Il Natale a Peschici negli anni Cinquanta tra fanoje, novene e tavole imbandite

by Teresa Rauzino

Come in tutta la Puglia, per tutto il tempo di Natale, le case di Peschici erano allietate da canzoni sul tema, intonate a varie riprese, da tutti i componenti della famiglia, e in particolare dai bambini.

Oggi se ne ricordano quattro, in particolare. La prima era una nenia: “Ninna nanna /o Bammnell’/ che Maria vò fatjà/ gli vò fa la camicina/ ninna nanna Gesù bambin’/. Questa strofa era seguita da altre simili, a parte il capo del corredino che variava fino al completamento del cambio del neonato. Alla camicina seguivano le scarpette di lana (i’scarpitell’), la cuffietta (a’ cuffiett’), il vestitino (u’ vestitill’) che la Madonna confezionava a mano, approfittando dei momenti in cui il suo bambino dormiva.

La seconda canzoncina faceva rivivere una scena di vita quotidiana della “sacra famigliola”: “Maria lavava e Giuseppe spandeva/ Suo figlio piangeva/ piangeva così./ Sta zitto mio figlio / che ora ti piglio/ le fasce e le bende/ le ho messe a scaldar./”. Il neonato, piangendo, reclamava con insistenza il cambio dei pannolini, che tardava ad essere effettuato. In pieno inverno, Maria e Giuseppe non riuscivano in tempi brevi a lavare, spandere, asciugare i “pannicelli”, e spesso erano costretti a stemperarne l’umidità al calore del camino sempre acceso.

Non esistevano allora i pratici pannolini usa e getta, tipo Lines o Pampers, che rendono tutto più facile alle mamme moderne. Una particolarità interessante è il ruolo familiare collaborativo di san Giuseppe: la scena rievoca momenti realmente vissuti dalle giovani coppie di Peschici in cui il padre, pur impegnato nel faticoso lavoro, trovava il tempo per aiutare la madre dei suoi figli che, da sola, in assenza delle comodità odierne, non avrebbe avuto la forza di attendere ai vari lavori domestici.

Questi, non bisogna mai dimenticarlo, si aggiungevano ai lavori contadini cui quasi tutte le donne attendevano, per contribuire all’economia familiare di sussistenza.“San Giuseppe jé jute all’ort’/ jè jute à coggh’ li ch’nforte/ li facev’ a mazz’tell’ / e li purtav’ ò bamm’nell ” (San Giuseppe è andato all’orto/ E’ andato a cogliere generi di conforto,/ li faceva a mazzettini/ e li portava al Bambinello) è un’altra filastrocca che metteva in risalto l’attento e sollecito amore paterno con cui San Giuseppe cresceva Gesù. Una canzoncina cantata da mia nonna, originaria di Vico del Gargano, recitava: “ Mo vain Natal, mo vain Natal / e vain a’ fest’ di quatràre/ e nà pett’l e nà ranoncke/ mamma li stenne e tate l’acconcke”. (Ora viene Natale, ora viene Natale, e viene la festa dei bambini/ e una pettola e una ranocchia/ mamma le stende e papà dà loro forma).

La “ranoncke”, come ci documenta Giovanni Tancredi in “Folklore garganico”, era un piccolo pane spruzzato di mandorle tritate, confezionato apposta per i bambini in occasione della festa di Natale.Il conto alla rovescia dell’attesa della festa principale si esprimeva con i seguenti versetti: ” Joggie jè sante Nicole/ e Natale diciannoue./ Joggie jè à Cuncette/ e Natale dicissette./ Joggie jè Santa Lucia/ e Natale dudicine.” (Oggi è San Nicola/ e mancano 19 giorni a Natale./ Oggi è la Concetta/ e mancano 17 giorni a Natale./ Oggi è Santa Lucia/ e mancano dodici giorni a Natale). Intanto nelle pinete e nei boschi che circondavano Peschici, il capofamiglia andava in cerca dell’albero di Natale.

Il più adatto era un alberello pungente di colore grigiastro (u’ smuri’cke). Le sue decorazioni dovevano dare l’idea dell’inverno. Per “imbiancarlo”, le donne utilizzavano i fiori delle piante di cotone, che allora era coltivato nel nostro territorio. I batuffoletti venivano “aperti” sui rami dell’albero, coprendoli magicamente di fiocchi lucenti di neve. Caramelle, cioccolatini, biscottini fatti a mano, e piccoli mandarini, tutti appesi ai rami con fili di cotone, arricchivano con semplicità l’albero. Il presepe veniva tappezzato, letteralmente, di zolle di terra ricoperte di una brillante erbetta vellutata (i’ lippe). Iniziavano le funzioni religiose e tutta la popolazione di Peschici vi partecipava con trasporto, affollando la chiesa madre di Sant’Elia profeta. Chi non poteva permettersi di pagare l’affitto di una sedia al sagrestano, ovviava portandosela da casa.

