«Pagherò, se ho sbagliato, per un reato d’umanità». Parla Mimmo Lucano “il fuorilegge”

by Felice Sblendorio

Il suono della voce di Mimmo Lucano dice più delle sue parole. S’incrina, a volte si spezza quando racconta cos’era Riace e ora non è più. Il suo modello umanitario, che ha unito all’accoglienza dei migranti una visione di rinascita e di ripopolamento di un borgo abbandonato e fragile della locride, ha colpito il mondo intero. Per questo nel 2016, come unico italiano, rientrò nella lista dei cinquanta personaggi più influenti del mondo stilata dalla rivista americana Fortune. Poi, però, il resto: il taglio dei finanziamenti per i progetti di accoglienza, le indagini, il suo arresto nel 2018 e la chiusura dei progetti Sprar (illegittima per il Consiglio di Stato). L’azione giudiziaria, che Lucano racconta con Marco Rizzo nel libro “Il fuorilegge” (Feltrinelli, 192 pagine, 15.00 euro), era alla ricerca di illegalità, e alla fine le ha trovate.

L’ex sindaco di Riace, rinviato a giudizio e accusato ancora di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (per aver aiutato una nigeriana senza permesso di soggiorno a sposarsi con un residente) e di aver affidato direttamente un appalto per la raccolta dei rifiuti porta a porta alle cooperative Eco-Riace e L’arcobaleno, combatte la sua battaglia e rivendica la bontà delle sue scelte. Seguendo le orme di Antigone, Lucano si chiede se sia possibile infrangere una legge ingiusta. È disobbedienza civile oppure condannabile libero arbitrio in uno stato di diritto? bonculture, in attesa delle presentazioni pugliesi del libro in programma venerdì a Lector in Fabula a Conversano, sabato ai Dialoghi di Trani e domenica alla Fiera del Libro di Cerignola, ha intervistato Mimmo Lucano.

Lucano, in un libro la sua storia. Perchè ha sentito la necessità di raccontare?

Questo libro è nato per ricordare una storia collettiva. Con il tempo tutto si è ingigantito, ma il progetto di Riace è nato spontaneamente incrociando due fenomeni opposti come l’emigrazione e l’immigrazione. Riace ha dimostrato al mondo intero che possiamo ancora restare umani. In una regione dominata dalle mafie, dalle nuove schiavitù e dalle baraccopoli che bruciano vite e diritti, Riace ha ritrovato la sua identità nell’altro, riscoprendo un messaggio di solidarietà, accoglienza e fratellanza che ci appartiene fin dalla Magna Grecia.

Riace da paese fragile e disabitato è ritornato a vivere. Franco Arminio ha scritto che «per riabitare i paesi ci vuole una nuova religione, la religione dei luoghi». Lei ha fatto dell’accoglienza la sua religione?

Sì, ma non c’era un’idea patetica dell’accoglienza. Sono cose che si sentono nell’anima e devono maturare dall’indignazione verso le ingiustizie che condannano l’umanità. Chi veniva a Riace non arrivava da una vacanza, ma da Paesi devastati dalle tragedie del colonialismo, delle guerre, del terrore. Quando diciamo “aiutiamoli a casa loro” mi arrabbio perchè è pura ipocrisia. L’Occidente in quei luoghi ha imposto il proprio dominio economico, sfruttando quelle popolazioni e obbligandole – per forza di cose – a intraprendere questi viaggi della speranza. L’accoglienza che l’Europa ha offerto loro si divide fra tribunali, chiusure dei porti, condanne nel mare e nei centri di detenzione, accordi con i governi e con i mercanti di esseri umani. Quando parliamo di accoglienza, molto spesso, dimentichiamo le nostre responsabilità.

Il Modello Riace ha incuriosito tutto il mondo. Cos’è successo lì?

Attorno al fenomeno dell’accoglienza si è ritrovata un’intera comunità. Si è cominciato a parlare un linguaggio collettivo, non imprenditoriale. Da quella nostra marginalità abbiamo ridato vita a un paese abbandonato e solo. Grazie ai migranti siamo riusciti a riaprire scuole, asili, recuperare antichi mestieri dando slancio e impulso a uno sviluppo economico e sociale. Abbiamo sentito più vicino il mondo, ci siamo riscoperti nuovamente parte della storia e abbiamo rovesciato una narrazione che ci vuole divisi, impauriti, diffidenti. Il modello Riace è diventato scomodo perchè ha realizzato l’esatto contrario di un Paese dominato dalle paure e dalla disumanità.

Riace è stata una voce fuori dal coro?

Gli abitanti del borgo, tranne alcuni per motivi politici, hanno accolto in maniera naturale i migranti. La nostra storia è scritta nelle rivolte bracciantili, in quell’identità che viene dal basso, dalle categorie più deboli della società. I migranti, oggi, sono i nuovi proletari, i perseguitati della modernità. Non è stato molto difficile accoglierli perchè c’era una spontanea fratellanza e solidarietà con i più deboli che viene da lontano. Fra ultimi ci si capisce prima.

Quando si incontrano dei volti e non dei numeri la paura perde sostanza?

Io non mi sono mai rapportato con i numeri, ma con delle persone. Rifugiati, clandestini, richiedenti asilo: per me, da sindaco e da cittadino, erano semplicemente esseri umani.

Da questa rinascita è nata un’economia sociale in una terra davvero complessa. È stato difficile riattivare questo dinamismo?

