“Picasso, Fontana, Burri e il Novecento” è il nuovo titolo di un’imperdibile mostra che Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia è lieta di accogliere dall’11 novembre 2021 al 7 gennaio 2022. L’esposizione, curata dal gallerista Giuseppe Benvenuto, è il prolungamento di una precedente mostra intitolata “Picasso e il Novecento”, dedicata ai più grandi maestri del Novecento, con una variazione sul tema che prevede l’autorevole ingresso di Lucio Fontana ed un’ulteriore opera di Pablo Picasso. Il ricchissimo repertorio comprende prestigiosi capolavori di artisti internazionali, articolati entro un percorso espositivo che, partendo dalla prima metà del secolo scorso, ci offre uno spaccato dell’evoluzione artistica fino ai nostri giorni. L’itinerario artistico sorprendentemente vasto e differenziato si compone di un corpus di circa 30 opere – tra cui il celebre Harlequin(1966, 54×69 cm) del grande genio del XX secolo Pablo Picasso (1881-1973), litografia parte di un’edizione limitata di 60 esemplari firmati dall’artista.
Nell’opera tutto contribuisce a creare una sensazione di malinconia: dalla predominanza del blu e del rosa negli abiti, all’atteggiamento mesto e pensoso, fino allo sguardo sommesso di un Arlecchino estremamente lontano dallo stereotipo della maschera allegra, solitamente dedita a scherzi e burle, cui siamo abituati. L’arte di Picasso, a lungo teatro dell’emarginazione sociale, riserva molto spazio ai personaggi del circo e alle maschere della commedia dell’arte e in particolare l’Arlecchino è un tema ricorrente con cui esprimere vicinanza al mondo degli emarginati.
L’artista conosce nel corso del tempo una profonda evoluzione, cambiando radicalmente, e con fare quasi camaleontico, la fisionomia del proprio fare arte: dopo gli esordi spagnoli ed il “periodo blu” (1901-1904), affronta l’esperienza parigina ed il “periodo rosa”(1904-06). Successivamente approda ad una semplificazione delle forme in puri volumi, testimoniata da Les demoiselles d’Avignon (1907 – New York, MoMA), opera alla quale lavora per sei mesi, realizzando moltissimi disegni preparatori. Il disegno è infatti per Picasso il modo per vedere la forma, un momento imprescindibile ai fini del rigore architettonico dei suoi personaggi.
L’importanza del disegno è rivendicata anche dal pittore metafisico Giorgio de Chirico (1888-1978), secondo il quale esso non è che il luogo in cui nasce il pensiero, necessario per poter dipingere, così come è essenziale conoscere l’alfabeto per poter scrivere. Il disegno di De Chirico esposto in Galleria, intitolato Biro su Carta (1964), è firmato in basso a destra ed archiviato presso la Fondazione Giorgio e Isa De Chirico (Roma).
L’opera
è un abbozzo di personaggi dalla messinscena de Il Prigioniero, frutto
del pianista Dallapiccola. Attraverso gli schizzi, dunque, anche De Chirico
costruisce in maniera preliminare un dipinto, anticipandone l’effetto finale
dell’opera pittorica.
I primi autentici paesaggi cubisti di Picasso, risalenti al 1909, danno avvio
alla fase analitica in cui la scomposizione dell’immagine determina una
moltiplicazione dei punti di vista. Segue la fase sintetica (1913-14), in cui
si accentua il carattere sintetico delle forme e compaiono citazioni
sovrapposte di carta da parati, finto legno ed elementi extra- pittorici. È a
Picasso che infatti si deve l’invenzione del collage – avvenuta nel 1912 con Natura
morta con sedia impagliata (Parigi, Musée Picasso) – una pratica che,
assieme al papier collédi Braque, gioca un ruolo di primaria importanza
nell’ambito dello sviluppo dell’arte successiva, dal Dadaismo, alla Pop Art,
fino all’Informale materico. È in primis con Picasso e Duchamp – il cui primo
ready-made, Ruota della bicicletta (The Israel Museum, Jerusalem, 1913),
nasce prima del movimento dadaista – che l’oggetto comune, estrapolato dalla
quotidianità, si trasforma in oggetto artistico. Successivamente il Dadaismo
eleva l’oggetto d’uso a dignità di opera d’arte, attraverso accostamenti
inediti e, nel farlo, anticipa la Pop Art. Quest’ultima, anziché l’oggetto
usato e gettato, manipola l’oggetto consumistico, ingigantendolo o proponendolo
in serie. Prima di dar vita al movimento dadaista assieme a Duchamp e di
dedicarsi alla fotografia, Man Ray (1890-1976), grande sperimentatore del XX,
realizza le prime opere pittoriche, fra le quali in mostra un dipinto Senza
Titolo(45×62,50 cm), dalle forme geometrizzanti e dai colori
accesi, firmato a matita in basso a destra su Carta Arches (France) e
proveniente dalla Galleria Il Fauno di Torino.
