I ragazzi impazzivano per Sandokan, i critici lo distruggevano. Lui preferiva i primi che spesso gli chiedevano di spedirgli copie autografate dei suoi libri. Quanto avrebbe voluto farlo, Emilio, accontentare i piccoli adoranti. Ma non poteva, non aveva soldi e la famiglia, tra figli e suocere, era arrivata a contare sette membri.
Andrea Silvestri
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Non era una festa qualunque, certo, era il Black and White Ball. 28 novembre 1966, Plaza Hotel, il party del secolo ancor prima delle dieci di sera, ora fissata d’inizio.
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Attraverserete la stanza dove la madre partorì, vedrete utensili e catini di rame il cui utilizzo è ormai dimenticato; entrerete poi nel patio, pieno di glicini e rose di San Francesco, dove tu, Federico, giocavi con i tuo fratelli.
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Per rivedersi, i due fratelli si diedero appuntamento a mezzogiorno, all’entrata del Louvre. Da quel giorno non ci fu bisogno di scriversi lettere piene di speranza per il futuro, lettere in cui Vincent scriveva minuziosamente ogni sua scelta visiva (“uso non uno, ma 27 neri”) e di delusione: Theo non riusciva infatti a vendere i quadri del fratello
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1897, Oscar Wilde è appena uscito dalla grigia prigione della grigia Reading. Visibilmente dimagrito, decide che l’Italia sarà la sua nuova casa. Si fa chiamare Melmoth, Sebastian Melmoth. Sebastiano come il suo santo preferito, perché vorrebbe morire nel conforto della fede.
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L’altro Jack si chiamava Jan Kerouac, l’unica figlia avuta dal cantore di una generazione. Era nata 15 anni prima da un matrimonio lampo, veloce come la guida dell’amico Neal Cassady
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Williams e Vidal saranno sempre di casa, qui a Roma. Con Anna Magnani Williams continuerà a scambiarsi lettere piene di rispetto, apprensione per la salute di entrambi. Amicizia vera.
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