ai Monti Dauni ma anche a tante aree interne della Murgia e del Barese) sia affidata ai privati? 

Quello della privatizzazione della sanità è un tema ricorrente che, ogni tanto, ritorna al centro dell’attenzione. Il Rapporto OASI ci mostra che, in Italia, negli ultimi dieci anni, la quota di spesa del Servizio sanitario nazionale assorbita dai privati accreditata è stata abbastanza costante e vicina al 19% per poi aumentare improvvisamente e significativamente al 20,3% nel 2018.

Attualmente, come dice il rapporto stesso, il privato accreditato gestisce circa il 32% dei posti letto ospedalieri a livello nazionale. All’interno di questo dato complessivo, il privato accreditato primeggia nel settore della riabilitazione ospedaliera gestendo il 73% di tutti i posti letto di tale disciplina (Basilicata, Marche e Liguria ai primi posti). La percentuale è invece del 52% per quel che riguarda la lungodegenza post acuzie mentre i posti letto per acuti gestiti dal privato accreditato costituiscono il 23,5% del totale. Il privato accreditato, è molto meno presente nel settore dell’emergenza sanitaria dove i ricoveri non sono programmabili. Ma contrariamente a quello che si pensa la crescita più grande del settore privato accreditato non si è registrata negli ospedali ma nelle strutture extra ospedaliere, tra cui gli ambulatori, i laboratori, le strutture residenziali e semiresidenziali, ecc.. Queste strutture erano poco più di un terzo del totale (38,9%) vent’anni fa (nel 1998) ed oggi sono la maggioranza e cioè circa il 57% del complesso di tutte le strutture pubbliche e private italiane. Parliamo di quasi 25.000 strutture che costituiscono fra l’altro l’ampia maggioranza delle strutture residenziali (82,3%) e di quelle semiresidenziali (68,6%).

Per questo, io ritengo che sia necessaria una riflessione organica sul futuro del Sistema Sanitario del nostro paese e quindi anche della nostra Regione. Riflessione che deve tenere conto sia di valutazioni di carattere demografico (invecchiamento della popolazione, aumento medio della speranza di vita, incremento delle patologie cronico- degenerative) sia delle aspettative dei cittadini in termini di qualità del servizio, di tempi di erogazione e di innovazioni scientifiche e tecnologiche.

Qual è lo stato di salute della nostra medicina territoriale secondo il suo osservatorio? 

L’emergenza pandemica, tutt’ora presente, ci ha insegnato che è necessaria l’adozione di nuove policy che abbiano l’obiettivo di rilanciare i servizi socio sanitari territoriali, carenti in alcune regioni, e di garantire una gestione efficace dei processi di integrazione ospedale-territorio. L’assistenza territoriale comprende attività che vanno da prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione di primo livello, di pronto intervento, di educazione sanitaria e medicina preventiva, erogazione di presidi protesici e tanto altro. L’offerta di questi servizi si colloca fuori dagli ospedali per acuti ed interessa strutture ambulatoriali, residenziali e semiresidenziali. L’assistenza territoriale ha valenza preventiva o può rappresentare l’alternativa alla ospedalizzazione per quei bisogni di salute che richiedono un’offerta sanitaria di primo livello in termini di tecnologia e specialistica. Mi spiace però constatare che lo sviluppo dell’assistenza primaria sul territorio è ancora lento e disomogeneo a livello nazionale. Questo è dovuto al retaggio di una cultura sanitaria ospedalocentrica e non fisiologicamente orientata all’integrazione dei servizi sulla persona, pagando il prezzo di uno sviluppo ancora non consolidato di modelli organizzativi e tecnici e della scarsa disponibilità di risorse dedicate al territorio. In Italia si pensa che il modo migliore di essere assistiti è rivolgersi dove ci sono i migliori specialisti e le attrezzature più avanzate (quindi in ospedale) e questo atteggiamento è difficile da cambiare. Negli ultimi decenni è mancata la cultura dell’integrazione dei vari interventi e delle diverse strutture sanitarie in un modello a rete.

