“La città ideale” di Antonio Fortarezza: «Nella Foggia commissariata per mafia servono azioni di cultura militante che si spingano ai margini per applicare l’ossigeno dei diritti»

by Antonella Soccio

Dal documentario al saggio e libro intervista. Dall’archeologia dimenticata alle periferie criminali. L’artista Antonio Fortarezza per il suo lavoro filmico La città ideale aveva così tanto materiale, umano e documentale, che ha pensato di raccogliere i suoi passi dentro un ricco volume, col quale, con una profonda sensibilità , accompagna il lettore alla scoperta del marcio e del bello di Foggia, città recentemente commissariata per mafia dal Consiglio dei Ministri.

La Quarta Mafia si svela nei silenzi delle persone che incontra, in una rassegnazione grigia.

Il suo piano di osservazione obliquo lo ha condotto ad intervistare i protagonisti della lotta cittadina alla criminalità organizzata- il compianto testimone di giustizia Mario Nero, Giovanna Belluna, Daniela Marcone, Pippo Cavaliere– ma anche l’uomo della strada, l’ultimo anello muto della Foggia mafiosa, come i parcheggiatori abusivi o i commercianti che pagano il pizzo.

“Antonio non ha avuto paura. Delle mafie, dei caporali, dei delinquenti comuni che invece questa terra la sapraffanno quotidianamente. Non ha avuto paura e non ha ceduto, neanche in questo prezioso libro all’ansia scandalistica di chi ha scelto di marchiare Foggia con il timbro dell’infamia. Ha saputo raccontare la sua città ideale, con la delicatezza che lo contraddistingue, portando lo sguardo del lettore, come in uno dei suoi documentari, a rammaricarsi per ciò che non va, ma anche a sognare ad occhi aperti un futuro diverso per chi ha avuto la sorte di nascere e vivere da queste parti”, scrivono nella prefazione l’accademica Madia D’Onghia e l’avvocato Claudio de Martino.

Antonio Fortarezza nel corso di tutto il libro non usa mai parole giudicanti o moralistiche, illumina gli interlocutori, attraversandoli.

Noi di bonculture lo abbiamo intervistato.

Antonio, dopo questo tuo corposo lavoro come giudichi lo scioglimento del Comune per mafia? Ci sono professionisti anche affermati che lo vedono come uno “smacco” per la città. Tu ritieni in qualche modo sia necessario? È forse una opportunità per Foggia?

Definirlo smacco è quasi farlo passare come un evento traumatico improvviso, inaspettato, un’offesa, un affronto ritenuto ingiustificato. Lo smacco Foggia lo sta subendo da tempo, umiliazione e smacco: ogni volta che sia stato perpetrato un reato, nella o contro la PA, contro i commercianti, contro gli imprenditori che anelano condizioni di concorrenza leale e legale non zavorrata dalle mafie, ogni volta che il sacrosanto diritto/dovere di voto del cittadino diventa compravendita di voto. Ecco, ogni volta che ciò è accaduto le conseguenze sono ricadute sull’intera comunità. La percezione (che non è solo un dato immateriale, ma incide profondamente sulle scelte di interesse strategico per il territorio e nel senso civico della comunità) che gran parte del Paese ha della città di Foggia è pessima, e lo è soprattutto per la pervasiva illegalità che l’ha ammorbata negli anni.

In realtà, lo scioglimento per mafia, è tanto doloroso quanto inevitabile capolinea di un lungo periodo di degrado innanzitutto morale in cui la città si è infilata da decenni, in buona parte delle sue categorie apicali soprattutto: quella imprenditoriale e della Pubblica Amministrazione, fatte salve le purtroppo insufficienti buone prassi, che ha dato la stura inizialmente al compromesso morale passivo e al ribasso subordinato al quieto vivere; che è proseguito in un atteggiamento di convenienza quando non di complicità; diventato infine strutturale, fino a rendere complementari gli interessi di amministratori pubblici concussori e corrotti con quelli di un’imprenditoria piegata senza troppo sforzo al sistema corruttivo e quelli mafiosi che hanno dragato le casse del Comune attraverso concessioni di appalti e subappalti condizionati. È l’inevitabile conclusione delle prassi di illegalità diffusa venute alla luce nell’ambito della Pubblica Amministrazione, in particolare nelle ultime due consiliature. E credo che ciò che è già venuto alla luce sia solo la punta dell’iceberg.

