Percoco, il noir di Marcello Introna diventerà presto un film

by Claudia Pellicano

Una famiglia piccolo borghese, un padre ferroviere dalla condotta irreprensibile, una madre devota e dedita al decoro e all’affermazione sociale dei figli. Due coniugi che preferiscono vivere nel diniego, piuttosto che affrontare le disgrazie. Un fratello maggiore con la testa tra le nuvole, che divora romanzi gialli e rimane invischiato in svariati furtarelli puntualmente scoperti dalla polizia. Un fratello minore affetto dalla sindrome di down. Bari, la provincia, gli anni del dopoguerra e la voglia di riscatto. È questo il contesto in cui cresce Franco Percoco, un millantatore, un insofferente, un «razzista intellettuale», e l’autore di uno dei crimini più efferati del secolo scorso.

Su di lui Marcello Introna incentra il suo romanzo d’esordio, Percoco (Mondadori) una storia intrisa, allo stesso tempo, di dolore, ironia e umorismo nero, da cui verrà presto tratto un film.

Noi di bonculture l’abbiamo intervistato.

Può fornirci qualche anticipazione? C’è già un attore per il ruolo di Franco? Da chi vorrebbe fosse interpretato?

Il film è in fase di preparazione. Ad oggi si lavora sulla sceneggiatura ed è prematuro pensare ad un attore che possa interpretare Franco. Dieci anni fa avrei detto che il mio amico Riccardo Scamarcio sarebbe stato perfetto per quel ruolo. Ma oggi non siamo a dieci anni fa. Per quanto mi riguarda, l’attore che verrà scelto dovrà necessariamente essere pugliese. Non recitare la parte del pugliese.

Cosa vorrebbe che il film restituisse del libro?

La maggior parte possibile, ma so anche che è impossibile.

Cosa l’ha affascinata di questa storia?

Che Franco Percoco vivesse alle spalle della mia attuale abitazione, ad esempio. Che alle spalle di casa mia sia accaduta una cosa così tanto terrificante, ad opera di un mio conterraneo.

Quali sono i suoi modelli letterari di riferimento? Corrispondono alle menzioni che ha disseminato nel libro?

Nel romanzo ho descritto i reali gusti letterari di Franco Percoco. Mi trovo d’accordo con lui su Steinbeck, non su Cronin, che non apprezzo, come non apprezzo tutti gli scrittori “troppo letterari”. Ho una personale idolatria per John Fante e tutti i suoi epigoni, tra cui Bukowski. Mi sarebbe piaciuto scrivere come Knut Hamsun. Ma non sono Knut Hamsun, ho solo la possibilità mentale di capire che non lo sarà mai.

Franco Percoco possiede tutti i tratti di una personalità disturbata: scarsa empatia, egocentrismo esasperato, narcisismo, e totale assenza di rimorso. Però è dotato anche diverse qualità: ha inventiva, intraprendenza, curiosità, immaginazione. Perché la sua vita ha preso una piega così drammatica? Era inevitabile? Il crimine ha una capacità attrattiva?

È una domanda alla quale è impossibile rispondere. Percoco amava molto gli animali e diffidava delle persone. Su questo ha tutta la mia comprensione. Il crimine certamente ha una sua forma di fascino, non si spiegherebbe altrimenti tutta la produzione di fiction in cui i malavitosi vengono presentati come affascinanti, e non come lo schifo che riduttivamente sono.

Colpisce che, negli anni ’50, la Gazzetta del Mezzogiorno e i cronisti che diedero risalto alla notizia siano stati sanzionati con l’accusa di aver diffuso materiale raccapricciante. Stride con il sensazionalismo di oggi. Come valuta il giornalismo di cronaca e cosa pensa della petizione lanciata in questi giorni dal Manifesto ?

L’allora direttore della Gazzetta, Luigi De Secly, intuì che il crimine, appunto, ha il suo fascino. Certamente lui e Ciro Bonanno, corrispondente da Napoli che firmò il primo articolo su Percoco, pagarono a caro prezzo l’intuizione che sarebbe diventata dogma nelle decadi a seguire. Furono condannati sulla base di una legge che esiste ancora, ma che è stata applicata solo in questo caso. Mai prima, mai più dopo. Non conosco la petizione del Manifesto.

De Cataldo, Carofiglio, Carrisi, Lagioia, Riccardi sono solo alcuni rappresentanti dell’attuale fioritura letteraria in Puglia. A questa rinascita corrisponde un seguito di lettori al Sud?

Assolutamente no. Siamo la penultima regione in ordine al numero dei lettori.

Nel libro usa il termine “pugliesità”. Che cos’è, per lei?

Riconoscere e apprezzare sinceramente la propria origine. Il senso di appartenenza è una bella cosa se non trascende in isolamento e provincialismo.

Franco sente di dover fuggire dalla sua Bari per farsi apprezzare. È ancora così?

Assolutamente si. In Puglia, a Bari, l’arte della demolizione del merito altrui è materia universitaria. Ma è sufficiente essere apprezzati da Roma in su per essere de plano “accettati” dai pugliesi. Della serie…«se lo dicono quelli del nord, allora è vero».

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