La Strage del Bacardi, l’epilogo di uno degli eventi più scioccanti della storia della mala foggiana

by Gabriele Rana

«Quando hanno sparato nessuno si è mosso fino a quando una ragazza non ha gridato “Non c’è più nessuno”– ci racconta oggi, ancora pervaso dall’emozione e dall’inquietudine che solo un evento simile può provocare, Aldo Ciavarella – Corsi per uscire dal locale. Rallentai per non scivolare nel sangue e vidi il corpo di quest’uomo (Corvino) e la sua testa sul pavimento. Intorno alla sua bocca si formavano bolle di sangue, forse respirava ancora. Io e il ragazzo che stava al bar abbiamo corso fino alla Prefettura per cercare i carabinieri, ma non c’erano. Mentre scappavo i palazzi intorno a me sembravano altissimi. Siamo stati reindirizzati alla caserma più vicina e siamo tornati al Bacardi con i carabinieri: lì era un vero macello».

Gennaro Manco si alzò di scatto dolorante: il sangue che fuoriusciva dalla ferita che aveva al petto stava impregnando tutta la camicia. L’odore del ferro in bocca si mischiava con quello dello spumante che aveva appena ingoiato prima che i killer entrassero a combinare quel disastro. Intorno a lui il caos si era impossessato del locale, che era piuttosto angusto. Gente che grida, gente che scappa. Ai suoi occhi annebbiati dal dolore servirono pochissimi secondi per spostarsi dal cadavere martoriato di Corvino a quello della sua donna. Non si sa quale traccia di vita riuscì a vedere in quel corpo ricoperto di sangue, o se fu un impulso dettato dalla speranza, ma si fece aiutare da Leonardo Piserchia a caricare il corpo di Antonietta Cassanelli sulla sua Mercedes. Un gioiellino che un normale netturbino non si sarebbe mai potuto permettere, ma lui non era un semplice netturbino: era il re dell’eroina. 

Il sangue della Cassanelli aveva iniziato a impregnare i sedili dell’auto, e Gennaro Manco si era già lanciato in una disperata corsa verso gli Ospedali Riuniti di Foggia. Via Arpi, la puzza di sangue riempie l’auto. Via Manzoni, le strade di Foggia alle tre del mattino sono completamente deserte, e basta qualche suono di clacson per far spostare le macchine che non lasciano spazio al sorpasso. Piazza Aldo Moro, Manco non sa dire se la nausea è dovuta allo svenimento che sta per avere a causa della perdita di sangue o alla presenza di un corpo quasi cadavere accanto a lui. Via Pietro Nenni, dei puntini neri iniziano a danzargli davanti agli occhi, mentre la vista inizia ad annebbiarsi. È arrivato a viale Pinto, gli pare di sentire dalla Cassanelli un sospiro, forse è solo la sua immaginazione. Riesce a raggiungere l’ospedale prima di svenire, ma la sua amante era già morta. Anche Pietro Piserchia è morto durante il trasferimento in ospedale.  C’è una leggenda secondo cui il giorno dopo Gennaro Manco in ospedale avrebbe detto “Questo Giosuè non me lo doveva fare”, ma questa rimane un aneddoto privo di riscontri.

Ma non fu solo Manco a sfrecciare in auto quella sera. Anche la Caricato, sulla Ritmo con il fidanzato, Monteseno e la Cavaliere, correvano sulla statale per raggiungere al più presto  la loro meta iniziale, Manfredonia. Stando alle confessioni ritrattate, si fermarono solo per bruciare i passamontagna utilizzati nella strage. La testimonianza della Caricato fu registrata a sua insaputa su una cassetta MC/60 da un brigadiere che durante un incontro informale aveva nascosto un registratore pronto a captare rivelazioni decisive. Patrizia Caricato dirà poi durante tutti i processi di essere stata costretta dall’uomo a dire quelle cose perché seviziata psicologicamente. Ma quella cassetta fu l’elemento di svolta per le indagini, e all’ascolto di quella registrazione seguirono le confessioni di Saviano e Favia. 

Saranno in quattro a scontare la pena, con l’accusa di quadruplice omicidio: Giosuè Rizzi, Matteo Monteseno, Francesco Favia e Marino Ciccone.

Quello che è mediaticamente passato alla storia come la Strage del Bacardi è stato uno degli avvenimenti più scioccanti della storia della mala foggiana. È curioso notare come quella notte cambiò la storia della Società foggiana, ponendo le basi per quella attuale di cui tristemente conosciamo le storie più recenti. Segnò l’inizio della fine del clan Laviano, che vide suo fratello e gli inseparabili Fratuzzi lentamente uccisi uno dopo l’altro fino a quando anche lui, dopo una serie di attentati e latitanze, non venne tradito da una persona che faceva parte dei suoi fedelissimi, un Giuda che lo vendette al clan nemico.

Laviano sparì nel 1989, lupara bianca. Il suo corpo venne sciolto nell’acido e la sua testa decapitata venne fotografata: quella macabra polaroid venne mostrata a tutti i suoi nemici. Ma nel Bacardi si può vedere anche la fine dell’impero di Giosuè Rizzi, “il Papa di Foggia” come lo ha definito il pentito Salvatore Annacondia. Il boss passò gran parte della sua vita in carcere, dove scontò 22 anni e 9 mesi. Si dice che fosse completamente pentito della sua vita passata quando, nel settembre del 2012, è stato raggiunto a un semaforo di via Napoli da un sicario e dai suoi colpi di pistola.

È proprio mentre quei colpi lo trafiggevano che, oltre alla vita, perse anche la tiara da pontefice: è caduta a terra senza mai più essere raccolta. Con lui si spegne anche un testimone di quell’epoca, di quell’avvenimento degno di una pellicola cinematografica. 

Aldo Ciavarella, testimone di quella notte infinita, conclude con queste parole: «La notte del primo maggio abbiamo abbassato per sempre la serranda del Bacardi. Nei mesi successivi andai in crisi. Non ho letto nulla dei giornali dell’epoca, volevo dimenticare questa brutta storia. Non riuscivo più a girare tranquillo per Foggia, e non lo facevo. Parlarne ora è come uno sfogo. Non ho mai più rivissuto in sogno gli avvenimenti di quella sera, ma ogni volta che dormivo mi svegliavo madido di sudore. Tuttora quando entro in un locale mi assicuro che ci siano porte per fuggire in caso di pericolo. Il mio non è semplice terrore: è un qualcosa che provo dentro, che mi spingerebbe a correre senza fermarmi più. Come dopo la strage».

A poco più di trent’anni di distanza, la vicenda di quella strage sembra avvolta da una spessa ragnatela. Di quella notte, di quegli spari, di quel sangue, di quel locale entrato nella mitologia nera della città, non resta che una serranda arrugginita in Piazza Mercato.

Aldo Ciavarella, pianista al Bacardi


La storia completa:

PRIMA PARTE

SECONDA PARTE

TERZA PARTE

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