Del massimo rappresentante della Pop Art americana, Andy Warhol (1928-1987),
Contemporanea Galleria permette di ammirare da vicino la serigrafia intitolata Ladies
and Gentlemen II.130(1975), parte di una provocatoria serie di
10 tele realizzate in edizione limitata di 125 esemplari – firmati e numerati
in originale – commissionata dal collezionista Anselmino un anno prima.
Il
soggetto, con lo sguardo sfrontato e diretto verso chi guarda, è dapprima
fotografato con una polaroid ed in seguito dallo scatto è realizzata la
serigrafia, completando il tutto con larghi tocchi di colore. Con questa serie
l’artista prende le distanze dagli iconici ritratti dedicati alle celebrità,
fotografando le drag queen al The Gilded Grape, il night club di New York sulla
West 45th Street, e consentendo così l’ingresso nell’arte a figure che non ne
hanno mai fatto parte e considerate a lungo ai margini, catturate in tutta la
loro teatralità.
Restando sull’onda della Pop Art italiana ed europea, nel percorso espositivo
incontriamo due Smalti e acrilico su tela(1990-96) di
Schifano (1934-1998), artista e regista italiano ed anche il principale esponente
della Scuola di Piazza del Popolo, movimento artistico nato a Roma negli anni
’60. Schifano si allontana dalle fredde immagini patinate di Warhol, dando
all’atto creativo un accento più emotivo, ravvisabile nelle pennellate
irregolari, testimoni della materialità del gesto pittorico. Appartengono alla
medesima scuola anche Giosetta Fioroni (1932), Valerio Adami (1935) e Tano
Festa (1938-1988), dei quali la mostra presenta rispettivamente L’angelo
custode(2003, 70×50 cm), Disegno(1970) e Tecnica
mista su carta intelata(1962). L’opera della Fioroni è una
tecnica mista su carta che rivela la sua caratteristica visionarietà,
attraverso la quale esprime la sua infanzia, memore dei lavori di Klein,
apprezzati negli anni parigini. Schizzi, macchie e campiture di colore si fanno
così portatori di una narrazione e di un messaggio legato al ricordo e al
substrato della memoria. Adami inizialmente si esprime prediligendo un’arte
astratta, in seguito accoglie la figurazione, ispirandosi alla Pop Art
americana di Lichtenstein ed avvalendosi di stesure piatte entro contorni neri
definiti. La pittura di Festa è fatta di monocromatici ed isolati oggetti di
uso quotidiano che in quanto dipinti, diventano pittura ed entrano nel mondo
dell’arte, perdendo la loro funzione oggettuale. Questi oggetti – specchi,
calendari, armadi, ciack e via dicendo – sono immobili, passivi, sempre uguali
a sé stessi ed immuni ai segni del tempo che passa.
Al movimento della Scuola di Piazza del Popolo si avvicina anche Jannis
Kounellis (1936-2017), importante esponente dell’Arte Povera e del quale,
presso la Galleria, si può osservare un disegno Senza Titolo(1990,
20×30 cm), realizzato con tecnica mista su carta (20×30 cm). Fautore di un’arte
intesa come uscita dal quadro, in cui l’artista passa dalla rappresentazione
alla presenza, nei suoi disegni si nasconde il substrato più intimo e profondo
di sé, in un horror vacui di traiettorie confuse sulla superficie bianca.