Ebbene, tutto ciò non è avvenuto improvvisamente e se ciò è vero, come è vero, vuol dire che il sistema città era già collassato e che lo “smacco” non è altro che la certificazione, il referto di una città malata da tempo, soffocata nella possibilità di raggiungere il suo benessere economico, impedita nella giusta applicazione dei diritti per i suoi cittadini in primo luogo le fasce più deboli, ostacolata nella possibilità di emancipazione civile perché gravemente intaccata nei suoi principali organi vitali.
Quindi, lo scioglimento per mafia lo ritengo necessario e un’opportunità per il suo risanamento. Indispensabile per dare tempo a tutti di ripensare e ripensarsi e aprire alla possibilità di un un diverso rapporto fra le parti: pubbliche, private, della politica, del professionismo, del volontariato. Con il contributo e gli occhi ben aperti del resto della società civile organizzata e consapevole.
Se la Commissione avrà la forza, il coraggio e le spalle sufficientemente protette e farà lo sforzo di andare oltre, per quanto le compete, l’ordinaria amministrazione può farcela. Se le organizzazioni politiche sapranno finalmente dialogare e far proprie le istanze della comunità mettendo al centro i bisogni fondamentali, potranno ridare alla politica il giusto valore etico e la bellezza dell’impegno politico. Se la società civile organizzata non allenterà la guardia e non si perderà in rivoli di istanze di secondaria importanza potrà essere un buon alleato. Se lo Stato manterrà la sua promessa presidiando costantemente il territorio per continuare a stanare reati e illegalità riuscirà sempre più a chiudere gli spazi di manovra in cui le mafie agiscono e i rubinetti da cui sgorgano flussi di denaro pubblico da cui si abbeverano. Il tempo può essere usato a vantaggio della parte sana della città.

Tanti se, è vero, ma ognuno di questi dovrà necessariamente concorrere verso un unico obiettivo: la rinascita della città. Nessuno si salva da solo, tanto più a Foggia.

“Grande confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente” affermò un cinese che la sapeva di lunghe marce e rivoluzioni. Ecco, adattato al nostro contesto, potrebbe essere questo il nostro punto di vista (al netto di ciò che è diventata la Cina oggi, ovviamente).

Mi ha colpito molto il tuo approccio nelle interviste. Il tuo tono soprattutto non cambia col parcheggiatore e col presidente antiusura. Mi ha ricordato un po’ Pasolini. Quanto hai avuto lui come riferimento per il tuo lavoro o è solo una mia suggestione?

Cominciai a leggere Pasolini tempo fa, sbocconcellando fra “Scritti corsari” e “Petrolio”, quei libri a mio parere vanno bene anche leggerli così: finito un capitolo (appunti li chiama) o articolo se ne può leggere un altro, non seguendo necessariamente la sequenza suggerita dall’indice. Poi li lasciai da parte, forse non era ancora il tempo giusto per me. Li ho ripresi qualche anno fa con maggiore consapevolezza.

Le domande nelle sue interviste televisive, come intervistatore non come intervistato (così come le sue risposte da intervistato, per altro), sono dirette, asciutte, “orizzontali” cioè poco o niente “gerarchizzate” democratiche direi, con una sintassi chiara, capace di attivare immediata attenzione, e al tempo stesso avere in quelle parole un peso specifico di significati rilevante. Domande che sollecitano risposte spontanee ed espresse con naturalezza. Risposte che, pur senza essere orientare verso conclusioni preordinate, restituiscono realtà oggettive spesso nude e crude. Ed è proprio per questo che le sue interviste sapevano dare chiavi interpretative del contesto sociale e delle dinamiche osservate come quelle di pochi altri credo seppero e sanno fare: estremamente oggettive pur nel loro essere chiaramente di parte. Sì lo so, può sembrare un ossimoro ma non lo è.