Nello scenario attuale, in cui non è più il paziente che ‘‘deve andare verso le strutture’’ ma sono i servizi ‘‘che devono andare verso il paziente’’ occorre individuare ed analizzare i fattori specifici che, nei diversi contesti sociali, economici, istituzionali, determinano l’effettivo cambiamento. La domanda si modifica rapidamente, al contrario l’offerta resta sempre rigida, se erogata da strutture quali ospedali e centri diagnostici. I servizi sul territorio, possono e dovrebbero essere più agili e flessibili adattandosi alle loro esigenze. È sicuramente più difficile pianificare l’assistenza sul territorio portando gli operatori dove c’è il paziente mentre è molto più facile fare il contrario.

Abbiamo bisogno di poter contare non solo sull’ospedale, ma di trovare nel territorio un punto di riferimento affidabile e presente sempre.

Dobbiamo pertanto convincerci che oggi, più che mai, è forte la necessità di un’assistenza personalizzata, con prodotti e percorsi specifici per ciascun paziente, utilizzando anche la tecnologia a disposizione, come la telemedicina.

Mettere cioè al centro il paziente nell’accezione più completa del termine non prescindendo dal bisogno primario di “umanizzare la salute e la sanità”.

Avrà di certo seguito le polemiche che hanno investito l’epidemiologo Lopalco, che fanno un po’ il paio con la vecchia questione dei tecnici da non confondere con i politici. Anche lei è un grande tecnico che ha scelto di oltrepassare il campo. Cosa l’ha spinta ad accettare la sfida?

Di recente, numerose polemiche, spesso in odore di competizione politica, hanno riempito la stampa e i social rispetto alla candidatura del Prof. Lopalco, luminare nel campo della sanità pubblica e per questo nominato, dal Presidente Emiliano, Responsabile del Coordinamento delle emergenze epidemiologiche.

Negli ultimi anni si è sviluppata il cattivo pensare che l’esperienza tecnica, scientifica e operativa, in campi delicati e complessi come la sanità (penso alla sanità perchè è il mio campo, ma il discorso vale per qualunque altro ambito) debba confinarsi negli ambienti in cui nasce e opera, ma che non possa essere messa a disposizione della politica.

Io credo che si debba tornare ad apprezzare e a valorizzare la competenza, in qualunque ambito, a maggior ragione quando si parla di argomenti che impattano direttamente sulla vita e la salute delle persone. Ambiti così delicati da spingere i cittadini a sentirsi più garantiti se la regia e la conduzione è nelle mani di un tecnico competente che sappia studiare la realtà e le relative problematiche, che sappia programmare, gestire e prendere decisioni a volte anche in emergenza.

La competenza tecnica, pertanto, è un valore aggiunto. La politica può essere invece, o forse, per tutti.

Per quanto riguarda la mia scelta, da “tecnico”, di accettare la sfida dell’agone politico, posso dire che, da diversi anni, mi occupo di proporre, di diffondere e rendere operativo un nuovo modo di concepire e di organizzare la sanità sul territorio, mettendo al centro il paziente e superando una concezione esclusivamente ospedalocentrica per potenziare i servizi sanitari sul territorio, arrivando a portare l’ospedale “a casa” del malato, con l’assistenza domiciliare. Ecco, questa diversa concezione della sanità, in grado di promuovere la salute e non solo di intervenire sulla malattia, è stata recepita nella cosiddetta “Carta di Ruvo” che ho promosso e sottoscritto nel 2016, con il Presidente Michele Emiliano, per migliorare e potenziare i servizi sanitari soprattutto nel territorio del nord-barese. Molti obiettivi sono stati raggiunti, penso innanzitutto alla scelta della Regione Puglia, finalmente formalizzata in atti concreti, di realizzare un nuovo ospedale di I livello nel nord-barese che vada a rispondere alle esigenze di un bacino di circa 200.000 abitanti che oggi è privo di strutture all’altezza; ma molti altri devono ancora essere conseguiti (potenziamento della sanità territoriale, della telemedicina, dell’assistenza domiciliare).