Negli anni ci hanno contestato la sostenibilità del nostro progetto basato solamente sui fondi pubblici e sui contributi del Ministero e della Prefettura per l’accoglienza dei migranti. Ma io vi chiedo: com’è possibile credere ai miracoli? Come si può cambiare in poco tempo un luogo dominato per anni dal latifondismo agrario, dall’emigrazione di massa, dalla rassegnazione sociale, dal lavoro prepotente e forte delle mafie che determinano ancora oggi il destino di quei piccoli paesi? I processi sociali, quando immaginano una visione autentica, necessitano di molto tempo. In questi primi anni abbiamo invertito il rapporto fra le nascite e i decessi: un obiettivo per noi importantissimo. Questa storia è nata per caso, per un veliero con dei migranti arrivati qui. Abbiamo accolto, come sempre bisognerebbe fare, e poi realizzato una speranza non solo per loro, ma anche per tutti noi. Questo è quello che, con molti errori, abbiamo fatto noi. E gli altri, invece? La politica nazionale che cosa ha fatto per la Calabria? Quali pratiche di sviluppo ha messo in atto per non far morire i piccoli paesi? Nessuna.

Per molti, a sinistra, lei è diventato un simbolo. Della sinistra, però, lei scrive che è una «sofferenza esistenziale che abita l’anima e ti porti dentro». La sua è una sinistra disperata?

La mia esperienza mi ha convinto che, alla fine, siamo un’esigua minoranza. La sinistra da sempre è una minoranza. Al governo, poi, bisogna fare compromessi, e questo indebolisce una certa identità politica. Sono convinto che la sinistra su certi temi non possa sposare posizioni intermedie sennò diventa indifferente. La sinistra può solamente restare umana. I miei “mandanti” politici sono stati prima di tutto umani: Giuseppe Valarioti, Peppino Impastato. Sono loro i miei mandanti politici.

Il suo primo voto andò al partito di Peppino Impastato.

Sì, votai Democrazia Proletaria. Un partito che riassumeva due parole magiche oramai dimenticate.

La sinistra ha perso la sua bussola?

Facciamo fatica, a tutti i livelli, a costruire un progetto coerente. La sinistra vera, quella che si batte per l’uguaglianza e la solidarietà, è un’utopia. Quando è coerente e rispettosa dei suoi valori ripercorre un destino crudele già scritto: o si ammazzano le persone, oppure si avviano azioni giudiziarie. Questa non è una sterile autocelebrazione, ma una lettura della storia. Perchè hanno ammazzato Peppino Impastato? Perchè hanno ammazzato Pino Puglisi? Perché hanno ammazzato Salvador Allende?

Nel 2018 lei è stato arrestato. Il Tribunale del Riesame, respingendo la reiterata richiesta di misure cautelari del Pm di Locri nei suoi confronti, ha definito inconsistente il quadro giuridico delle accuse. Il Tar della Calabria e il Consiglio di Stato, invece, hanno dichiarato illegittima la chiusura del progetto Sprar. Che idea si è fatto della sua vicenda giudiziaria?

Mi assumo tutte le mie responsabilità, ma bisogna essere obiettivi. Tutta la mia storia giudiziaria e la repressione di Riace coincidono con la guida di Marco Minniti al Ministero dell’Interno. La propaganda politica in quel periodo era molto importante perchè si stavano avvicinando le elezioni del 2018 e bisognava dimostrare agli italiani quanto fosse efficace la repressione del Governo nel contrastare il fenomeno migratorio raccontato come un dramma sociale. Da quel momento la repressione giudiziaria ha colpito il messaggio politico e l’idea di società della piccola Riace. Tutto quello che sto pagando arriva da quella stagione. Salvini, poi, ha completato il tutto mandando degli ispettori che hanno dichiarato il falso. Il Consiglio di Stato ha smentito tutto sottolineando che a Riace c’era un modello encomiabile. Queste parole, però, sono arrivate troppo tardi: chi voleva distruggere il nostro messaggio politico in parte aveva già vinto.

Di questa storia cosa le rimane? Racconta di una carta d’identità con la sua firma salvata dalle fiamme…

Quella è la storia della mia vita: Becky Moses è il valore umano e politico di Riace. Quella carta d’identità è come se mi dicesse che non può finire tutto così. Becky nel 2018 da poco aveva lasciato Riace perchè si era sparsa la voce che il progetto Cas, a causa di un ritardo dello Stato nell’erogazione dei fondi, stava per chiudere. Era venuta da me per chiedermi una carta d’identità perchè l’aveva smarrita. Per non perdere tempo l’ho fatta direttamente io, intuendo che in ballo c’era la sua vita. Il 28 gennaio 2018 è morta bruciata dalle fiamme nella baraccopoli di San Ferdinando. Accanto a lei c’era quel documento. Di tutta questa storia mi rimane solamente l’orgoglio di quella firma.

La sua vicenda giudiziaria non si è ancora conclusa. Rifarebbe tutto?

Rifarei tutto. Ho imparato che fra legalità e giustizia c’è una grande differenza. I decreti sicurezza, ad esempio, sono leggi ingiuste e disumane. Pagherò, se ho sbagliato, per un reato d’umanità.

Per undici mesi non è potuto ritornare a Riace per un divieto di dimora: in quei momenti ha mai pianto?

Sì, ho pianto. Poi, però, mi ha consolato l’idea che il mondo è più giusto di quello che noi possiamo pensare. Sono davvero tante le persone che nel profondo della loro anima lottano per una società migliore.  

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.