“Il MANN è un portale per connettere Napoli alle grandi dimensioni internazionali”. Intervista al direttore Paolo Giulierini

by Michela Conoscitore

Il MANN, il Museo Archeologico di Napoli, prosegue nel suo percorso di rinascita con un programma di mostre ed iniziative sempre più competitivo a livello internazionale. L’istituzione culturale partenopea è premiata anche dal numero di visitatori sempre crescente: nel 2019 sono stati ben 673.000, con 22.000 ingressi soltanto durante il periodo natalizio appena trascorso. Inoltre, nella Top 30 dei musei italiani, si è piazzato al decimo posto, un risultato mai raggiunto finora dall’Archeologico, nel corso della sua storia.

Il museo, dopo i successi della mostra Canova e l’Antico e la riapertura della splendida sezione Magna Grecia, oltre alla mostra Thalassa prevede per il 2020 di stupire maggiormente i suoi visitatori, provando non soltanto a rendere l’arte e l’archeologia degli argomenti di interesse comune, ma anche far riavvicinare sempre più napoletani e non, ad uno dei vanti del capoluogo campano, quel Museo che vide la sua nascita con la collezione Farnese appartenuta al primo sovrano di Napoli, Carlo di Borbone.

Il fautore di questo successo per il MANN è sicuramente il direttore Paolo Giulierini: nominato nel 2015, e riconfermato nel 2019 alla guida del museo, Giulierini è uno dei super-direttori museali italiani che, insieme ad Eike Schmidt, direttore del polo museale degli Uffizi, e Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico di Pompei, è tra quelli che stanno contribuendo maggiormente, con le istituzioni da loro dirette, all’affermazione del primato culturale italiano nel mondo.

bonculture ha intervistato il direttore Giulierini, in occasione della presentazione della nuova esposizione del MANN, Lascaux 3.0, per farsi raccontare il percorso di crescita della realtà museale più importante del sud Italia:

Direttore Giulierini, potremmo definire il nuovo allestimento del MANN inaugurato oggi, Lascaux 3.0, come un intervento di tutela digitale?

Lascaux 3.0 è un intervento di tutela digitale ma è anche un intervento, in primo luogo, di grande avvedutezza da parte dei francesi, perché il pericolo era continuare a ricevere i grandi flussi turistici nel sito originale. Quindi la scelta coraggiosa è stata quella, in qualche modo, di salvaguardare il sito e riproporlo in una nuova versione tecnologica che, paradossalmente, si sposa benissimo con i contenuti della Preistoria.

Lascaux 3.0, la experience exhibition “Capire il cambiamento climatico”, inoltre la presenza massiva sui social: il MANN è diventato un’istituzione al passo coi tempi. Secondo lei, è un dovere dei musei contemporanei aprirsi sempre più ai visitatori e contribuire a sensibilizzare su date questioni?

I musei oggi devono avere almeno due caratteristiche: parlare col linguaggio dell’età in cui sono inseriti, perché questo museo nell’Ottocento adottava certi sistemi comunicativi che oggi sono desueti, e soprattutto essere impegnato dal punto di vista culturale e non solo, investire anche sul fronte sociale e civile. Un museo che voglia parlare di bellezza, di estetica non può oggi esimersi dall’impegno sociale quindi con la mostra Thalassa noi sostanzialmente denunciamo la situazione gravissima del Mediterraneo, con la mostra Capire il cambiamento climatico, o questa presentata oggi su Lascaux, che ci parla di un ambiente in cui l’uomo era a diretto contatto con la natura, vogliamo richiamare in qualche modo l’urgenza di un ordine e di un’educazione dell’uomo rispetto a questi grandi temi. Non è concepibile, oggi, un uomo che si abbevera di cultura ma che si disimpegna dai grandi temi del sociale.

Il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, ha indicato il MANN come uno dei musei più virtuosi del sud Italia. Qual è la sua opinione in merito alla gestione museale nel Meridione?

La gestione museale al Sud ha dato grandissimi risultati per quello che riguarda le realtà autonome. È indubbio e sono sulla bocca di tutti i risultati di Pompei, di Paestum, di Capodimonte che ha avuto anche il coraggio di aggredire, tra virgolette, il bosco per riportarlo al suo antico splendore. Si tratta, adesso, di passare ad una relazione più profonda tra le realtà autonome e le altre realtà civiche, regionali o dei poli, perché a nostro parere questi grandi attrattori possono costituire un fulcro producendo una spinta, anche per queste realtà che non hanno una gestione diretta, e quindi hanno più difficoltà a programmare.

Lei è riuscito ad intessere forti legami col territorio. Quale ruolo riveste il MANN in una città come Napoli?

Il MANN per Napoli è un volano, è un innesco, un’ispirazione ma soprattutto è un portale per connettere la città anche alle grandi dimensioni internazionali. D’altra parte, Napoli è tanto per il MANN: quando noi portiamo le nostre mostre all’estero, in tutti e cinque i continenti, non vogliamo mai portare soltanto la cultura archeologica ma anche la storia millenaria di questa città. La sua capacità di assorbire cultura, di rendere tradizioni diverse compenetrate e quindi, in un certo modo, di essere una fucina di creatività che deriva dalla ricchezza degli uomini e dei popoli che ha ospitato. Napoli è la somma di questa ricchezza.

L’arrivo al MANN nel 2015, la sua riconferma nel 2019, i visitatori che aumentano in modo esponenziale. Può fare un bilancio, da toscano, di questi suoi anni napoletani? E cosa ha in serbo per il museo, fino al 2023?

Da toscano sono molto fiero, perché qualche secolo prima di me un altro toscano, Marcello Venuti, è giunto qui al servizio del re di Spagna. Sono molto contento perché credo di aver abbinato gli elementi di forza della Campania e gli elementi di forza della Toscana. Naturalmente, in questo processo di crescita, nei prossimi anni abbiamo, da una parte, il rigore del museo che vuole riaprire completamente, alla fine avremo oltre ventimila metri quadri espositivi, dall’altra parte però la coscienza che questo museo debba avere manifestazioni culturali di altissimo livello e a lei cito non solo la prossima mostra sui gladiatori, o sui Bizantini nel prossimo dicembre, ma voglio anche citare una prossima grandissima mostra su Alessandro Magno, prevista nel 2022. Soprattutto, questo museo deve essere un faro dell’italianità all’estero, perché la sua presenza capillare nei principali centri cinesi, russi, degli Stati Uniti permette veramente di invertire quella tendenza che ci vede in qualche modo succubi, ma invece propositivi in Italia e all’estero.  

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