La celebrazione degli Wham! tra successi, nostalgia e rimpianti

by Claudio Botta

Prima di morire improvvisamente a 53 anni per un problema cardiaco nella notte di Natale 2016, nella sua casa di Highgate, a nord di Londra al numero 5 di The Grove (diventata meta di pellegrinaggio dei fans e recentemente venduta per 19 milioni di sterline a un suo grande ammiratore, Stephen Cameron), George Michael stava lavorando ad una nuova versione del documentario ‘Freedom Uncut’ (poi portata a termine dall’amico della vita, David Austin), dopo quella uscita nel 2017, in cui il racconto in prima persona della sua vita e del suo tormentato percorso artistico e professionale era ancora più sincero e diretto, dopo anni di gossip velenoso e di attenzione mediatica morbosa e ossessiva. E stava raccogliendo materiale per celebrare degnamente anche il passato dal quale per decenni aveva cercato di smarcarsi, nella voglia di essere considerato un grande interprete, cantautore, compositore e produttore, e non semplicemente un teen idol: quello con gli Wham!, una parabola folgorante vissuta insieme al compagno di scuola (incontrato per la prima volta a 13 anni) Andrew Ridgeley all’alba degli anni ’80, iniziata idealmente con l’apparizione nel popolarissimo programma della BBC Top of the Pops nell’ottobre 1982 (la loro esibizione portò il loro secondo singolo Young Guns dalla 42esima alla terza posizione nelle classifiche del Regno Unito, e ad invadere le programmazioni radiofoniche) e conclusa con l’ultimo concerto insieme al Wembley Stadium di Londra (The Final) il 28 giugno 1986 – tre giorni dopo il suo 23esimo compleanno – davanti a 72mila spettatori in delirio e in lacrime al tempo stesso, una performance indimenticabile ed ospiti del calibro di Simon Le Bon ed Elton John.

Trenta milioni di copie vendute dei due album, Fantastic e Make It Big, e della raccolta The Final. Una serie di singoli di enorme successo, diventati colonna sonora di una generazione alla ricerca di divertimento, leggerezza e ottimismo, come Wake me up before you go go o Club Tropicana (che poi era una satira velata alla formula ‘all inclusive’ proposta dal modello nascente dei villaggi turistici e alla società inglese del periodo), o permeati dalla passione di George per la black music (Everything she wants e I’m your man), ballad melodicamente perfette e destinate a far innamorare milioni di persone (Careless whisper) e a diventare dei classici (Last Christmas): sono stati raccolti in un cofanetto celebrativo di un quarantennale che merita di essere ricordato e soprattutto rivalutato, anche da chi ha a lungo snobbato un duo che ha riempito il pop mondiale di contenuti. Non una semplice ‘operazione nostalgia’, che verrà alimentata esponenzialmente dal film documentario che dal 5 luglio verrà trasmesso su Netflix, diretto da Chris Smith e prodotto da John Battsek e Simon Halfon, realizzato attraverso un collage di interviste inedite e una imperdibile galleria di immagini e video inediti e che sono entrati nella storia della musica e del costume, un viaggio in un tempo ricco di sogni e di rimpianti.

I capelli biondi ossigenati di George Michael, l’incubo della sorella parrucchiera Melanie (anche lei prematuramente scomparsa il giorno di Natale, tre anni dopo il fratello) costretta a volare da Londra a Miami per sistemarli per il video di Careless whisper (le scene in cui indossa un cappellino o in cui lui appare in penombra sono dovute proprio dalla necessità di nascondere le differenze), gli orecchini a cerchio di dimensioni differenti diventati iconici generazioni dopo generazioni. I video veicolo fondamentale per il lancio planetario di due ragazzi lanciati senza paracadute: il Pike’s Hotel di Ibiza era l’angolo di Ibiza meta privilegiata delle rockstar inglesi per la location isolata e la privacy che avvolgeva la struttura (nel 1987 Freddie Mercury organizzò lì il party per il suo 41esimo compleanno, di cui si parla ancora oggi), con Club Tropicana è diventato il più celebre villaggio vacanze al mondo. Il tour in una Cina all’epoca off limits per gli occidentali, vissuto con stupore, incoscienza ed entusiasmo, la musica per la prima volta da quelle parti ponte per unire culture profondamente diverse e abbattere barriere e steccati (Freedom). La partecipazione prima a Band Aid, il supergruppo nato nel novembre 1984 per iniziativa di Bob Geldof e raccogliere fondi per l’Africa devastata da una terribile carestia attraverso il lancio del singolo Do they know it’s Christmas (la voce di George accanto a quella di Bono, Sting, Paul Young, Simon Le Bon, e tanti tanti altri), e poi al Live Aid, sul palco di Wembley il 13 luglio 1985 non per proporre propri pezzi ma accanto alla leggenda Elton John, la vera consacrazione e una sorta di ideale passaggio del testimone, Andrew defilato ai cori e George già di fatto solista di riconosciuto talento. I diritti d’autore per Last Christmas devoluti per la stessa nobilissima causa, e l’incredibile storia della canzone diventata dal 1984 la colonna sonora di ogni festività natalizia ma che ha raggiunto il primo posto nella classifica inglese soltanto lo scorso anno.

L’annuncio dello scioglimento vissuto come un incubo dai fans e come una liberazione da George, diventato intanto consapevole della sua omosessualità ma prigioniero della sua identità di popstar adorato da milioni di ragazze e donne (compresa lady Diana, che lo frequentò durante e dopo la separazione dal principe Carlo: George partecipò al suo funerale e le dedicò la struggente canzone You have been loved): ma paradossalmente l’incredibile successo del primo album solista Faith, che lo proiettò definitivamente nell’olimpo della musica mondiale accanto a star come Michael Jackson, Madonna, Prince, amplificò questo suo disagio e la sovraesposizione che gli impediva di vivere la vita che avrebbe voluto, sceso dal palco. Andrew invece, dopo un disco solista di scarso successo, si è dedicato alla sua passione, il surf, in Cornovaglia, e ha vissuto lontano dai riflettori fino alla morte del suo amico e partner di un’avventura straordinaria e irripetibile. Da allora è diventato più attivo sui social, e si è speso per custodire memoria e ricordi preziosi attraverso interviste, testimonianze e un bellissimo libro (Wham! George & Io), in Italia editato da EPC, racconto in prima persona di quei quattro anni ricchissimo di aneddoti e confessioni. “Questo memoir è dedicato al ricordo del mio migliore amico, con il quale ho fatto l’unica cosa che avevo sempre desiderato fare e che è stato l’unica persona con la quale avevo sempre immaginato di poterla fare”, le sue toccanti parole di presentazione, che alimentano la rabbia e il rimpianto per un destino che ha loro impedito di ritrovarsi, anche soltanto per una volta. George Michael nei mesi scorsi è stato la star più votata di tutti i tempi dal pubblico (oltre un milione e quarantamila preferenze raccolte da febbraio a maggio) dopo la candidatura lanciata dall’academy della Rock’n Roll Hall of Fame: un ulteriore, doveroso riconoscimento postumo, che verrà riconosciuto anche al ragazzino testimone di un periodo in cui tutto sembrava possibile, e forse lo era davvero.

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