Diego Galdino, da barista a scrittore di successo

by Daniela Tonti
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Diego Galdino vive e lavora a Roma dove ogni mattina si alza alle cinque per aprire il suo bar in centro da cui ha tratto idee e ispirazioni che hanno dato vita ai personaggi e alle storie raccontate nei suoi libri.

Definito il “Nicholas Sparks italiano”, i suoi libri – pubblicati con Sperling & Kupfer – hanno scalato le vette delle classifiche da Il primo caffè del mattino a Mi arrivi come da un sogno e sono stati tradotti con successo in Spagna, Germania e Polonia. Bonculture l’ha intervistato.

Partiamo da una domanda banale quanto spontanea, dove trova il tempo di scrivere i suoi romanzi? Il lavoro in un bar è uno dei più usuranti e difficili in termini di gestione del tempo. Sveglie all’alba, turni molto lunghi, pochi festivi… Lei non dorme mai? O da quando è iniziata la sua carriera di scrittore ha per forza di cose dovuto delegare la gestione della sua attività? Ha mai pensato a lasciare il bar?

La mia è un po’ una doppia vita come quella di Clark Kent e Superman. Mi sveglio tutte le mattine alle quattro per scrivere un’ora e mezza, poi mi travesto da protagonista dei miei due romanzi dedicati al caffè e scendo al Bar a preparare il caffè agli altri personaggi delle mie storie. Poi se durante la giornata mi viene qualche buona idea mentre sono dietro al bancone del bar me l’appunto sul cellulare per poi svilupparla la sera a casa. In realtà, la cosa più bella è quando vengono al Bar lettori dei paesi in cui sono stati pubblicati i miei romanzi, per farsi fare una dedica o scattarsi una foto dietro al bancone insieme a me. Vedere le loro facce incredule quando entrano nel Bar e mi trovano dietro al bancone a fare i caffè come il protagonista dei miei romanzi è qualcosa di bello a cui non mi abituerò mai. Lì si rendono conto che è tutto vero, che non mi sono inventato niente, che sono entrati a far parte delle mie storie come i personaggi dei libri che hanno letto. Per questo credo che il bar e lo scrivere siano per me due cose inscindibili. Lasciare il Bar sarebbe come lasciare casa. E poi trovo fantastico dare ai miei amici lettori un posto dove potermi trovare sempre.

Come nascono le storie che racconta nei suoi romanzi? S’ispira alla sua vita e a quello che vede dalla sua postazione dietro il bancone o c’è anche molta fantasia nelle storie d’amore?

Credo che il bar si presti bene come fonte d’ispirazione, perché racchiude al suo interno una galassia di persone diverse che girano intorno al bancone come i pianeti intorno al Sole, prendendo dal caffè quel calore, quell’energia che ti accompagnerà, anzi che ti farà compagnia per il resto della tua giornata. Di sicuro i miei due romanzi dedicati al bar e al caffè sono i miei romanzi più autobiografici, perché a parte l’avvenenza fisica e l’età, non posso negare che il Massimo delle due storie rappresenti me stesso in tutto e per tutto. Io però scrivo per evadere dalla mia quotidianità, quindi i romanzi che maggiormente mi rappresentano forse sono i tre che con il bar ed i caffè non hanno niente a che vedere. La verità è che mi piace molto di più creare storie dal nulla, magari trovando ispirazione da foto di posti o case particolari.

I suoi sono soprattutto romanzi d’amore secondo lei quanto bisogno c’è nella gente di ritrovare storie di sentimenti, di colpi di fulmine e incontri che sembrano casuali ma che sono scritti nel destino? Lei crede nel colpo di fulmine?