La scelta di prendere parte alla prossima competizione elettorale nasce da qui: dalla volontà di dare continuità alle istanze delle quali sono portatore ormai da molti anni e che provengono non solo dal “mio” mondo (fatto di medici, operatori sanitari, infermieri), ma più in generale da tantissimi cittadini che credono in un diverso modo di concepire la sanità come “bene comune” da perseguire con grande dedizione e competenza.

Si è definito un “figlio politico” del compianto assessore Guglielmo Minervini. C’è oggi secondo lei una narrazione della sinistra dell’accoglienza, dell’idea di futuro che si è persa nei meandri del trasformismo che ha caratterizzato parte del governo Emiliano? Cosa occorre recuperare?

Guglielmo, innanzitutto, è stato e continua ad esserlo nel mio pensiero, un mio amico. Mi sono avvicinato alla politica grazie alle entusiasmanti campagne elettorali di cui è stato protagonista sin dagli anni in cui è stato candidato a sindaco di Molfetta. Da lui ho imparato soprattutto una cosa: che la politica o è uno strumento per cambiare la realtà, per migliorarla, per avvicinarla alle speranze e alle aspirazioni di tutti, oppure non ha valore. La politica è un mezzo. Se diventa un fine per assecondare gli interessi di pochi, allora si producono fenomeni di degenerazione come il trasformismo che è un male dei nostri giorni. Non voglio sfuggire però alla domanda: è noto che, in questi anni di governo regionale del centrosinistra, ci sono stati fenomeni che hanno fatto e fanno riflettere, in cui si è assistito al noto e frequente fenomeno del “cambio di casacca” di alcuni esponenti politici. Ma credo che la prima riflessione sia stata proprio del Presidente Emiliano. In queste settimane di campagna elettorale sono in tantissimi a chiederci rassicurazioni che episodi simili non accadano nuovamente e rispetto a questo io mi impegno a rappresentare un argine invalicabile contro le “transumanze politiche”.

Io penso che occorra ricordare sempre l’incitamento proprio dato da Guglielmo: dobbiamo tornare a pensare al “potere” come a un verbo, non come a un sostantivo. “Potere” è un verbo bellissimo perché ci dà la forza di cambiare le cose, mentre l’esercizio del potere (sostantivo), con tutte le sue conseguenze, è quanto di più lontano ci sia dalla buona politica. E’ questa la consapevolezza che dobbiamo recuperare, dopo anni in cui è stata evidentemente un po’ smarrita.

Qual è l’errore da non commettere se non si vuole far avanzare la destra sovranista di Meloni e Salvini? E che sanità e che Puglia erano quelle di Raffaele Fitto?

Innanzitutto il centrosinistra non deve scimmiottare o replicare le parole d’ordine della destra, perché tra una copia sbiadita e l’originale, i cittadini sceglieranno sempre l’originale. Il centrosinistra negli ultimi anni ha provato progressivamente ad attrarre questo fantomatico “voto moderato” utilizzando proposte e programmi tipicamente di destra. E questo è stato un gravissimo errore. Proprio la Puglia, con l’esperienza di Nichi Vendola, ha dimostrato che quando la sinistra recupera la sua radicalità nei valori, nei principi e nelle proposte, è in grado di ottenere risultati inimmaginabili. Non dobbiamo avere paura di dire ad alta voce quello in cui crediamo: la solidarietà nei confronti di ogni essere umano, la giustizia sociale, le pari opportunità, la tutela dell’ambiente, la promozione della sanità pubblica, sono valori di cui dobbiamo essere orgogliosi e che ci devono distinguere nettamente dalla destra sovranista. Solo recuperando la nostra identità, sapremo contrapporci ai tanti Salvini e Meloni che ci sono in giro. Per quanto riguarda Raffaele Fitto, non c’è molto da scoprire. Il suo modello di società e di sanità è stato ben visibile negli anni dal 2000 al 2005 in cui è stato Presidente e tutti ricordano lo smantellamento degli ospedali e la mortificazione dei servizi sanitari territoriali per favorire la sanità privata. Il modello di sanità di Raffaele Fitto è il modello della sanità lombarda, che è stato messo in ginocchio dall’emergenza Covid-19, ed è figlio di una concezione culturale molto pericolosa, dove regna la supremazia dell’io rispetto a quella del “noi”. Penso che la strada sia un’altra, come abbiamo dimostrato negli ultimi quindici anni qui in Puglia, con l’attenzione a una dimensione collettiva, in cui democrazia dal basso e partecipazione sono i pilastri del buon governo. Da soli nessuno di noi ce la può fare, solo insieme possiamo raggiungere obiettivi importanti.

