Contro «l’asfittico servilismo che rende impraticabile ogni forma effervescente di cittadinanza»: l’impegno di Antonio De Sabato con Possibili Scenari a Foggia

by Antonella Soccio

«Se c’è una speranza, è in questa tensione di legalità che appare evidente in una larga fetta della società, che finalmente si sente più libera di osare, di metterci la faccia».

Il vento è cambiato. Ne è convinto il foggiano Antonio De Sabato operatore della formazione, ex candidato consigliere comunale col centrosinistra da centinaia di voti, ma non eletto, che con l’associazione Possibili Scenari sta dando vita insieme al Comitato La Società Civile, nato dall’indignazione per la Foggia leghista consegnata a Matteo Salvini dal sindaco Franco Landella, una grande partecipazione, pur con le limitazioni anti Covid, sui temi della legalità e della buona politica. Contro la rassegnazione tipica del capoluogo di Capitanata, ormai avviluppato in una apatia da Quarta Mafia.

Noi di bonculture lo abbiamo intervistato.

De Sabato, partiamo da Possibili Scenari. La tua associazione ha un nome suggestivo. Quale sarebbe stato lo scenario foggiano se quel giugno del 2019 avesse vinto Pippo Cavaliere? Quale azione secondo te avrebbe caratterizzato di più quell’amministrazione?

Possibili Scenari è il titolo di una canzone di Cesare Cremonini e nasce una sera d’estate di due anni fa ad un suo concerto allo Stadio Olimpico di Roma. Lì prendeva forma ufficialmente il nostro progetto politico-culturale per la città di Foggia.

Possibili Scenari è innanzitutto esperienza collettiva. Un insieme di persone, ognuno con le proprie energie e valori che provano a mettersi insieme in un luogo, per tracciare un cambio di rotta e di paradigma. Inutile pertanto pensare a cosa sarebbe accaduto se quel ballottaggio lo avesse vinto Pippo Cavaliere; preferisco pensare al percorso fatto da quel momento in poi.

Oggi mi sento sicuramente più maturo, più completo, perché avverto di aver coinvolto, e reso parte attiva, i tanti amici che avevano riposto grande fiducia in quella candidatura alle scorse amministrative. Cosa non semplice, perché passare dai proclami elettorali ai fatti è impresa ardua e richiede impegno e sacrificio. È proprio da questa esigenza che nasce quel carattere di urgenza che pervade l’azione di Possibili Scenari. In fondo noi “quarantenni” abbiamo ancora la voglia di sognare e sperare in una città che è e non deve essere solo quella raccontata dalle classifiche.

Credo che sarebbe stata questa l’azione più incisiva che avrebbe caratterizzato la coalizione di centrosinistra, ovvero ripartire dalle esperienze territoriali positive che ci sono e capire perché non fanno sistema.

La città si è svegliata tardi nel suo anelito di legalità e giustizia rispetto a quella campagna elettorale o sono stati commessi degli errori di partecipazione e se sì quali?

La città non si è svegliata tardi; la situazione è molto più complessa. Sembra essere venuta meno l’idea che abbia senso impegnarsi. E di conseguenza non si avverte l’esigenza di una progettazione partecipata. Ma adesso le cose stanno cambiando.

Siamo sempre più assorbiti e sempre più inerti, osserviamo un dibattito politico che più che stimolare partecipazione e dialogo spesso tende a svuotare le parole dal loro significato, riducendo così la responsabilità dei cittadini.

Appare chiaro a molti (anche se pochi sono disposti a dirlo pubblicamente) che la politica, ridotta ad esercizio tattico in una prospettiva di breve periodo, sta producendo risultati distruttivi, tanto sulla fiducia delle persone quanto sulle loro tasche.

Sono in molti a fingere di essere soddisfatti rispetto a quanto succede, sopportando in silenzio. Pensare che la vita politica e democratica si riduca al solo esercizio del voto è una distorsione di cui dobbiamo essere consapevoli: non possiamo rinunciare alla responsabilità personale perché l’inizio del cambiamento coincide con la presa di coscienza che la persona debba essere protagonista della realtà e non svolgere un semplice ruolo da spettatore.

Un pezzo importante di società giovanile in quella campagna è stato forse ignorato a favore di tanti candidati esponenti della vecchia politica. Esiste un modo per scardinare davvero quel sistema? Per rottarmarlo per dirla à la Renzi che pure tu hai sostenuto?

Non un pezzo ma l’intera fetta della società giovanile in quella campagna elettorale è stata ignorata, come da consuetudine. D’altra parte la stragrande maggioranza di chi siede in Consiglio Comunale è il risultato del proprio passato; noi, evidentemente, intendiamo essere la causa del nostro futuro. La brevissima parentesi renziana (20 giorni in tutto) – certamente un errore – né è la testimonianza. La ricerca di una dimensione politica dinamica e vivace ha prevalso sul giudizio del Renzi uomo, che da Rottamatore ha rottamato se stesso, ed oggi ne portiamo ancora i segni addosso. Se qualcuno avesse seguito il mio esempio, riconoscendo l’errore e smascherando subito l’ennesimo bluff renziano, forse anche il nostro Paese oggi sarebbe diverso.