Credo che ci sia poco di più efficace che mettere insieme più interviste nell’ambito di una stessa indagine conducendole secondo un approccio “pasoliniano”: orizzontale e privo di gerarchie referenziali, senza per questo togliere importanza a chicchessia, né alleggerirle di peso specifico. Quanto il parcheggiatore abusivo racconta di sé insieme a quel che denuncia Pippo Cavaliere nella veste di Presidente della Fondazione antiusura sono alcune delle molteplici facce di uno stesso contesto: in questo caso diverse, opposte nelle posizioni, negli obiettivi e nelle conseguenze, ma ugualmente utili alla comprensione dei fenomeni criminali e del “brodo di coltura” in cui la vita di persone ai margini e fatti criminali denunciati hanno origine e luogo.

Sì, in qualche modo hanno sedimentato, forse meglio dire sollecitato, un certo modo di affrontare le interviste fatte da me e di scriverne. Ma devo dire che vorrei “rubargli” soprattutto quella sua capacità di esprimere il pensiero senza perifrasi, usando anche parole scomode quando necessario, disturbanti e corrosive tanto quanto ineludibili. Ma tant’è, lui è Pasolini.

Mario Nero e Daniela Marcone. Due vite segnate in maniera differente dalla criminalità organizzata. Entrambi hanno affidato a te riflessioni che non avevo mai letto. Come sei riuscito a penetrare la loro fiducia?

Più che a me, forse questa domanda bisognerebbe rivolgerla a Daniela. Non più a Mario, purtroppo. Forse perché non sono mai apparso come l’intervistatore d’assalto, con tempi contingentati un tanto a domanda? Forse perché non ho seguito rigidamente la sequenza delle domande preordinate, ma ho lasciato scorrere il flusso della conversazione sui tempi dei miei interlocutori, sulla loro sensibilità e sulla libera associazione della memoria, e cercando di cogliere dalle loro espressioni – quando ne sono stato capace – il “cuore” di quel che stavano esprimendo? Forse perché ho saputo aspettare che i tempi della loro disponibilità fossero maturi? Forse perché ho cercato di dare anch’io parte di me, da mettere in gioco prima (nei mesi precedenti) e durante il tempo della conversazione, affinché sapessero almeno in parte chi stava facendo loro domande sulla loro vita anche personale? Forse tutto questo o invece altro, sinceramente non saprei.

Alla base comunque, ancor prima della fiducia che mi hanno concesso, c’è stata, tanto per Mario quanto per Daniela – in modalità differenti – l’impellente necessità di testimoniare, di fare del loro racconto e del loro vissuto memoria viva; di restituire alla città la parte spesso nascosta perché ancora scomoda; di invitare, chi li avrà ascoltati o letti, a mettere pur dolorosamente malgrado il passare del tempo, il dito nelle ferite non ancora rimarginate, quelle intimamente personali e quelle subite dalla città.

Un missionario scalabriniano mi disse che ognuno è il risultato del percorso, dei luoghi e delle persone incontrate. Io mi porto dentro anche il risultato del tempo passato con Daniela e Mario, di questo li ringrazio prima ancora che per la loro fiducia. 

Più di altri hai sperimentato l’impenetrabilità reciproca dei vari mondi foggiani, un aspetto molto peculiare di Foggia che non c’è in altre città. Le periferie, la borghesia, la cultura, un certo tipo di massoneria. Sono solo lo spaccio e le infiltrazioni il punto di contatto? Come si può invertire questa cesura invalicabile?

Sicuramente la borghesia foggiana, quella imprenditoriale di una certa influenza e fatturato intendo, non vive direttamente le pesanti ricadute del giogo mafioso con la stessa gravità del resto della città. Anzi sembra che non viva proprio la città se non nel mero risvolto delle sue attività d’impresa, appunto quelle che risvegliano gli appetiti delle mafie locali nonché del sistema parassitario e complice che le affianca. Per il resto vive altrove, probabilmente blindata negli attici urbani o nelle seconde e terze case lontani dal degrado morale e urbanistico in cui la città è stata spinta e si ritrova, e comunque avulsa dai problemi piccoli e grandi che la zavorrano.