È a Lucio Fontana (1899-1968), ideatore dello Spazialismo, che si deve un’autentica
rivoluzione spaziale, attraverso incisioni e tagli nella tela, alla ricerca di
possibilità inedite oltre il quadro. Con il Manifiesto blanco l’arte di
Fontana, concepita come un’unità fisico-psichica, focalizza i propri elementi
fondanti, quali luce, suono, tempo e spazio. La serigrafia con incisioni
intitolata Concetto spaziale (1965, 49.6 x 69.9 cm), presente in
mostra, è firmata e datata in basso a matita. La tela smette di essere un
supporto, divenendo materia plasmabile, modificabile, oltrepassabile ed in
grado di inglobare lo spazio nell’opera d’arte.
Con Alberto Burri (1915-1995) ed Enrico Castellani (1930-2017) il processo creativo continua a rispondere alla necessità di esprimersi in maniera totalmente libera, fino ad intaccare la normale configurazione dell’oggetto e del supporto. Entrambi, tra gli anni ’40 e ’60, lavorano sul superamento del concetto di tela: il primo manipolando sacchi e plastiche, attraverso processi di combustione, tagli e cuciture; il secondo facendo uso di superfici estroflesse e introflesse. Esponente dell’informale materico, Burri dà un significato nuovo e poetico alla cosa banale e all’oggetto ritenuto uno scarto. Dell’artista la mostra accoglie Museo di Capodimonte(1978, 64,50×89,50 cm), opera appartenente alla Fondazione Palazzo Albizzini, Collezione Burri, Città di Castello 1986, con tiratura e firma in basso a matita.
Castellani sviluppa l’eredità di Lucio Fontana, trasformando la bidimensionalità della tela in uno spazio fisico e concettuale e negli anni ’60, assieme a Piero Manzoni, dà vita alla Galleria Azimut di Milano, il cui punto di partenza è l’indagine del tempo, dello spazio e del ritmo nel supporto della tela violata. Superficie bianca (58×44 cm) è un’opera portatrice di una notevole carica emotiva che offre una partecipazione attiva, invitando lo spettatore ad esplorare realtà intime mai indagate.
Anche
la Dadamaino (1930-2004), pseudonimo di Edoarda Emilia Maino, entra in contatto
con gli artisti del gruppo Azimuth. Osservabile in galleria è il suo Progetto
per serigrafia (Inversione Cromatica)(1975, 30×30 cm), un
acrilico su tela cartonata, proveniente dall’Archivio Dadamaino, in cui nega il
colore, optando per un bianco totale da cui scaturisce un ritmo dinamico.
Fra gli altri artisti presenti in Galleria incontriamo Raoul Dufy (1877 –
1953), Fortunato Depero (1892-1960), Massimo Campigli (1895 – 1971), Maria Lai
(1919 – 2013), Arnaldo Pomodoro (1926), Dennis Oppenheim (1938 – 2011), Enzo
cucchi (1949) e Haring Keith (1958-1990).
Dufy si muove all’interno del fauvisme, prediligendo una linea geometrizzante,
un uso del colore puro, porzioni quadragolari e tinte piatte. La massima
semplificazione delle forme è evidente nell’opera Senza titolo(15×12 cm), presente alla mostra – che verrà inserita nel Catalogue
raisonné des projets de tissus de Raoul Dufy, attualmente in preparazione a
cura di Fanny Guillon–Laffaille.
Campigli, pseudonimo di Max Ihlenfeldt e firmatario del “Manifesto della
pittura murale” (1933), matura dal fascino dell’Arte Etrusca il gusto per le
composizioni arcaicizzanti. Circondato da figure femminili sin dalla primissima
infanzia, la sua pittura guarda all’universo femminile rappresentato con moduli
geometrizzanti e tinte chiare. Ne è un esempio l’opera esposta in mostra, intitolata
Le passeggiatrici(1957, 24×34 cm) – con tiratura a matita
in basso a sinistra e firma e anno a stampa in basso a destra – raffigurante
delle donne dai corpi rotondi, eleganti ed ingioiellate.