Gli inginocchiatoi strettamente riservati alle poche famiglie nobili o ricche, portavano incisi i loro nominativi. La novena era integrale, ed era suonata e cantata. Echeggiavano le melodie di “Astro del ciel” e della “pastorella”: “Tu scendi dalle stelle”. Non è documentata la rappresentazione della “Santa Allegrezza”, vita e la passione di Gesù, che certamente era proposta, come in tutti gli altri centri garganici, dai pochi zampognari che dagli Abruzzi raggiungevano anche il nostro paesello, anticamente compreso nell’itinerario del tratturo del Candelaro.

Intanto, nelle ampie cucine fervevano i lavori. Si preparavano i dolci tipici degli altri paesi del Gargano (crustle, cav’ciune, struffle), ma la specialità peschiciana erano le “pettole”. Le massaie erano abilissime nello stendere la massa lievitata di questo dolce, al massimo. Queste frittelle raggiungevano lunghezze considerevoli , e Saverio La Sorsa in “Usi, Tradizioni e costumi del popolo pugliese” ce lo documenta:” A Peschici le donne fanno pettole lungo mezzo braccio”. Tutte seguivano l’invito di un proverbio a non saltare questo rito natalizio per eccellenza: ” I pett’le che nun cj fanne à Natale/ nun ce fanne manch’ à Cap’danne” (Le “pettole” che non si fanno a Natale, non si faranno per tutto il resto dell’anno). Queste frittelle erano friabili e gustose, intinte calde calde nel mostocotto di fichi.Un’altra specialità , la “scarola” , frappa con un filo di costoso miele e una spruzzatina di cannella , era il dolce dei ricchi.

Anche a Peschici, come a Vico del Gargano, la sera della Vigilia si gustavano tredici specialità di magro, a base di pesce e verdure: cavolfiore (a’ vroccle) con baccalà, anguille e capitoni arrostiti o fritti, alicette, grugnaletti fritti, baccalà in pastella di farina, uovo e prezzemolo fritto, zucca rossa fritta, cavolfiore lesso condito con olio e limone, patate “arracanate” (gratinate senza carne, con pane raffermo sbriciolato, pecorino, aglio, prezzemolo e un filo d’olio). Venivano cotte in una tortiera (u’ rot’), su una fornacetta o nel camino, “con fuoco sopra (carboni roventi sul coperchio e sotto il piccolo treppiedi (u’ trapp’telle)”.

Il pranzo di Natale era a base di maccheroni con il ferro (i’ maccarune) con ragù di pancetta e polpette di pane, formaggio e uova, precedentemente fritte. Il secondo era costituito da bistecche di maiale alla griglia (i’ tacche). Finocchi, carote e sedano dei floridi orti peschiciani; pere, sorbe, mele cotogne, uva “mennavacca” (conservate per l’inverno e appese a coppie alle travi del tetto) completavano il pasto insieme ai dolci.

A Santo Stefano trionfava il bollito di “Cape e pede” testa e piedi di maiale, che comprendeva anche le orecchie e la coda, con verdure varie (cicoria, scarola, verze, sedano, finocchi, lessate e insaporite con olio e formaggio pecorino). La carne di maiale bollita si disossava. Con le verdure, era aggiunta al brodo, leggermente sgrassato, che condiva il pane raffermo (u’ pane m’puss), posto nei grandi piatti di creta di quel tempo. Questi bastavano per tutta la famiglia.

A Capodanno tutti i bambini, sulla falsariga della strofetta “Cap’danne iè cap’ d’ mese/, rape a’ vorscie/ che te mette u’ tornese./” (Capodanno è capo del mese,/ apri la tasca, /che ti metto un soldo), giravano per le case di parenti, zii e compari per ricevere la buona strenna (a’ bona strenne). Era l’unico giorno dell’anno in cui il regalo era elargito in danaro. Tutte le sere di vigilia (Immacolata, Natale, Capodanno, Epifania), grandi falò (i’ fanoie) illuminavano i vari quartieri del paese. Una tradizione rimasta viva solo in occasione della vigilia di sant’Antonio del 12 giugno, quando davanti alla chiesa si accende un enorme falò. Per i viandanti, che osservavano da Montepucci il costone di roccia riverberante di fiamme, Peschici assumeva la suggestiva immagine di un presepe.

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