L’attitudine del momento: Aleksandr Sokurov dialoga con Marco Müller

by Paola Manno

Lo ammetto, provo sempre uno strano sentimento quando mi capita di incontrare, di ascoltare, un cittadino dell’ex Unione Sovietica. È un sentimento che non so dire bene ma che è legato, dapprima, alla domanda  “Ma come si viveva, per davvero, in un Paese comunista?” e poi a seguire “Ma come si vive, oggi, in un Paese che non è più comunista?”.

Vedere Aleksandr Sokurov sul palco di una sala del Cinema Massimo, a Lecce, durante il Festival del Cinema Europeo, ha suscitato in me le stesse domande. Le medesime che ho posto a Zsuzsana che mi ha raccontato  della sua prima felpa colorata con la stampa di Topolino, ricevuta nel 1990, a 14 anni, e che per la gioia ha tenuto addosso per più di un mese, senza sfilarla mai. Io non riesco più a pensare alla Russia senza collegarla a Topolino, che ha riportato i colori in un mondo ingrigito.

Per questo aver sentito parlare un mostro del cinema del prima e dopo la caduta del muro, è stato un grande dono. Lo ha fatto, naturalmente, parlando di produzione: “Sotto il comunismo c’era la censura e la parte difficile era trasmettere il messaggio attraverso filtri più o meno stretti, eppure noi ci eravamo abituati. Lo Stato finanziava il cinema, lo faceva sul serio, con molti soldi, ci permetteva di lavorare con grandi mezzi. Oggi, se un film va male, ti chiedono mille cose, bisogna giustificare tutto. Oggi ci sono altre cose che rendono tutto più difficile”. Quasi a dire si stava meglio quando si stava peggio, insomma. Ancora il lato economico è al centro della risposta alla domanda di Marco Müller sulla scelta tra cinema di finzione e documentario. “In realtà, non si può scegliere. La scelta è dettata da tante cose, dall’attitudine in quel momento, dai soldi che si hanno a disposizione…”.

E ancora di soldi scherza quando parla del rapporto tra cinema e letteratura, della trasposizione di opere letterarie come  Dni Zatmeniya (I giorni dell’eclisse), del rapporto tra scrittore e regista: “Ho cambiato il nome dei personaggi e  i fratelli Strugatskij, autori dell’opera, non hanno detto niente, ho cambiato ambientazione e non hanno detto niente, alla fine ho cambiato anche la storia e hanno continuato a non dire niente… a loro interessavano solo i diritti d’autore”. È un tono allegro e canzonatorio, il suo, che fa ridere la platea e lo avvicina immensamente al pubblico. Poi, naturalmente, Müller lo riporta sulla retta via– cosa buona e giusta e interessante e necessaria – per accennare alle cose straordinarie come Arca russa, un film che è un piano sequenza di 96 minuti, e al rapporto, più volte raccontato, tra opere d’arte e vita.

E di nuovo lo ammiro quando dice “Se un’opera d’arte si perde in un naufragio, noi non perdiamo l’opera, che resta nel cuore di chi l’ha ammirata, che resta nelle innumerevoli riproduzioni. Se un uomo si perde nel mare, invece… si perde un uomo”. Non so esattamente a cosa abbia pensato quando ha detto questa frase, e  forse io gli ho dato un senso che non ha, ma in questi tempi bui mi pare una cosa bellissima e nobile, quell’ “invece”.

L’ultima è una domanda sul rapporto con l’Italia. In uno dei suoi film, c’è una scena in cui da una radio si sente una litania in italiano. È una scena poetica, vicina al lirismo di Tarkovskij – dice Marco Müller.  Sokurov ne approfitta per citare altri registi, a suo dire, ancora più talentuosi e poetici di Tarkovskij, cosicché quando il critico lo riporta alla domanda alla quale non ha risposto, lui, banalmente, replica “L’avevo registrata in Italia e mi sembrava davvero molto, molto musicale” . A me è sembrata la risposta più facile, più bella che potesse dare. 

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.