Prof Santantonio: “La carica virale Covid è più elevata un giorno prima della comparsa dei sintomi e nei primi giorni di malattia”

by Daniela Tonti

Cosa abbiamo capito dell’infezione Sars Cov-19? Il virus ha perso virulenza? Quando si è maggiormente infettivi? Come bisogna comportarsi se si è stati a contatto con un positivo? Esistono dei sintomi che devono metterci in allarme?

Più il virus si avvicina alle nostre vite colpendo persone che conosciamo, più i quesiti e le incertezze sul da farsi si moltiplicano. Come comportarsi?

Abbiamo rivolto alcune domande alla professoressa Teresa Santantonio, Direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “Ospedali Riuniti” di Foggia.

Professoressa bentrovata, innanzi tutto come sta andando? Lei una volta disse che nella storia non c’è mai stata una pandemia che non presentasse due o tre picchi nel corso del tempo”

Quindi questa seconda ondata era ampiamente prevedibile. Come vi siete attrezzati?

Come ben evidente dal numero dei nuovi contagi in rapido e continuo aumento ogni giorno, siamo nel pieno della seconda ondata di COVID-19. Dopo un breve periodo di tregua nei mesi estivi che ha prodotto la falsa impressione che la pandemia fosse alle spalle ed il conseguente allentamento delle misure di contenimento dell’infezione, il virus ha ripreso a circolare e a colpire più di prima. L’organizzazione che abbiamo messo a punto in primavera è servita a far fronte prontamente a questa nuova emergenza, tuttavia, se il numero dei contagi continuerà ad aumentare con il ritmo attuale, potremmo avere serie difficoltà di gestione.

Cosa avete capito del virus? Ha perso carica virale?

Dall’inizio della pandemia, sono migliorate le nostre conoscenze sul virus e sulle modalità di trasmissione dell’infezione. Sappiamo bene che il virus è presente nelle secrezioni respiratorie e può essere trasmesso attraverso le goccioline di saliva eliminate nell’ambiente esterno con i colpi di tosse, gli starnuti, ma anche parlando o cantando. Generalmente si tratta di goccioline pesanti che per essere trasmesse ad altri soggetti richiedono un contatto stretto (entro un metro). In alcuni casi, si può formare un aerosol che può trasportare il virus anche a distanza. Le goccioline, cadendo si depositano su diverse superfici dove il virus può rimanere attivo per alcune ore o anche giorni. In questo caso, la trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2 avviene toccando una superficie contaminata e quindi toccando la propria bocca, il naso o eventualmente gli occhi.

Queste modalità di trasmissione sottolineano l’importanza del rispetto rigoroso di tutte le misure necessarie a ridurre il rischio di trasmissione come l’uso delle mascherine, il distanziamento fisico, il lavaggio delle mani e la sanificazione degli ambienti.

Un aspetto importante da lei sottolineato è l’evoluzione di SARS-CoV-2 e la possibilità che il virus possa modificare nel tempo la sua virulenza, infettività e trasmissibilità. Al momento lo studio del genoma virale non sembra dimostrare la comparsa di mutazioni associate ad una variazione della sua virulenza.

Ci sono casi di famiglie in cui, pur vivendo a stretto contatto, un solo componente risulta positivo o asintomatico positivo. Come ve lo spiegate?

Generalmente la presenza di un soggetto con infezione da SARS-CoV-2 all’interno di un nucleo familiare, si associa alla trasmissione del virus agli altri componenti. Tuttavia può accadere quello che lei dice, ovvero l’infezione non viene trasmessa agli atri familiari. La mancata trasmissione può dipendere da diversi fattori che includono la presenza di una bassa carica virale a livello delle alte vie respiratorie del portatore e l’osservanza scrupolosa anche in ambito domestico delle misure di prevenzione (igiene delle mani, evitare di toccare bocca, occhi, naso e pulizia degli arredi).

Ci dice qualcosa sul periodo di incubazione? Quando si è maggiormente infetti? Un asintomatico è meno infettivo? E c’è una fase della malattia in cui lo è in misura maggiore? Quando una persona smette di essere contagiosa?

Il periodo di incubazione, ovvero il tempo che intercorre tra l’esposizione al virus e la comparsa dei sintomi, è in media di 4-5 giorni, con un intervallo compreso tra 2 e 14 giorni. E’ stato dimostrato che la carica virale è più elevata un giorno prima la comparsa dei sintomi e nei primi giorni di malattia, periodo durante il quale il soggetto COVID positivo è più contagioso. Oltre che dai soggetti presintomatici e sintomatici, oggi sappiamo bene che il virus SARS-CoV-2 può essere trasmesso anche da soggetti infetti ma completamente asintomatici, nei quali la carica virale è simile a quella dei soggetti sintomatici. Questa evidenza ha importanti implicazioni in quanto la mancanza di sintomi, prevenendo l’identificazione di questi portatori, favorisce la diffusione dell’infezione. Nei soggetti con COVID-19, il tampone naso-faringeo rimane positivo per 10-15 gg e in alcuni pazienti fino a 2 mesi. Tuttavia, la carica virale progressivamente si riduce e in parallelo si riduce l’infettività. E’ stato infatti dimostrato che il virus ottenuto da pazienti con bassa carica virale o una durata di malattia superiore a 8 giorni, non è in grado di infettare le cellule in vitro, suggerendo quindi che tali soggetti possono essere considerati non più contagiosi.

