«L’arsenale farmacologico è limitato, solo il vaccino ridurrà l’aggressività del virus». Un anno di Covid col dottor Livio Tullo

by Antonella Soccio

«Solo un anno. Una distanza infinita. Un intervallo in dissonanza con i decenni passati. Soprattutto per la vita in ospedale, un po’ meno per quella fuori. Camminare per strada e incrociare visi dietro mascherine risulta ancora strano. Per fortuna».

Ad un anno dall’inizio della pandemia le considerazioni del dottor Livio Tullo, anestesista e rianimatore, responsabile della Struttura Semplice di Terapia Intensiva del Policlinico Riuniti di Foggia valicano l’aspetto scientifico del Covid-19.

Diventano umane, professionali, esistenziali.

«L’andamento della curva pandemica è sotto gli occhi di tutti, i mezzi di informazione aggiornano costantemente i dati, con debita differenziazione tra le diverse aree geografiche. L’entità dei contagi, per quanto sembri allentare la morsa in alcune regioni, è ancora di proporzioni imponenti, con profonde trasformazioni introdotte nella organizzazione ospedaliera», spiega il medico da sempre in prima linea a bonculture, cercando di dare un ragguaglio sulla situazione attuale in reparto dopo le nostre chiacchierate dei mesi scorsi.

Garantire la cura e le prestazioni specialistiche per tutte le altre malattie, in una condizione in cui risorse venivano progressivamente reclutate per affrontare le ondate dei pazienti affetti dal Covid-19, è stata la sfida più dura, ammette.

«È stata una sfida non infrequentemente drammatica- sottolinea- in cui il dispendio di energie umane e materiali è stato eccezionale. Voglio ricordare, guardando il fenomeno dalla prospettiva degli operatori del settore, le importanti ripercussioni sull’affaticamento sul piano mentale e fisico, in assenza o forte limitazione della possibilità di trovare svago nella vita esterna. E dunque ogni giorno diventa ineluttabilmente uguale ai precedenti, sospesi in una sorta di trincea quasi senza possibilità di movimento».

Già in condizioni normali i mesi estivi sono troppo fugaci, col Covid ogni ora d’aria d’agosto è risultata una “temporanea tregua”. Dalla repentina impennata dei contagi nei mesi autunnali con ripristino degli spazi e delle strategie finalizzate allo sbarramento difensivo. E dalla dura sollecitazione della tenuta fisica e mentale di medici e infermieri.

Età, patologie pregresse, aggressività della malattia, nel corso dell’anno pandemico i medici hanno saputo differenziare le condizioni date, scrutandone le evoluzioni.

«In Terapia Intensiva abbiamo avuto una riduzione sensibile del numero di pazienti ultraottantenni, che erano invece la categoria decisamente più rappresentata, almeno fino alla diffusione delle vaccinazioni- rimarca il rianimatore coratino- L’età media si è ridotta, con una quota tra i 45 e i 65 anni diventata ormai comune. Resta una malattia la cui prognosi è più severa nelle età più avanzate, e nei pazienti con importanti comorbidità: nelle fasce giovanili abbiamo registrato una mortalità elevatissima a carico dei soggetti obesi, soprattutto nelle forme più severe di eccesso ponderale».

Anche il cosiddetto “uomo della strada”, che si abbevera di talk e interviste ai virologi pop, è consapevole del fallimento farmacologico nei confronti della malattia. Non ci sono cure salvifiche, alcuni farmaci, in particolare gli anticorpi monoclonali, sono apparsi un privilegio per pochi e ricchi adepti.

Il dottor Tullo non smentisce questa sensazione.