Uno dei grandi temi che un po’ ovunque, in Puglia come in Campania, agita l’elettorato è quello della chiusura dei piccoli ospedali. Le comunità sono molto arrabbiate. Il presidente Emiliano ha fatto molto per riconvertirli, in alcuni casi con successo (l’esempio del Lastaria di Lucera è lampante). Oggi col Covid e con possibili nuovi spillover non servirebbe forse una sanità diffusa? Su cosa si può intervenire secondo lei?

Sono assolutamente d’accordo. La Carta di Ruvo di cui sono stato promotore ormai quattro anni fa (quando l’emergenza coronavirus era inimmaginabile) partiva esattamente da questo presupposto: la salute delle persone si persegue innanzitutto sul territorio, avvicinando i servizi ai cittadini e uscendo da una mentalità ospedalocentrica che porta a considerare i malati solo in termini di numeri, target, interventi, prestazioni. Il modello di sanità che immagino è fondato su ospedali sicuri ed efficienti, in grado di fornire prestazioni di eccellenza, e da una rete di servizi territoriali che sono in grado di gestire la post-acuzie e di farsi carico dei pazienti al di fuori dei nosocomi. Questo è il modello di sanità che immagino e quello che realizzeremo. In questi anni, sono stati mossi i primi passi in questa direzione, ma non c’è dubbio che bisogna procedere con molta più determinazione.

E infine, da medico, che assessore alla Sanità è stato Emiliano in questi 5 anni? C’è chi come Scalfarotto, lo critica aspramente sui livelli essenziali, sulle liste d’attesa e tanto altro.

La scelta di Michele Emiliano di mantenere per sé la delega alla Sanità (che, ricordo, impegna circa l’80% del bilancio regionale) è stata ardua e coraggiosa, perché stiamo parlando di un tema molto delicato che impatta direttamente sulla vita delle persone. A volte nominare un assessore su cui “scaricare” colpe e responsabilità, all’occasione, può venire “comodo”. Emiliano ha scelto invece di assumere a suo carico questa responsabilità ritenendo la salute dei cittadini una priorità assoluta da gestire in prima persona. Non ha fatto mancare però la componente tecnica circondandosi di una squadra preparata ed esperta.

L’operato del Presidente, nella sua veste di Assessore, è stato complessivamente positivo, visto il punto di partenza e il quadro in cui si è mosso. Dopo quindici anni di sacrifici, tagli alla spesa, piani di rientro, blocco delle assunzioni e del turn-over, la Regione ha ripreso ad assumere centinaia di unità tra medici, infermieri, tecnici e Operatori Socio Sanitari, e il miglioramento in termini di Livelli Essenziali è stato certificato da tutte le rilevazioni del Ministero. Quindi la Sanità pugliese, complessivamente, è migliorata in questi anni. E’ chiaro che ci sono molti aspetti su cui occorre ancora intervenire, come ho provato a spiegare prima. Ed è esattamente quello che si vuole fare nei prossimi cinque anni, non dimenticando che il centro di ogni nostro percorso o progetto deve essere il Malato.

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