Prof Russo: “Depauperando la biodiversità, aumentiamo il rischio zoonotico. Dobbiamo mettere un argine alla crisi ambientale, la vera causa di spillover e pandemie”

by Michela Conoscitore

Quel che abbiamo completamente perso di vista o, chissà, stiamo volutamente ignorando è la causa che ha portato tutto il mondo alla crisi pandemica da Covid-19. Nonostante gli innumerevoli approfondimenti che si sono susseguiti in questi mesi, la sensibilizzazione alla tematica ambientale non ha avuto la centralità che meritava, pur sapendo che tutto ha avuto origine da un comportamento non soltanto sbagliato ma principalmente prevaricante dell’uomo nei confronti del mondo animale e della natura.

La specie umana ora è presa, giustamente, nel seguire l’efficacia dei vaccini e, quindi, continua ad ignorare. Sì, quella ora è l’unica soluzione al problema, ma se si perpetreranno atteggiamenti simili a quelli che hanno portato alla nascita del SARS-CoV-2, allora tutto il mondo scientifico dovrà davvero prepararsi a fronteggiare, in un prossimo futuro, episodi simili al Covid-19 per poter assicurare una cura agli innumerevoli virus che l’uomo contribuirà a stanare dai propri microcosmi naturali.

Per comprendere ulteriormente il concetto di spillover e di come evitarne altri, stilando così una sorta di vademecum, bonculture ha intervistato nuovamente il professor Danilo Russo, ecologo ed etologo, professore associato del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”:

Professor Russo, innanzitutto ricordiamo cos’è uno spillover e quando può verificarsi? Quello all’origine della pandemia da Covid-19 da quali cause e concause è stato provocato?

Per spillover intendiamo il passaggio di un patogeno, ad esempio un virus, da una specie animale alla nostra. Non esistono prove certe relative all’origine epidemiologica di SARS-CoV-2. Sappiamo che virus simili esistono in alcune popolazioni di pipistrelli rinolofidi cinesi, e che questi mammiferi finiscono spesso nel menù degli abitanti locali, tipicamente dopo essere stati catturati in natura e venduti in mercati dove si trovano assieme a molte altre specie, selvatiche o domestiche, in condizioni igieniche che è eufemistico definire precarie. In tali luoghi, la miscela di specie, la macellazione spesso condotta in situ e il contatto tra uomini, animali e loro parti, offrono le condizioni ambientali ideali perché si propaghino dei patogeni. Ribadisco, comunque, che a oggi SARS-CoV-2 non è stato trovato in alcuna specie animale. Il fatto che in una data specie siano stati trovati virus simili indica solo un’origine evolutiva, non epidemiologica: un po’ come dire che la forte similitudine genetica tra uomo e scimpanzè testimonia l’esistenza di un progenitore comune, nulla di più. Purtroppo questo aspetto è stato banalizzato e presentato in modo fuorviante.

Per il Covid, dopo il pipistrello da cui tutto pare abbia avuto inizio, a svolgere questo ruolo era stato indicato il pangolino: perché per far sì che avvenga il salto di specie, il patogeno ha bisogno di un altro organismo ospite?

Per altre zoonosi è successo proprio così. L’ospite intermedio può offrire al virus le condizioni per mutare ed evolvere, oppure anche solo amplificarne il numero. Specie domestiche come il maiale suscitano preoccupazione proprio per questa capacità di amplificazione. Nel caso di SARS-CoV-2, non esistono evidenze conclusive in merito all’esistenza di un percorso di questo tipo, né relativamente a quali specie animali esso abbia coinvolto.

In natura, oltre ai pipistrelli, quali sono gli animali più predisposti ad uno spillover? Oppure, assolvendo il mondo animale, è dall’uomo che tutto ha origine?

Non sono i pipistrelli, né lo sono le altre specie, a essere predisposte allo spillover. La causa siamo noi. Deforestiamo, penetriamo con insediamenti umani all’interno di aree naturali un tempo vergini, degradiamo gli habitat naturali spingendo le specie animali ad approssimarsi innaturalmente all’uomo, spesso con densità che in condizioni ambientali ben conservate non si verificherebbero, cacciamo e vendiamo animali e loro parti. È il nostro comportamento a creare una nuova interfaccia uomo-animale aprendo la porta ai potenziali spillover. I pipistrelli sono stati sbattuti in prima pagina perché dire che è colpa loro ci autoassolve: in realtà è colpa nostra, ma come spesso accade, la verità è troppo imbarazzante per essere anche solo sussurrata.  Le ricordo ancora una volta che SARS-CoV-2, il virus che causa Covid-19, non è stato trovato nei pipistrelli, ma se pure così non fosse, ciò non cambierebbe affatto quanto ho appena affermato. 