La politica, intesa come dispositivo per generare futuro buono, deve misurarsi con i significati che si generano attraverso la propria azione. C’è una forte domanda di politica che ascolta, che non va a caccia di audience ma di conversazioni. In altri termini c’è bisogno di rigenerare la qualità del legame sociale con la società per riuscire poi a condividere e co-produrre significati. L’azione che cerca consenso rinunciando a generare senso, produce incertezza e – a voler citare Zygmunt Bauman – “retrotopia”, ossia la percezione che il meglio sia alle nostre spalle.

Assistiamo ad una politica trash e autoreferenziale in piena pandemia, come ribaltare alcune logiche? Con le assemblee legalitarie non si rischia di fare online quello che si faceva con i bei convegni? In cosa differisce oggi la vostra partecipazione?

Nel percorso che la politica ha tracciato ad un certo punto vi è stata una biforcazione marcata. E a quel bivio si è presa la strada sbagliata. Le categorie più svantaggiate, i deboli, gli ultimi si sono convinti dell’ineluttabilitá degli eventi. Ecco perché credibilità e reputazione devono oggi essere recuperate. Servono per ricucire il rapporto lacerato con l’elettore cittadino e soprattutto per sottrarre la politica al clima da stadio e restituirla alla collettività. La politica non è tifo, ma come diceva Don Tonino Bello, è “arte nobile e difficile”.

Discorso a parte merita il tema dell’antimafia con la prima Assemblea Pubblica sulla Quarta Mafia. Questa si caratterizza per essere un’iniziativa di Antimafia etica nata in maniera spontanea dal basso, in cui una fetta di società civile decide di “mettersi insieme” per la prima volta dopo la marcia dei 20.000 Foggiani del 10 Gennaio dell’anno scorso, e non era affatto scontato.

Non lo era perché questa provincia è disgregata nelle sue energie, frammentata nelle prerogative, divisa nelle proprie legittime aspettative di rinascita. Il 10 Gennaio Foggia si è mobilitata e qualcosa è successo. Si è innescata la miccia della speranza e questa assemblea né è la prova tangibile. Vi è una consapevolezza maggiore e un coraggio ritrovato nell’essere comunità. A noi tutti è richiesto uno sforzo maggiore in termini di impegno e partecipazione. Si è aperta una nuova stagione capace non solo di riaffermare, ma di risostanziare il valore della lotta alla mafia e dei Foggiani. Se c’è una speranza, è in questa tensione di legalità che appare evidente in una larga fetta della società, che finalmente si sente più libera di osare, di metterci la faccia. È giunto il momento di ribadire con forza con chi e come stare, dove mescolare il proprio tempo e le proprie energie.

Dobbiamo fare cambiamento.

È stato Salvini a portare una certa consapevolezza tra gli indignati?

Salvini rappresenta l’abisso delle nostre coscienze, il cattivo esempio. Il tutto all’interno di una dinamica autoritaria che implica il rifiuto della diversità, l’aspirazione alla omogeneità, disprezzo per gli intellettuali e la convinzione che la povertà è una colpa. Vederlo all’interno della nostra Casa Comunale ha rappresentato una sorta di shock emozionale per tanti foggiani, che hanno inteso ribadire l’appartenenza della città a valori diametralmente opposta quelli prima citati. La città si è ritrovata unita e compatta nella difesa della propria identità e della sua storia semplicemente. Occorre perciò fare uno sforzo collettivo invitando la politica a non farsi guidare dal corto-termismo e dal paternalismo, stimolandola a riconnettersi con l’esperienza reale che giovani, famiglie, imprese cittadini stanno facendo. La competitività e l’innovazione richiedono un radicale investimento sulle aspirazioni delle nuove generazioni e la partecipazione della società che si organizza.

Va aperta perciò una nuova stagione politica capace di far emergere le innumerevoli risorse tacite e latenti presenti e restituendo in maniera radicale la primazia alle scelte, alle persone e alle istituzioni che, invece di consumare, costruiscono fiducia.

E cosa indigna maggiormente a Foggia? Ho l’impressione che ad indignare spesso siano più questioni o di ideologia d’antan (vedi l’esempio di Via Almirante) o di semplice decoro pubblico (le buche, la monnezza, il parco negato etc etc). Poco si parla di una reale emancipazione dei quartieri che offrono manovalanza alla malavita. I Possibili Scenari alternativi quali sono?

In questo tempo sospeso in cui tutto sembra indignare e nulla scuotere realmente, dobbiamo provare a restituire un po’ di generosità alla nostra città attraverso un atto di resistenza. Una parte considerevole della città appare spenta, pigra, ormai rassegnata ad attendere tempi migliori in un ventaglio di promesse infinite e di illusioni. C’è un asfittico servilismo che rende impraticabile ogni forma effervescente di cittadinanza. Eppure siamo capaci di organizzare esperienze di resistenza collettiva ed eccellenti pratiche di rigenerazione urbana come Parco Città, simbolo di una comunità che non si arrende al degrado e alla criminalità.