Le periferie urbane, al netto dei proclami periodicamente diffusi, rimangono ai margini della vita cittadina, e delle decisioni prese a Palazzo di Città, se non in prossimità delle scadenze elettorali con le modalità clientelari e di voto di scambio che conosciamo bene, ormai. Mondi separati, contenitori di umanità scollati dal resto della città, “non luoghi”, dove l’anelata normalità continua ad essere negata a causa di piccole e grandi illegalità e dalla cappa mafiosa che incombe sui quei quartieri. Spaccio (spaccio al dettaglio, perché il narcotraffico viaggia su  altri livelli e dimensioni) ed estorsioni garantiscono denaro fresco pronto all’uso, provvista finanziaria immediatamente disponibile: insieme concorrono a finanziare nuove attività criminali, ad oliare il sistema corruttivo, al welfare criminale. Attività criminali, queste, che utilizzano manovalanza proprio pescando in quelle periferie abbandonate.

Il mondo della cultura, ovviamente non nel suo insieme, ho la sensazione che a volte sia incline a una certa autoreferenzialità. E invece più spesso sarebbero necessarie azioni di “cultura militante” che si spingessero fino ai margini della città, presidiando le periferie, contribuiscano a portare coscienza e consapevolezza, lì dove la cultura può diventare ossigeno, vitale come il pane, come il lavoro, come l’applicazione dei diritti (come le rose si potrebbe aggiungere, e i tulipani e girasoli coltivati appena fuori città). Quello accademico negli ultimi tempi sta dando segni di nuova attenzione aprendosi di più al dialogo con la città e con il territorio, a volte però – ma potrei avere una conoscenza parziale – le iniziative in tal senso sembrano avere un approccio ancora troppo selettivo ed elitario e ancora poco sufficientemente “generoso”. RItengo necessario che le massime istituzioni culturali, università in primo luogo, escano con più decisione dalle loro sedi istituzionali e si calino con più convinzione nelle realtà difficili del nostro territorio. È necessario che il mondo della cultura alimenti coesione sociale, che la cultura diventi collante vivo capace di rinsaldare frammenti slabbrati di città e di comunità lasciata allo sbando per troppo tempo.

Poi ci sono le influenze e i condizionamenti (non solo di natura prettamente mafiosa) nella Pubblica Amministrazione, funzionali e subordinati ad una rete di relazioni estesa e ben articolata. Una rete che tiene insieme più interessi e centri di potere all’occasione complementari: la fetta di mondo economico/imprenditoriale che ha tratto profitto, influenza e potere anche dall’uso e abuso dei rapporti con esponenti della macchina amministrativa comunale; l’ambito degli elitari circoli cittadini, dentro i quali a volte non si disdegna l’aiutarsi l’un l’altro; quello mafioso verso il quale quando capita e serve si viene a patti. In effetti Foggia, seppur piccola città di provincia, di primo acchito appare strutturata a comparti stagni. Non ho contezza se ciò accade anche in altre realtà urbane, certo è che nella città sembra che vivano realtà parallele, che non si sovrappongono né s’incrociano. All’apparenza. Perché chi sa fare “sinergia” lo fa da tempo. Purtroppo in gran parte lo ha saputo fare la parte malsana della città.

Ma la “cesura ancora invalicabile” fra le diverse componenti sane del mondo foggiano può essere superata applicando nuove forme di sana  sinergia e complementarietà di impegno civile in cui il sistema scuola non potrà che essere sempre più cardine e snodo per la formazione di nuove coscienze e di riscatto civile, ciò vale per qualsiasi comunità con forti problematiche sociali come lo è per Foggia. Ricominciare dalla scuola perché gli studenti di oggi saranno a loro volta le/gli insegnanti di domani, le/gli amministratori di domani, le/gli imprenditori, le/i commercianti, le/i lavoratori della Pubblica Amministrazione e del comparto produttivo, consapevoli portatori sani di diritti e doveri, che sapranno esercitarli – se ben formati – in piena libertà e senza costrizione sociale alcuna. Dovrà necessariamente passare attraverso la scuola la possibilità di ricostruire dalle macerie morali sotto cui la città è sepolta una “normalità possibile”.

Certo, ci vorrà confluenza di buone prassi, determinazione, fiducia in sé stessi, pazienza, resistenza, lo Stato. E tempo, non solo quello dato dallo scioglimento per mafia. 

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