Perché gli animali selvatici sono riserve così abbondanti di virus letali per l’uomo? Perché loro ci possono convivere e per noi, una volta entrati in contatto, diventano un pericolo mortale? La coabitazione tra specie pare non sia possibile…

È normale che tanta biodiversità, tante specie insomma, significhi anche, proporzionalmente, tanti organismi patogeni, virus, batteri, protozoi, funghi. È un vaso di Pandora normalmente non pericoloso a meno che non venga aperto. La devastazione ambientale, il cambiamento climatico, la caccia indiscriminata e il commercio di fauna selvatica sono i modi con cui noi apriamo il vaso di Pandora. La coabitazione è non solo possibile, ma indispensabile, purché le specie animali possano trovare i loro habitat ben conservati. E, ovviamente, non siano cacciate, commerciate, spinte all’estinzione come purtroppo facciamo in modo sempre più insostenibile. La salute dell’uomo non può prescindere dalla salute degli animali e dell’ambiente, e dobbiamo agire a tutti e tre i livelli se vogliamo ridurre il rischio di zoonosi e pandemie. Si tratta del cosiddetto approccio One Health, che gli scienziati conoscono bene ma che i decisori politici a livello internazionale continuano a disattendere ampiamente. L’opinione pubblica non è sufficientemente sensibilizzata al riguardo. Ad esempio, il fatto che Covid-19 sia figlio diretto della crisi ambientale è stato raccontato assai poco: sono convinto che se facessimo un sondaggio, la percentuale di cittadini consapevoli sarebbe tanto piccola da risultare imbarazzante. Ovviamente, non per colpa degli intervistati.

Mesi fa, avevamo parlato di Greenrecovery e delle dinamiche alla base di un ecosistema. Ma quindi come fare per evitare le zoonosi?

Anzitutto, avere tante specie nei loro ambienti ben conservati ci protegge dalle zoonosi, perché quando i virus saltano da una specie all’altra, mutando fino a raggiungere una struttura compatibile con il nostro organismo, in comunità animali ricche di specie è probabile che prendano un “vicolo cieco”; saltino, insomma, a bordo di una specie poco recettiva, e il loro tentativo di spillover finisce lì. Depauperando la biodiversità, invece, diminuiamo il numero di potenziali vicoli ciechi aumentando il rischio zoonotico. In secondo luogo, gli animali forniscono, tra i tanti cosiddetti “servizi ecosistemici”, anche una mitigazione del rischio di zoonosi e pandemie. I pipistrelli, ad esempio, consumando zanzare e altri insetti che pungono l’uomo, riducono il rischio che con la puntura siano trasmesse malattie di cui questi insetti sono vettori, pensi alla malaria, per dirne una. Un mondo senza pipistrelli sarebbe maggiormente esposto a spillover e pandemie!

Professore, è di questi giorni la notizia che una commissione dell’OMS è volata in Cina per appurare l’origine locale della pandemia da Covid-19. In questi mesi, la nazione asiatica ha paventato l’ipotesi che il virus sia giunto in Cina ma non ‘nato’ lì. Tra le varie nazioni indicate come luogo effettivo della zoonosi anche l’Italia: per lei è plausibile una simile ipotesi, tenendo conto di tutte le dinamiche che portano al salto di specie?

È del tutto infondata. Non voglio dichiarare altro perché ho una profonda allergia verso i nazionalismi, che tra i tanti comportamenti nefasti hanno anche la negazione dell’evidenza.

Ci sono nazioni o territori che favoriscono maggiormente tale processo? Se sì, quali sono secondo lei? L’industrializzazione e antropizzazione di un territorio può favorire uno spillover o scoraggiarlo?