Nonostante ciò, la condotta politica, scellerata e senza idee, che detiene lo scettro del potere continua ad infliggere pesanti ferite, impedendo lo sviluppo di esperienze sostenibili di cambiamento e innovazione. Questo è più di un male e a soffrire è la nostra comunità.

Da un po’ di tempo è come se fosse caduto su di noi un cattivo incantesimo. In netto contrasto con questa visione, Possibili Scenari crede nella ricetta della “Giustizia Sociale” per combattere le disuguaglianze. Occorre ricucire un tessuto sociale lacerato. Basti pensare alla dicotomia sicurezza urbana/inclusione sociale, con particolare riferimento al Quartiere Ferrovia. Bisogna superare il tradizionale concetto urbano fondato sulla paura e sconfiggere la logica delle ordinanze. La Politica sembra incapace di ascoltare il territorio e cambiare i modelli di riferimento, accogliere la pluralità dei soggetti che vivono in città. In breve la sicurezza di un quartiere passa attraverso la capacità di abitanti e decisori politici di creare Spazi per regolare il conflitto con la partecipazione e la co-progettazione. Il gap dell’azione politico amministrativa, evidenziato dall’ultima classifica di Italia Oggi e La Sapienza, mostra proprio l’assenza di una chiara strategia dell’ente comunale nell’affrontare questi problemi. In questa direzione si colloca la nostra proposta di “Emporio Solidale” con lo scopo di stimolare il dibattito sui percorsi da intraprendere per incrementare il benessere.

Possibili Scenari propone una missione strategica di solidarietà, attivando la partecipazione della comunità. Questi empori della solidarietà “a tempo” devono poter ricevere un contributo da parte dell’amministrazione comunale volto al pagamento del canone dei locali sfitti, dove accogliere sia generi di prima necessità sia indumenti, frutto di libere e spontanee donazioni da parte dei cittadini. Sono atti di solidarietà e fraternità piantati nel cuore dei nostri quartieri, spesso degradati e maltrattati. Sono la porta della speranza che si apre alla cittadinanza. È possibile poi alternare questi atti di attribuzione di beni con l’apertura di questi stessi spazi temporanei da destinare all’esposizione di opere di artigianato, tanto di artisti locali che delle varie comunità di stranieri residenti sul nostro comune. L’intento è così dare impulso all’economia locale, valorizzare la ricchezza del nostro patrimonio artigianale, creando i presupposti per l’interpretazione e l’inclusione tra i residenti, togliere spazio ai pregiudizi, all’indifferenza e agli abusivi in modo da stabilire un senso di legalità nella vita del quartiere.

In tutti in questi anni, sono tramontate 2 associazioni antiracket, è fallito uno sportello legalità che avrebbe dovuto raccogliere le denunce in Camera di Commercio gestito da Libera, non si sa quali siano i risultati dello Sportello di Confartigianato. Insomma, sovente le associazioni legalitarie dopo le indagini cascano dal pero come se quei pochi commercianti che denunciano (ad esempio il gommista di Via Bari o le onoranze funebri di Via Fania) fossero delle monadi, che mai si sono interfacciati con questo tipo di attivismo. È un deficit di rappresentatività o davvero pur nel meritevole lavoro di antimafia sociale soprattutto nelle scuole, poi, ci si parla addosso?

È un deficit di rappresentatività legato alla presenza della Quarta Mafia che tiene costantemente agli ultimi posti per la qualità della vita. Non è più sufficiente allestire alla meno peggio tavoli di concertazione e fare della retorica per nascondere ataviche responsabilità. Nella nostra città ci vorrebbe un’agenzia che sviluppi il capitale umano e sociale.

La mafia è innanzitutto una questione di mentalità, una “zona d’ombra” come diceva Don Tonino Bello, in cui si assiste all’eclissi della legalità, viene meno la pratica e il rispetto delle leggi mentre si incurva la fiducia nella cultura della norma.

Infine, il rapporto con la stampa. Ho letto alcune tue posizioni molto critiche sulla stampa locale, rea, a tuo avviso, di fare poche inchieste. Quali sono le colpe della stampa? C’è forse troppo lobbismo straccione ricattatorio da un lato e spazzinaggio web dall’altro?

Ho una grande considerazione del ruolo della stampa e di quella locale in particolare. Non è semplice oggi essere un giornalista se consideriamo le condizioni ambientali ed economiche. A mio modesto avviso, come sosteneva Gramsci, “il giornalista deve prendere posizione, è un partigiano contro l’indifferenza, collante della società civile, radicato nei contesti locali, tutelato e finanziato tramite reti associative.”  La mia pertanto non era una critica tesa a contestare una categoria ma un invito alla coesione.  A recuperare, come poi anche Papa Francesco ha sottolineato, quella passione e quel coraggio che sono la scintilla di questa professione, “per evitare il rischio di un’informazione fotocopia, basata su notizie manipolate o manipolabili”.

Soffia un vento interessante tra la comunità foggiana. Entusiasmo, competenza, amore per la città. È il momento di lavorare per saldare energie, per costruire il futuro, per generare speranza.

Possibili Scenari è pronta.

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