Professoressa, nelle ultime settimane anche la percezione e la paura della malattia da parte della gente sono cambiate. Il virus in questa seconda ondata pare si stia in un certo senso “avvicinando” alle nostre vite colpendo persone che conosciamo, dagli insegnanti, agli amici dei nostri figli o agli stessi medici. Cosa possiamo dire a chi è entrato in contatto con un positivo e magari lo scopre soltanto dopo una settimana? Come si deve comportare? Quali sono i sintomi che devono far scattare il campanello di allarme?

Quello che dice è proprio vero, la diffusione oggi del virus è tale che sono in rapido aumento focolai in cui la trasmissione avviene sia in ambito familiare, che scolastico, lavorativo o in comunità. Rimane fondamentale in considerazione del rapido peggioramento della situazione epidemiologica continuare a rispettare in modo rigoroso tutte le misure necessarie a ridurre il rischio di trasmissione quali lavaggio delle mani, l’uso delle mascherine ed il distanziamento fisico. Chiunque sia stato a contatto con un soggetto COVID positivo nei 10 gg precedenti deve eseguire il tampone anche se asintomatico. I sintomi più comuni associati all’infezione da SARS-CoV-2 e che possono servire a sospettare l’infezione sono febbre, cefalea, dolori muscolari, tosse, diarrea, perdita dell’olfatto e del gusto.

Professoressa è vero che l’esame sierologico può non rivelare la positività anche in soggetti contagiati? È vero che se l’infezione non è aggressiva il corpo si difende con l’immunità innata cioè sufficiente a bloccare l’aggressione e quindi il sierologico può risultare sempre negativo? Ci aiuta a capire meglio e a fare chiarezza?

La comparsa nel sangue degli anticorpi IgG e IgM diretti contro SARS-CoV-2 avviene dopo 14-15 giorni dalla comparsa dei sintomi. I test sierologici risultano pertanto negativi nelle prime due settimane e non servono per la pronta diagnosi di COVID-19. La diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 si basa sul test molecolare per l’identificazione dell’RNA virale da tampone naso-faringeo. Tuttavia, i test sierologici possono essere utili per l’identificazione dell’infezione in individui con forte sospetto clinico, ma ripetutamente negativi al tampone nasofaringeo. Attualmente, i test sierologici sono utilizzati per stimare la diffusione dell’infezione nella popolazione generale e per identificare gli individui con avvenuta esposizione al virus.

Professoressa si parla molto di contagi sul posto di lavoro (scuole o ospedali) e spesso sentiamo dire di un lavoratore x “ha contratto il covid nella sfera della vita privata”.

Una persona che si ammala può riuscire a sapere come si è ammalata? Cioè dove ha preso il virus? Questo la scienza ce lo può dire o sono solo supposizioni e si va per esclusioni seguendo i tracciamenti? E se è così, i tracciamenti stanno funzionando egregiamente secondo lei?

In assenza di un contatto con una persona con infezione da SARS-CoV-2 ben documentata, è difficile risalire al momento del contagio. Naturalmente, una volta diagnosticata una nuova infezione, tutti i contatti devono eseguire un tampone naso-faringeo. Oggi facciamo molti più tamponi rispetto al passato, ma a parer mio il numero è ancora insufficiente.

Purtroppo tornando alla trasmissione del virus sappiamo che predilige ambienti chiusi. Giorni fa su La Stampa si parlava del plasma freddo per ionizzare l’aria e abbattere la carica batterica. Lei che ne pensa? Gli ambienti chiusi restano quelli più rischiosi?

Gli ambienti chiusi favoriscono la persistenza di virus presenti nell’aria e quindi la loro trasmissione. La tecnologia del cosiddetto “plasma freddo” è una tecnologia innovativa, basata sulla ionizzazione dell’aria, già utilizzata sulla Stazione spaziale internazionale per abbattere la carica batterica. Uno studio preliminare ha dimostrato che il plasma freddo può ridurre la carica virale di SARS-CoV-2, tuttavia rimane da verificare quanto questa tecnica sia realmente utile.

Un’ultima domanda, rispetto all’ondata di marzo quali sono le sue considerazioni in merito alle condizioni in cui arrivano i pazienti, al decorso della malattia e all’efficacia delle cure farmacologiche attuate.

L’esperienza maturata ad oggi ci dice che i pazienti vanno ricoverati e trattati precocemente prima della progressione verso forme severe di malattia. Abbiamo anche imparato a trattare in modo più efficace questa patologia per quanto non vi siano ancora terapie approvate per COVID-19. Questa esperienza, e la tipologia dei pazienti che oggi ricoveriamo generalmente meno anziani rispetto ai mesi precedenti spiega il decorso più favorevole e la prognosi migliore osservata finora.

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