Il mito di Sisifo e la nostra invincibile estate

by Paola Manno

Ho compreso, infine/ che nel bel mezzo dell’inverno/ ho scoperto che vi era in me/ un’invincibile estate/ E che ciò mi rende felice.

Inizio da qui, da questi versi per raccontare Albert Camus, perché credo sintetizzino bene l’animo del grande intellettuale, la sua mente illuminata e la sua profonda umanità. Le parole dei versi sono semplici, appartengono a tutti (l’inverno, l’estate, la felicità), l’immagine è chiara, molto familiare, ed è così che Camus ci dice che l’uomo è più forte del freddo e della tormenta, che è invincibile addirittura, e che è proprio questo il senso della vita. Ah, quanto è vero che la poesia ci culla l’anima, che può salvarci dal buio!

Camus è l’intellettuale al quale sento di essere -filosoficamente, umanamente- più vicina. Penso a Camus ragazzino, nato in Algeria (il paese era, nel 1913, una colonia francese), figlio di coloni di origine umile, fu presto orfano di padre. Il giovane Albert si ammalò di tubercolosi, malattia ancora considerata inguaribile, che segnò profondamente la sua visione del mondo. Eppure ci fu qualcosa nella vita di quest’uomo che lo fece diventare quello che era, e cioè l’incontro con un altro uomo, Jean Grenier, il suo professore di filosofia, che scoprì in lui la vocazione per il pensiero libero e l’acume intellettuale. Nel bel mezzo del suo inverno, il ragazzo Albert scoprì che vi era in lui un’invincibile estate, e una volta che lo scoprì, questa certezza, io voglio credere, non lo abbandonò mai più. Camus non poteva più ignorare la forza del rapporto con l’altro e gli anni che in seguito trascorse a Parigi nella cerchia degli intellettuali ricordati come gli esistenzialisti francesi, lo descrivono bene.

Tutte le opere di Camus raccontano l’assurdità dell’esistenza, perché la vita, non lo si può certo negare, porta in sé un carico di sofferenze e l’inevitabile morte. “L’uomo appartiene al tempo e in questo orrore che lo coglie, egli riconosce il proprio nemico. L’uomo è sempre in attesa del domani, ma proprio il domani è ciò che terrorizza. Questa rivolta, è l’assurdo”. Ritroviamo il racconto del sentimento dell’assurdo nelle pagine potenti de “La peste” e ancora più esplicito ne “Lo straniero”. La lettura delle opere di Camus lascia nel lettore un senso di spaesamento, ma allo stesso tempo apre delle prospettive di pensiero nuove. Ne “La peste” non si può non subire il fascino del medico Rieux che lotta contro un male invincibile. I personaggi di Camus incarnano il pensiero di un secolo che ha conosciuto gli orrori del nazismo e del male dell’uomo contro l’uomo.

Ma è ne “Il mito di Sisifo”, saggio pubblicato nel 1942, che il pensiero dello scrittore si fa esplicito. Tutti dovremmo leggere “Il mito di Sisifo” durante gli anni dell’adolescenza, perché tutti dovremmo conoscere le due grandi verità di cui si fa portavoce, e che sono i cardini del pensiero filosofico. La prima verità è che il mondo è assurdo, e questo ci appare chiaro proprio negli anni in cui abbandoniamo i pensieri felici dell’infanzia. La seconda verità è che si deve vivere lo stesso, e che nonostante tutto, vivendo sì, si può essere felici.

Per Camus la condizione dell’uomo è quella di Sisifo, il personaggio della mitologia greca condannato dagli dei a trasportare un masso dalla base alla cima di un monte. Un masso che, arrivato in cima, ogni volta cadrà e Sisifo, l’uomo che ha ingannato gli dei, è costretto a riportarsi in spalla e a risalire la montagna, giorno dopo giorno. Gli dei avevano pensato che non ci fosse punizione più terribile del lavoro inutile e senza speranza. Siamo tutti come

Sisifo, ognuno con il nostro masso da trasportare. Ognuno con le proprie paure, le proprie croci; Camus non trova sollievo nemmeno nella fede in un Dio. Il filosofo non amava – pare- definirsi apertamente ateo ma il suo pensiero rientra a tutti gli effetti nell’esistenzialismo ateo. Tra le altre cose, lo scrittore curò l’edizione postuma delle opere di Simone Weil, grandissima intellettuale e donna che a mio avviso ha elaborato i più bei pensieri sull’amore cristiano mai scritti, e forse ne fu in qualche modo affascinato. Ecco, trovare la fede nell’uomo piuttosto che in Dio a me pare la fede più vera, la più “cristiana” e forse è questo il dono più importante che possiamo fare ai nostri figli.

Leggere Il mito di Sisifo a 15 anni -gli anni del pensiero libero, dell’aspirazione alla libertà- potrebbe davvero creare una generazione nuova. La vita è assurda e noi come Sisifo dobbiamo scalare ogni giorno il monte sapendo bene che la sera la pietra rotolerà giù. “È nel momento in cui la pietra cade, ritorna indietro, che Sisifo mi interessa -scrive Camus- Immagino quest’uomo scendere di nuovo a valle verso il suo tormento che non avrà mai fine. Questo momento che è come un respiro è quello della coscienza. È in questo momento che Sisifo è più forte del suo destino, più forte della roccia. La tragicità dell’eroe risiede nel fatto che lui ne sia cosciente. Se avesse speranze, la pena sarebbe meno dura. Sisifo, il proletario degli dei, impotente e ribelle, conosce la sua condizione miserabile (…) ma tutta la gioia silenziosa di Sisifo è questa: il suo destino gli appartiene”. Nonostante il dolore e la fatica, Sisifo non smette di camminare perché la lotta stessa basta a riempire il cuore di un uomo. “Bisogna immaginare Sisifo felice” sono le ultime, bellissime parole che chiudono il saggio.

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