Il Dottor Živago e Lara, simbolo della Madre Russia e della sconfitta inevitabile del comunismo

by Paola Manno

“Il Dottor Živago”, uno tra i più famosi e controversi romanzi russi del ‘900, vide la luce in Italia: pubblicato in anteprima mondiale da Giangiacomo Feltrinelli nel novembre del 1957, diventò un vero e proprio caso editoriale raggiungendo, solo nei primi due mesi, ben 30 edizioni.

Immediatamente tradotto in numerose altre lingue, tacciato di offendere l’ideologia e la politica del suo Paese, il romanzo scatenò celebri discussioni sul rapporto tra la storia di Živago con la politica comunista. Un libro “inopportuno” per molti, “necessario” per altri, “sopravvalutato” per altri ancora, che però portò il suo autore alla vittoria del Premio Nobel per la Letteratura nel 1958. Premio che Boris Pasternak fu costretto a rinunciare a causa di avvertimenti da parte del KGB circa la sua espulsione definitiva dalla Russia. Nel suo Paese, il romanzo venne pubblicato solo nel 1988, 28 anni dopo la morte dell’autore.

Cosa c’era di tanto disturbante e al contempo potente nella storia di Jurij Andrèevic Živago, un medico vissuto negli anni della guerra civile combattuta tra bianchi e rossi a seguito della rivoluzione d’ottobre? Dove risiede il fascino del protagonista che, in fondo, è una figura lontanissima dagli eroi letterari? Jura è un uomo di scienza “oltre misura impressionabile, con una sensibilità tutta particolare, indefinibile”, ama i boschi al crepuscolo, è attratto dalla poesia, legato alla moglie Tonja “fino alla venerazione”. Soprattutto, è un uomo la cui pace della propria anima, la tranquillità gli sono più cari di ogni altra cosa al mondo. Eppure vacilla, cede alla tentazione dell’amore per Lara, si strugge per il tradimento che reputa inconcepibile ma lo vive, lo cerca. Živago non si batte per un ideale, non ha una fede politica profonda, non si schiera, ma nonostante questo crede nell’amore per il prossimo, che è un amore doloroso, il cui veleno si chiama coscienza, che per Pasternak è “un mezzo di autoavvelenamento per il soggetto che la applica su se stesso”.
Jura è agli antipodi dall’affascinante, tormentato Pavel Antipov, marito di Lara, il cui cuore arde per le ingiustizie e i soprusi subiti.
Lara è invece un personaggio pieno di malinconia, una ragazza perduta, violata, la cui anima è “un abisso tenebroso” ma che nonostante le mille avversità continua a camminare nella neve. È bella, attraente, ma “ha una sorta di disprezzo per questo aspetto della femminilità ed è come se volesse punirsi d’essere così bella. Ma questa orgogliosa ostilità nei propri confronti non fa che moltiplicare il suo irresistibile fascino”. C’è, in Lara, una serena rassegnazione.

Ma Lara è anche molto altro “La Russia, la sua incomparabile, celebre madre, il cui nome è risuonato oltre i mari, martire testarda, stravagante, folle, adorata, dalle uscite sempre grandiose e fatali e sempre imprevedibili- scrive Pasternak- Com’è dolce essere al mondo e amare la vita! Si vorrebbe dire grazie alla vita per quello che è, dirglielo direttamente! Ecco, questo è Lara”. Lara è la sua terra. Una terra che ora vive la guerra, un conflitto che non ha nulla di eroico, che conosce, dopo la rivoluzione del ’17, solo fame, tradimenti e miserie umane e i cui protagonisti godono dei doni e delle vittime della rivoluzione e siedono “come severi e muti idoli cui la boria politica ha tolto ogni segno di vita e di umanità.”

Dopo la rivoluzione l’Armata Rossa e l’Armata Bianca si battono in feroci massacri i cui morti, per Pasternak, sono tutti uguali. Un scena simbolo è quella dello scontro nella foresta a cui il prigioniero Živago è costretto a partecipare. Tra i suoi compagni, si ferma ad assistere un caduto dal cui scollo della camicia esce un medaglione con un astuccio da cui spunta un pezzo di carta piegato: un salmo tradizionale che avrebbe dovuto proteggerlo dai colpi, scritto probabilmente dalla madre, oppure da una sorella. Ritrovandosi, solo qualche minuto dopo, a trascinare il corpo di un soldato nemico, si accorge che anche quest’uomo giovanissimo porta una catena con un bigliettino, con gli stessi versi in preghiera, questa volta stampato e trascritto nella autentica forma slava. Tutto è dolore e Živago vaga per la Russia e attraverso il suo sguardo ne conosciamo l’orrore e le paure.
Pasternak ha scritto la storia di una sconfitta, quella di un uomo e quella di un Paese, ed è questo che lo ha reso sgradito, pericoloso ed eterno. La fine di Živago è senza gloria: si spegnerà come una candela in una stanza senz’aria, ma la fine di Lara è, a mio avviso, una delle più interessanti della storia delle letteratura. Questa donna scompare “chissà dove, numero senza nome”, senza che ne se ne sappia più nulla, e per questo diventa carne, diventa viva, diventa la donna che attraversa l’immenso, spaventoso e potente inverno russo, e poi la primavera senza pane e di nuovo l’inverno e di nuovo la primavera. La donna il cui destino è vedere tutto, soffrire di tutto e nonostante il dolore amare con ardore un uomo e sentirsi felice in una casa piena di topi, in un bosco senza luce. Così Lara diventa simbolo di una sconfitta inevitabile, inchiodata per sempre alla Storia di un Paese che mostra la sua potenza e bellezza più nella natura sterminata che negli eventi degli uomini.

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