Depero è un esponente del secondo Futurismo fortemente legato alla cultura
post-cubista, che porta avanti la deformazione dell’oggetto avviata da Picasso,
ricostruendo in maniera nuova gli oggetti. Dell’artista in Galleria è
osservabile un Invito(22×15 cm), realizzato per la mostra
“Depero futurista” presso Galleria Fonte d’Abisso (1992), con legatura in
cartoncino editoriale bullonata. Depero è infatti il più autorevole
cartellonista pubblicitario tra i Futuristi, lavora a New York per copertine di
riviste e lancia il “Manifesto dell’arte futurista della pubblicità” (1931),
facendosi promotore di una comunicazione dinamica che si avvale di un’immagine
pubblicitaria veloce e affascinante, caratterizzata da grandi campiture piatte
di colore.
Figura di spicco nell’arte italiana dal secondo dopoguerra in poi, Maria Lai è
un’artista nota soprattutto per le sue opere tessili. Il percorso espositivo ci
consente di ammirare l’opera Senza titolo(2001, 12,50×20
cm), proveniente da una Collezione privata di Cagliari, con firma ed anno in
basso a destra. La tavola illustra le morbide sagome stilizzate di alcune donne
intente a svolgere le tipiche attività femminili, svelando un linguaggio
artistico che affonda le proprie radici nella tradizione sarda.
Pomodoro è uno scultore che lavora molto sui disegni, concepiti sia come
indagine indipendente che come fase preliminare alla progettazione di opere
plastiche. In mostra è esposta l’opera De Cantare Urbino(1985),
una cartella con otto incisioni a colori in calcografia con poesie di Miklos N.
Varga, ed un contenitore in legno (48×38 cm) con un bassorilievo in bronzo
dorato, firmato e numerato 30/99 sulla custodia e su ogni incisione. Si tratta
di un’edizione di 130 esemplari di cui 99 in numeri arabi, 25 numeri romani e 6
segnati con le lettere dell’alfabeto destinati ad personam.
Tra i pionieri della Land Art incontriamo Oppenheim che, a partire dagli anni
’80, si dedica soprattutto alla realizzazione di grandi installazioni in spazi
pubblici. La Galleria accoglie il progetto su carta Gallery sculptures(1975), con firma a pennarello in basso a destra e proviene da un’edizione
Deluxe. L’opera comprende una tiratura completa di 75 esemplari e 10 H.C. della
cartella “Proposal, 1967-1974” che, a sua volta, contiene progetti dettagliati
di 62 installazioni in gran parte non realizzate. Le litografie erano suddivise
cronologicamente in quattro periodi codificati a colori: la linea blu per il
1967 e dieci progetti; la linea seppia dal 1967 al 1968 per quattordici
progetti; la linea nera dal 1968 al 1971 per tredici progetti; e la linea rossa
dal 1971 al 1974 per venticinque progetti.
Per Cucchi disegnare è un istinto naturale ed uno strumento molto potente in
grado di fornire un nuovo modo di vedere il mondo. L’artista si dedica alla
figurazione dopo l’esordio concettuale, diventando uno dei massimi
rappresentanti della Transavanguardia Italiana. Fra i disegni dell’artista, il
pubblico può ammirare quello intitolato Il gatto(1980).
Keith è il padre della street art statunitense ed icona pop degli anni ’80, il
cui stile è immediatamente riconoscibile grazie ai suoi buffi personaggi dalle
forme arrotondate. Dell’artista, esponente del Graffitismo Metropolitano, è
presente l’opera Senza titolo(1984, 39,50×29 cm) con
firma ed anno in basso a destra, oltre al Certificato di autenticità della
firma di Frank P. Garo Fhe – Forensic Handwriting Examiner, Coopersburg, PA.
Questi solo alcuni dei nomi degli artisti le cui opere presenzieranno presso Contemporanea Galleria d’Artedi Foggia nella stagione autunnale. A completare la cospicua raccolta, non mancheranno opere di Galliani, Bay, Bonalumi, Ceroli, Dorazio, Haring, Guttuso, Mambor, Masson, Nespolo, Paolini, Sutherland e tanti altri.