Le rose di Atacama di Luis Sepúlveda, le vite indispensabili di chi non si arrende mai

by Claudia Pellicano

Io oso perché
Tu osi perché
Lui osa perché
Noi osiamo perché
Voi osate perché
Loro non osano

I versi di Jan Palach riecheggiano in uno dei capitoli più belli de Le rose di Atacama, la serie di racconti che prendono vita durante le molte peregrinazioni di
Luis Sepúlveda attorno al mondo. È un ineluttabile destino a legarne gli accadimenti, perché, per una legge fantastica della vita, la gente che è stata fottuta s’incontra.

Gli scrittori non ci lasciano mai soli. Ci affidano a una variegata umanità di personaggi ed eroi, a volte marginali, ma non per questo meno avvincenti o degni di essere ricordati.

Le rose di Atacama sono storie di giornalismo e attivismo politico, di imperterriti custodi della tradizione, di sopravvissuti all’Olocausto, di amanti refrattari alle convenzioni sociali, di scrittori che rivendicano il diritto a un’esistenza ritirata, di resistenza al regime.

Vicende di una marginalità gloriosa e atroce. Paradigmi che stridono moltissimo col vociare e il bisogno di protagonismo di oggi. Racconti di solitudine e diversità a volte patite, ma molto più spesso cercate e perfino rivendicate. Storie semplici d’irriducibile dignità. Vite indispensabili di chi non si arrende mai, come quella di Fredy Taberna, il militante socialista che annota su un quaderno le meraviglie del mondo e fa scoprire a Sepulveda l’effimera bellezza delle rose del deserto. O del Professor Gàlvez, esule, che si commuove nel sentir parlare spagnolo perché la nostra lingua è la nostra patria. Storie rocambolesche, come quella di Don Giuseppe, emigrante italiano che crede di espatriare negli Stati Uniti ma, ignaro della grandezza del continente, finisce, felicemente, in Sudamerica. Parabole di libertà, nel caso di Avrom Sutzkever, leader antinazista, che ci ricorda quanto sia importante la resistenza della ragione e che i sognatori debbano diventare soldati. O esistenze controverse, come quella di Fitzcarraldo, morto di avidità nella foresta di Manù. Vista da vicino, nessuna vita è banale. Neanche quella di un cane come Fernando, che per oltre dodici anni popola l’immaginario della comunità di Resistencia.

A chiunque abbia un po’ di fantasia, o semplicemente uno sguardo attento sul mondo, capitano cose straordinarie.

Se Sepulveda avesse potuto incontrarci individualmente, chissà, forse avrebbe trovato anche in alcuni di noi delle nostre storie ordinarie di resilienza eccezionale.

Forse la vita non è nient’altro che una continua prova di resistenza. È rinunciare alla facile e vigliacca scorciatoia del cinismo. È coltivare, nella speranza, i semi dell’eroismo. Non permettere al mondo di definirci è eroico. Dire la verità è eroico. Avere coraggio quando tutto va male è eroico. Perfino affrontare una nuova giornata può diventare un piccolo atto di eroismo perché, come insegna la gente del sud del mondo, il dolore non può paralizzarci.

Fare la cosa giusta a volte comporta un prezzo così alto da permettere di accedere di diritto alla cerchia degli eroi, pure se questo non porterà nessuna gloria. I personaggi di cui parla Sepulveda non hanno ricevuto alcun onore; al contrario, hanno pagato care le loro scelte. Forse è possibile rendere loro un po’ di giustizia con la memoria. Entrare nella letteratura dei ricordi è un’aspirazione possibile per chiunque. Allora la parola scritta diventa una portentosa forma di resistenza all’oblio.

Ma è un mestiere difficile, un mestiere da artigiano, quello dello scrittore. Lo sa Sepulveda, come lo sa Hemingway. È solo una parte del proprio destino, ma una parte fondamentale, che comporta una responsabilità enorme, perché una parola di troppo ammazza qualunque storia.

I consigli di Hemingway sono comandamenti. E Sepulveda scrive della sofferenza in modo duro e chiaro, perché la tenerezza bisogna proteggerla con la durezza.

Finché avremo eroi marginali e scrittori disposti a raccontarne, il mondo resterà un posto interessante.

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