Il Real Albergo dei Poveri di Napoli entra nel Recovery Plan. La storia borbonica del primo palazzo del welfare europeo

by Michela Conoscitore

L’alta mente della Maestà del Re Nostro Signore ha risoluto di costruire in questa sua fedelissima città, a similitudine delle città più insigni d’Europa, un nuovo Albergo, per racchiudervi i poveri ed istruirvi la gioventù in tutte le arti necessarie.”

Napoli, 15 luglio 1750

Carlo III di Borbone, più di duecentocinquanta anni fa, decideva di dotare Napoli di un edificio monumentale destinato a rendere la capitale del suo regno all’avanguardia. Un esempio di welfare in piena regola e la sede di questo sogno sociale fu il Real Albergo dei Poveri. Carlo di Borbone invitò a Napoli, per realizzarlo, l’architetto fiorentino Ferdinando Fuga, e finanziò i lavori di costruzione di tasca propria, la regina consorte Maria Amalia contribuì vendendo i suoi stessi gioielli e come loro altri ricchi sudditi del regno, inclusi molti religiosi.

Un milione di ducati, tanto costò il Real Albergo dei Poveri che, dopo Fuga, vide avvicendarsi come supervisore ai lavori anche Carlo Vanvitelli che seguì poco il cantiere, impegnato già a Caserta nella costruzione della Reggia, e Francesco Maresca che li portò a termine nel 1819. A termine, per modo di dire, perché il progetto di Fuga era ancora più spettacolare e grandioso di quel che è, anche attualmente, l’edificio: 100 mila metri quadrati, che a leggerli sono già inimmaginabili, rappresentano soltanto un quinto del progetto originario. Tra le più maestose costruzioni settecentesche europee, la facciata rivolta su Piazza Carlo III misura 385 metri, il palazzo conta ben 430 ambienti distribuiti su quattro piani, tre cortili esterni quadrati più sei piccoli cortili triangolari.

Oggi gran parte della struttura necessita di importanti lavori di restauro. Crolli si sono susseguiti nel corso degli anni, i più importanti furono quelli del 1980 che interessarono l’ala destra, in seguito al terremoto in Irpinia. Testimonianza di un’epoca d’oro per Napoli, e bene monumentale entrato di recente nei Luoghi del Cuore del FAI, fanno ben sperare le parole del primo cittadino, Luigi De Magistris, che in questi giorni ha annunciato l’approvazione del progetto di recupero presentato dal Comune al governo: “Siamo contenti che il Governo abbia mostrato attenzione per il nostro Albergo dei Poveri e sia riuscito ad inserire il progetto del Comune di Napoli tra quelli destinatari del Recovery Plan. Il nostro progetto prevede un impegno di 150 milioni di euro da investire per interventi di consolidamento, riconfigurazione architettonica e restauro. Abbiamo previsto che il Palazzo storico abbia funzioni museali, culturali, sociali, istituzionali e di formazione. L’Albergo dei Poveri è un bene comune dei napoletani ed è per questo che teniamo fortemente al suo futuro.

I napoletani, presto, potranno tornare a vivere uno dei luoghi più importanti della città, la cui progettazione la vedeva in fermento, con un sovrano illuminato a guidarla e tante menti capaci di stimolare l’apparato statale con idee e progetti innovativi. Quella era l’epoca di Genovesi e Filangieri, il principe di Sansevero stava costruendo l’iconica cappella di famiglia e la marchesa Pimentel Fonseca iniziava a poetare. Per quale uso, l’illustre sovrano aveva destinato l’imponente costruzione? Il progetto aveva carattere prettamente assistenziale, e prevedeva di strappare alla strada i poveri e i bisognosi per dargli un tetto e sussistenza. Dopo la partenza di Carlo III, del Real Albergo dei Poveri se ne occupò il figlio Ferdinando IV che modificò la visione del padre dandogli uno spessore più pragmatico: il lavoro come terapia, infatti chi vi veniva accolto, imparava un mestiere che gli avrebbe, poi, permesso di camminare sulle proprie gambe una volta lasciata la struttura. Cosa ancora più importante, chi viveva al Real Albergo contribuiva alla costruzione sempre in divenire della struttura svolgendo lavori da carpentiere o altri manuali per le donne.

Ferdinando IV, inoltre, lo concepì come primo fulcro dell’industrializzazione a Napoli destinandolo così anche alla manifattura, qui infatti ebbe sede in quegli anni un’azienda tessile. Al Real Albergo dei Poveri fu messa in funzione la prima lavatrice d’Italia: la cosiddetta macchina Armingaud fu necessariamente installata nella struttura per assicurare una quantità di bucati considerevole. La macchina che funzionava a vapore e dalla mole rilevante, era capace di lavare ben duemila lenzuola contemporaneamente.

Tuttavia, se il Real Albergo dei Poveri rientrava per i Borbone nel progetto di Napoli come ‘città modello rinascimentale’, la storia dell’edificio fu abbastanza travagliata fin dagli inizi. Ospitò poveri e bisognosi, fu anche una scuola per sordomuti, orfanotrofio, e questa concentrazione d’umanità portò ad una situazione esplosiva. Ben cinquemila anime alloggiavano al Real Albergo dei Poveri, nel 1854, e gli intendenti preposti all’osservanza delle regole all’interno dell’istituto non riuscirono ad arginare furti e prostituzione. Il culmine si raggiunse nel 1866 con una rivolta, che sancì la chiusura definitiva di quel coacervo utopico ideato da Carlo III di Borbone.

Albergo dei Poveri, primo edificio. È molto più impressionante di quella bomboniera, tanto vantata, che si chiama a Roma Porta del Popolo.

  • Stendhal, Roma, Napoli e Firenze (1826)

Magnifico esempio di barocco napoletano, negli anni Trenta del Novecento nel Real Albergo trovò sede l’istituto di rieducazione per minorenni e il Tribunale a loro preposto. L’edificio cambiò spesso ‘fisionomia’ ospitativa, fu anche un manicomio e un carcere, per questo dai napoletani è conosciuto anche come ‘O Serraglio.

Rientrante tra i Beni Patrimonio dell’Umanità Unesco dal 1995, si auspica che i prossimi anni vedranno il sogno di Carlo III prendere forma in qualche modo, sulle strutture rinnovate dell’edificio si potranno finalmente veder crescere i frutti di una municipalità illuminata, questa volta, dalle idee del nuovo millennio.

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