L’epifania di un talento: Versace, il giovane favoloso di Tony di Corcia

by Felice Sblendorio

È molto difficile, dopo aver scritto qualcosa di definitivo, ritornare a raccontare – quasi in sottrazione – un tassello minimo di una persona, di una biografia, di una vita. Supera bene questa difficoltà lo scrittore e giornalista Tony di Corcia che oggi, per le ricercate edizioni Clichy di Firenze, torna a raccontare un frammento di vita di un personaggio del mondo della moda a lui molto caro: Gianni Versace.

Dopo aver debuttato nel mondo dell’editoria con “Gianni Versace. Lo stilista dal cuore elegante”, un ritratto a più voci sull’eclettico Versace, di Corcia nel 2012 ha pubblicato per Lindau una biografia ricchissima sullo stilista di Reggio Calabria. Una biografia appassionata, ricercata, capace di andare oltre il tragico appuntamento con la morte che ha caratterizzato molta della pubblicistica recente sulla sua figura. Quella biografia, quasi un classico della letteratura dedicata alla moda italiana anche per l’eccezionale prefazione a firma di Giorgio Armani, indagava una personalità che, nello sguardo dell’autore, si è sempre rivelata nei contorni della mitologia. O meglio, fra i «toni della favola e quelli della tragedia». Muovendosi in queste due dimensioni narrative così cariche, di Corcia aveva tratteggiato come pochi uno stilista che con il suo talento ha innovato le forme, lo stile e ha costruito una sua personalissima estetica, un’immagine ben definita del suo tempo.

Per comprendere meglio l’epifania di quel talento, Tony di Corcia ritorna a Versace e a un frammento della sua vita con un piccolo volume: “Gianni Versace. Il giovane favoloso” (Clichy, 120 pagine, 7.90 euro). La pubblicazione nella collana Sorbonne non è casuale. Fra le tante idee e i tanti protagonisti del Novecento ritratti in questi piccoli libri, il nome di Versace non stona. Anche lui, infatti, ha immaginato altri mondi e prospettive diverse. Versace è stato un innovatore, un provocatore, ma soprattutto un anticipatore. Ha distrutto forme e regole arcaiche con un obiettivo ben preciso: rifondare un concetto moderno di bellezza più vicino alla sua sensibilità e alla sua visione. «Restare negli schemi mi ha sempre infastidito, mi diverte infrangere le regole, confondere le carte, andare controcorrente», dichiarava lo stilista. Versace, scrive l’autore nel libro, è stato «il re dei contrasti. Solo lui sembra far convivere in maniera armoniosa e moderna ciò che prima di lui pareva inaccostabile: maschile e femminile, pesante e leggero, pelle e seta, elegante e sportivo».

Lui, controcorrente, lo è stato sin da piccolo: dal rapporto tormentato con la scuola e con una maestra colpevole di outfit deludenti all’attrazione precoce per tutto quello che poteva essere creato, plasmato, modellato. In queste pagine, l’interesse dello scrittore e del giornalista – ruoli che non si escludono, ma convivono in un testo che è una colta ricerca giornalistica e un tributo narrativo e sentimentale dell’autore – è l’infanzia, il tempo prima della fama che ha segnato la nascita del mito. Nell’anno che celebra il venticinquennale della morte di Versace, di Corcia indaga solamente i suoi primi passi nella vita e nell’universo della moda. Passi che, nel profondo, raccontano più della morte, più della sua tragica e tormentata fine.

Dagli esperimenti nella sartoria di sua madre alla prima collezione da donna firmata proprio da lui, “Il giovane favoloso” è una sequenza di date, luoghi, dettagli, tracce, racconti. Tony di Corcia prende per mano un Gianni ribelle e lo consegna al lettore un attimo dopo la sua consacrazione nell’olimpo della moda, a Milano, il 28 marzo 1978. In queste pagine colme di incanto e ammirazione per quel bambino diventato mito, l’autore spiega e racconta l’uomo partendo dalle sue prime impronte. Uno taglio narrativo giusto, perché non si può comprendere lo stilista amato dal Lady Diana se non si indagano i racconti su quel giovane che giocava e sognava una nuova bellezza fra i resti archeologici dell’antica Grecia.

In realtà, non si riesce a comprendere nessuna grande personalità se non si non si ritorna ai sogni coltivati e agli sguardi affinati durante l’infanzia. Come scrive la poetessa Louise Glük, d’altronde, «Guardiamo il mondo una volta, da piccoli. Il resto è memoria».

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