Io credo nel destino e nell’amore. Sono diventato uno scrittore per merito – o colpa – di una ragazza adorabile che a sua volta adorava Rosamunde Pilcher, una scrittrice inglese che di storie d’amore se ne intendeva parecchio. Un giorno lei mi mise in mano un libro e mi disse: «Tieni, questo è il mio romanzo preferito, lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile». Il titolo del romanzo era Ritorno a casa e la ragazza aveva pienamente ragione: quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era I cercatori di conchiglie. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era quello di vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie, ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: «Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere». Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia, un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza e forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio e in fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me, la voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene. Ecco io penso che le persone abbiano bisogno di queste storie, perché se metti l’amore in ogni cosa che fai, tutto diventa migliore.

Crede nel potere consolatorio della lettura, insomma spesso i romanzi sono il rifugio ideale dai problemi della vita quotidiana e hanno quindi quasi una forza rassicurante in grado di trasmettere spesso energia positiva.. segue anche questo quando crea le sue storie?

Di sicuro per me scrivere ha la valenza di una seduta terapeutica, come se il libro fosse uno psicologo che ti ascolta senza pregiudizi e ti giudica in modo oggettivo. Sei consapevole che grazie a lui puoi dire la verità, tutta la verità, forse quella che non hai mai detto a nessuno, senza doversi preoccupare delle conseguenze. E la stessa cosa vale per la lettura, leggendo ci affidiamo ad un libro affinché esso possa riuscire a portarci per qualche ora in un altro mondo in un’altra vita, dandoci la possibilità di diventare i protagonisti di una storia diversa dalla nostra. Come diceva Umberto Eco leggere ti aiuta a vivere più vite, non credo sia una cosa da poco.

In tanti le hanno chiesto le ricette del caffe e noi invece le vogliamo chiedere la ricetta per un romanzo di successo. In Italia si legge sempre meno e soprattutto non sempre i prodotti di qualità trovano una giusta strada commerciale che li valorizzi. Come si arriva a questi risultati e a questi numeri? Si sente di dare dei consigli a giovani scrittori magari anche di talento che non sanno dove sbattere la testa?

Purtroppo o per fortuna ora tutto è reso più facile o più difficile dai social. Le grandi case editrici hanno bisogno di fare numeri più che le parole e, in un paese in cui non si legge tantissimo, diventa logico ed inevitabile puntare su persone o personaggi che hanno già un seguito di persone molto nutrito. Così quando il libro uscirà le vendite saranno quasi certe, perché basterà che un quarto di quelle persone che seguono sui social quella persona comprino il suo libro per garantire un numero di libri venduti giusto per la casa editrice. Basti pensare che in Italia a volte ci sono blogger che diventano più famose e seguite degli autori di cui recensiscono i libri. Non è normale. Per questo mi verrebbe da dire a chi ha velleità di essere pubblicato da case editrici importanti d’investire sui social, crearsi un nutrito numero di seguaci, così da avere qualche possibilità in più di essere notato e preso in considerazione. Ma io resto uno stupido romantico, che crede ancora nella scrittura, nella meritocrazia e sul fatto che se Dio ti ha dato il dono di creare dal nulla una storia ci sarà un motivo, un fine, per questo dico sempre a chi mi chiede dei consigli è di non smettere mai di credere nei propri sogni e soprattutto di non smettere mai di scrivere, perché solo scrivendo ci potrà essere la possibilità che qualcuno ti legga e cambi la tua vita letteraria, perché se è scritto che ciò debba succedere, in un modo o nell’altro succederà.

La sua è una scrittura anche molto cinematografica, ha mai pensato ad adattamenti magari legati alla serialità televisiva?

A dire la verità i diritti del mio primo romanzo Il primo caffè del mattino sei anni fa furono acquisiti da un produttore italiano con la seria intenzione di portare il mio libro sul grande schermo, ma poi qualcosa è andato storto e non se n’è fatto più nulla. Ma ora, c’è di nuovo una buona possibilità che ciò accada, proprio in questi giorni sono in attesa di una risposta da un produttore cinematografico straniero molto importante. Quindi incrociamo le dita con il silicone e speriamo che stavolta si arrivi fino in fondo… Alla sala.

Daniela Tonti

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