«Un romanzo che guarda il mondo dall’interno, perché la vita è anche ciò che ti succede dentro». La casa capovolta di Elisabetta Pierini

by Niccolo Bellon

Elisabetta Pierini ha il fare calmo e gentile di chi conosce il valore del tempo e sa che nulla è perduto. Lavora presso l’Università di Urbino come assistente tecnico chimico analitico e ha vinto, ex aequo, il Premio Italo Calvino 2016, con “L’interruttore dei sogni” ora pubblicato da Hacca Edizioni (382 pagine, 16 euro) con il titolo “La casa capovolta”.

Protagonista del racconto magico e spietato della Pierini è la piccola Eva, intelligentissima e disadattata, in continua fuga da un padre assente e una madre malata di nervi. Un romanzo che sta lì dove il possibile cammina per mano con l’indecifrabile, i bambini parlano con i fantasmi e le case respirano, si muovono, inghiottono, uccidono, ingabbiano.

È una favola nera, un horror, un thriller?

È un romanzo realistico che non guarda il mondo dall’alto ma dall’interno, perché la vita non è una mera successione dei fatti ma anche ciò che ti succede dentro. Abbiamo una concezione della realtà a tratti limitati: il mistero fa parte della nostra vita, la nascita, la morte, sono inspiegabili eppure esistono, anche se noi siamo soliti occuparci solamente dello spazio compreso tra queste due parentesi, l’unico decifrabile. Ci dimentichiamo dell’inspiegabile, eppure è lì.

In Via Madonna del Latte, dov’è ambientata la sua storia, tutti guardano fuori dalle finestre. Cosa cercano?

Qualcosa di diverso. Quelle casette tutte uguali, ordinate, sono una specie di gabbia sociale. E dalle gabbie si vuole evadere.

Dice bene la sua editrice: “Ascolto Elisabetta Pierini e penso a Shirley Jackson”.

Sa che non avevo mai letto la Jackson, prima che me ne parlasse Francesca (Chiappa). Mi sono ritrovata nella sua vita di madre e donna e moglie, e in quei luoghi che esprimono l’animo nascosto di chi li abita. Nel mio romanzo c’è un campo, un posto che vuol essere una casa per Eva, la protagonista, e rispecchia il suo io interiore: un campo incolto con rottami, in cui c’è comunque qualcosa di bello, c’è comunque vita.

È un mondo, quello che descrive, in cui tutto sembra costantemente al collasso, eppure implode soltanto nella dimensione del sogno. Cosa significa sognare?


Guardare oltre la situazione presente.

Ed è indispensabile?

Tutti ne abbiamo bisogno.

Sicuramente ne ha bisogno Eva, la bambina protagonista del romanzo.

Mi occupo di ragazzini da tutta la vita, e nei loro occhi ho visto uno stato di sospensione tra il sogno e la realtà, specie nei bambini che vivono situazioni famigliari difficili e sembrano come bloccati a metà strada tra il reale e un mondo immaginifico. Eva è una di loro, è nata così, per caso, senza scalette, senza programmi.

La casa capovolta è quello che molti definirebbero un “esordio tardivo”.

Nei romanzi ci dev’essere vita alle spalle, altrimenti cosa scrivi? Ho avuto bisogno di vivere per poter scrivere. Ho provato a scrivere a trent’anni un romanzo ma non c’era abbastanza vita.

La infastidisce il discorso sulla sua età?

Il lettore non dovrebbe giudicare l’età, ma il libro. Lo scrittore, per me, non dovrebbe nemmeno comparire: l’unica cosa che conta sono i libri, e dovrebbero parlare da soli.

Cosa troviamo nella sua libreria?

Dostoevskji per i personaggi, Bolano, per il suo tocco surreale. E gli americani per lo stile, i dialoghi e la naturalezza: Yates, Strout. Ah, e Boris Vian, e Bulgakov… Leggo molto, ma è una lettura spontanea, di cuore, salto come una cavalletta da Singer a Buzzati.

Il titolo originale de suo libro era “L’interruttore dei sogni”.

Non piaceva alla mia editrice (Francesca Chiappa), e nemmeno all’agente (Benedetta Centovalli), e alla fine è stato rottamato. Io ho insistito per tenerlo ma non c’è stato nulla da fare. Mi hanno poi proposto “La materia prima di Eva” che non mi convinceva affatto. Alla fine è venuto fuori “La casa capovolta”.

E le piace?

Sì.

Ed è contenta della storia?

Dopo aver vinto il Calvino non volevo più rileggerlo, l’ho ripreso in mano soltanto per l’editing, cambiando alcune cose. Il risultato mi soddisfa.

Sta continuando a scrivere?

No. Ho scritto altri libri in questi anni, devo sistemarli. Ora Hacca Edizioni sta valutando un mio romanzo finalista alla 27ima edizione del Premio Calvino. Si chiama “Notte” ed è lo scritto a cui tengo di più.

Un’ultima domanda: come i suoi personaggi, sogna affacciandosi alla finestra?

Ogni volta che scrivo, davanti alla pagina bianca, apro una finestra.

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