«Va detto subito che allo stato attuale l’arsenale farmacologico è alquanto limitato- conferma- Diversi studi hanno testato una serie di presìdi farmacologici (quali per esempio gli anticorpi monoclonali) che, soprattutto se somministrati nelle fasi precoci dell’insorgenza della sintomatologia, sembrano suggerire un effetto favorevole nella prognosi della malattia. Sono studi però i cui risultati non sono univocamente accettati. La malattia d’altronde colpisce soggetti con condizioni preesistenti di salute diversissime, pertanto le indicazioni di tali farmaci difficilmente possono essere estese indifferentemente a tutte le categorie di pazienti. Sicuramente sono migliorate le multiple modalità di supporto delle funzioni vitali, in primis gli ausili tecnologici per il sostegno dell’insufficienza respiratoria, così come la comprensione delle complesse alterazioni coagulative, la sovrapposizione di infezioni da parte di altri microrganismi, la vasculite polmonare e sistemica e così via».

Non va dimenticato il fattore organizzativo, cioè la realizzazione all’interno dell’ospedale di multipli reparti ad intensità di cura incrementale, con marcata interrelazione reciproca, tale da consentire rapidi trasferimenti dei pazienti in base alla loro differente gravità. In tal senso il dottor Tullo è netto. Solo il vaccino potrà farci tornare alla vita che tutti conoscevamo prima di marzo 2020.

«Questa operazione è stata condotta non senza difficoltà anche di ordine strutturale, ma che successivamente ha fornito nuove opportunità di collaborazione clinico-scientifica tra le differenti figure specialistiche, progetti di telemedicina, e rinsaldata collaborazione tra diverse aziende ospedaliere. Ma di fatto l’elemento che al di sopra di ogni altro sembra condizionare una svolta favorevole sia nell’evoluzione della malattia che parzialmente nella contagiosità della stessa, risulta essere il vaccino. La speranza è che questo oltre a ridurre in modo considerevole il numero dei soggetti contagiati, attenui l’evoluzione clinica della malattia, laddove questa dovesse eventualmente svilupparsi. Vediamo ancora un numero enorme di pazienti che sviluppano quadri infiammatori impressionanti, con decorso lungo, irto di complicanze e danni profondi, che ci dicono che in alcun modo si è ridotto il potenziale di aggressività del virus. Per questo la sfida lanciata dalla comunità scientifica e l’imponente stanziamento di finanziamenti sono stati volti ad una lotta contro il tempo nella sintesi di vaccini efficaci, prima della naturale insorgenza di varianti del virus non più responsive. I risultati nel cambio di marcia nella diffusione dei contagi è evidente nei paesi in cui la sincronia tra l’attuazione del piano vaccinale e l’aderenza alle restrizioni è stata realizzata in modo più solerte».

Quali sono le prospettive? Il dottor Tullo, sotto la sua bardatura quotidiana, è fiducioso.

«Le fasi iniziali della pandemia sono state contraddistinte da incertezze che investivano ogni aspetto della malattia, i farmaci da utilizzare, gli esami diagnostici più opportuni, la attendibilità e la predittività dei diversi marcatori biologici circa la prognosi di questa condizione morbosa così proteiforme, in grado di decorrere del tutto asintomatica oppure con esito infausto.

Però sin dalle prime battute, c’è un aspetto che si è rivelato subito molto chiaro: la dinamica e le caratteristiche dei contagi. Le previsioni elaborate dai virologi, dagli epidemiologi circa l’andamento della diffusione e l’entità delle ondate dei contagi raramente hanno sbagliato. L’adozione delle restrizioni congiuntamente all’uso delle mascherine hanno avuto indubbia efficacia nell’ostacolare la diffusione del virus là dove sono state più rigide, ma hanno anche mostrato il loro carattere effimero senza una sincrona somministrazione di vaccini su larga scala, oltre a determinare disastrose conseguenze socio-economiche. Non ci sono motivi per non credere al ruolo decisivo previsto dagli stessi epidemiologi nell’inversione della tendenza dei contagi indotta dal vaccino. La comunità scientifica nutre profonda fiducia nel ruolo cruciale del vaccino, e lancia anche allarmi ben precisi sulla tempistica della copertura della popolazione tutta, sottolineando quanto sia decisivo stringere la finestra temporale delle somministrazioni.

E per chi come noi lavora da più di un anno in prima linea nella gestione di questa tragedia, assume anche un valore simbolico che integra il sistema delle evidenze scientifiche, su cui si radica tutto il nostro operato».

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