La Cina è finita sul banco degli imputati perché la pandemia è nata lì e la causa più probabile resta il consumo di fauna selvatica. La richiesta cinese di animali, piante e loro parti sta spingendo un numero impressionante di specie verso l’estinzione. Avremo un mondo senza rinoceronti perché il mercato illegale del corno di questi animali, alimentato dalla richiesta cinese, ne sta comportando la devastazione a causa di una idea totalmente infondata che il consumo del corno, in polvere, agisca da rinvigorente sessuale. Il corno è un ciuffo di peli concresciuto, cheratina insomma: il suo effetto farmacologico è equivalente al mangiarsi le unghie, eppure il mercato nero è fiorentissimo. Potrei dire lo stesso per moltissime altre richieste di specie destinate al consumo o alla farmacopea tradizionale orientali: tigri, giaguari, leoni, tartarughe, squali, ippocampi, i cosiddetti “cavallucci marini. L’elenco, mi creda, è infinito, e questa richiesta sta spazzando via un numero impressionante di specie dalla faccia della Terra. Se però, è vero che i cinesi farebbero bene a dedicarsi a un serio esame di coscienza, anche per quanto i capitali cinesi investiti in Africa stanno facendo alla natura di quel continente, sarebbe profondamente ingiusto puntare il nostro dito verso quel Paese chiamandoci fuori da un disastro di cui siamo tutti autori. La crisi ambientale è promossa praticamente da tutti i Paesi del mondo, a partire da quelli economicamente avanzati i cui capitali e le cui imprese sono spesso dietro deforestazione e devastazione di immensi territori, oltre a promuovere un’alterazione del clima ormai fuori controllo. Mi creda, anche a casa nostra facciamo danni tutt’altro che trascurabili.

Eppure è ancora in piedi l’ipotesi che il SARS-CoV-2 sia nato in un laboratorio di Wuhan: qual è il suo parere in merito?

Non faccio il virologo, lo premetto, e non amo parlare di argomenti che non conosco a fondo. L’opinione dominante dei virologi, che leggo come fa lei, è che questo virus non sia un artefatto. Quanto poi un virus presente in una specie animale, magari studiato in un laboratorio, possa essere sfuggito alle maglie magari non serratissime della sicurezza ivi applicata, è altra storia, ma si tratta di speculazioni e, a parer mio, un problema secondario. Le dirò, mi consolerebbe l’idea che basterebbe aumentare la sicurezza dei laboratori per evitare disastri di questo tipo: avremmo una soluzione. Mettere un argine alla crisi ambientale, la vera causa si spillover e pandemie, è cosa enormemente più difficile.

Le zoonosi sono state frequenti negli ultimi decenni, ma non tutte sono diventate pandemiche come il Covid: Hendra, Ebola, Aids, Sars e Mers per citarne alcune. Continueranno a verificarsi e perché? È una dinamica naturale sempre esistita sul pianeta?

Le zoonosi sono di per sé un fenomeno naturale, il problema è la probabilità che si verifichino in forma pandemica. Questa è enormemente aumentata per i disastri ambientali di cui siamo causa, uniti a una popolazione umana in aumento esponenziale, siamo, ora, oltre 7 miliardi e 837 milioni di anime sul Pianeta Terra, e una capacità incredibile di spostarci su scala trans-continentale in poche ore.  Se un virus entra nel mio organismo in Estremo Oriente, prendendo un volo lo trasferisco in Europa in un tempo brevissimo! Comprenderà che la combinazione di questi fattori costituisce la “tempesta perfetta”. Aggiunga a questo che la sorveglianza sanitaria, efficiente nei nostri Paesi, è spesso precaria o assente in molte regioni tropicali a elevato rischio pandemico.

Tra novembre e dicembre ha destato sdegno l’abbattimento di 17 milioni di visoni in Danimarca, sempre per scongiurare il pericolo Covid dato che gli animali sono stati ritenuti possibili propagatori del virus. Questa decisione, secondo lei, era da ritenersi lecita?

Inevitabile, purtroppo. Non così, invece, l’allevamento di visoni, ampiamente evitabile. Consideri che gli allevamenti intensivi sono di per sé molto pericolosi perché le concentrazioni innaturali di animali, peraltro giocoforza stressati, e quindi immunodepressi, a causa delle condizioni di gestione di queste realtà, creano un’altra pericolosa opportunità perché un organismo patogeno si propaghi e magari muti, cambiando la sua struttura e divenendo anche più pericoloso, fosse solo perché certe mutazioni possono rendere inefficaci eventuali vaccini.

L’uccisione dei visoni si è retta su un ‘se’, senza evidenze certe nella realtà. Stiamo parlando di animali che sopravvivono in condizioni pietose in questi allevamenti intensivi, prima di essere uccisi per il loro pregiato manto. Il Covid potrebbe avere altre ripercussioni sul mondo animale controllato e allevato dall’uomo come in questo caso?

Sappiamo che i recettori cellulari a cui si aggancia il virus sono presenti in diverse specie animali, quindi le potenzialità per il passaggio uomo-animale ci sono. Delle condizioni relative agli allevamenti intensivi e del potenziale ruolo che essi possono giocare in un evento zoonotico le ho appena detto. Sicuramente abbiamo creato un mondo non a misura d’uomo, ma assolutamente a misura di virus.

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