“Carlo Levi e L’Arte della politica”, i valori etici in mostra a Villa Torlonia

by Alessandra Belviso

E’ considerato uno tra i più significativi narratori del Novecento, autore del romanzo capolavoro Cristo si è fermato a Eboli, ma la prima attività artistica alla quale Carlo Levi si è dedicato con grande successo è stata la pittura, che egli considerava un’espressione di libertà, in contrapposizione all’oppressione del fascismo. Le sue opere pittoriche ritraggono gli uomini con cui ha condiviso questo ideale, quegli intellettuali che lui definisce “i contadini”; e poi l’angoscia del fascismo, la guerra e la rivoluzione dei contadini, quelli veri. Atmosfere, personaggi e ideali che ritroviamo anche nella sua produzione letteraria e nella sua visione politica.

Nella vita di Carlo Levi arte e politica si sono fuse in un unico racconto attraverso il quale ha dato voce al suo complesso universo di valori etici e di impegno sociale, caratterizzati dal rifiuto di ogni autorità costituita.   In questi giorni e fino al 22 marzo al Museo di Villa Torlonia a Roma, è in corso la mostra Carlo Levi e l’Arte della politica   che prende il titolo da uno dei 54 disegni realizzati per il Quotidiano Socialista negli anni di formazione dell’Italia Repubblicana; L’arte della politica è raffigurata con una maschera di Pulcinella che tiene in equilibrio sul naso due spadaccini duellanti, due interessi contrapposti.

Divisa in due sezioni e realizzata a cura del Centro Carlo Levi di Matera e della Fondazione Carlo Levi alla quale appartengono la maggior parte delle opere in mostra, l’esposizione da una parte ripercorre la produzione pittorica di Levi attraverso 46 opere riferibili al periodo cronologico dal 1932 al 1973 e dall’altra fa per la prima volta una ricostruzione della sua grafica politica alla quale si è dedicato a cavallo tra il 1947 e il 1948.

Autoritratto

Per comprendere la straordinaria personalità di Levi, basti pensare che ancor giovane si è laureato in medicina, ma alla professione di medico ha preferito l’attività di giornalista, scrittore, pittore e politico perché la sua partecipazione emotiva era molto lontana dalla necessaria freddezza scientifica. I suoi primi anni da pittore sono a Parigi, dove si reca nel 1929 e dove entra in contatto con le opere di Modigliani nelle quali legge un incitamento alla ribellione contro il fascismo. Pittura e politica corrono sullo stesso filo sin dall’inizio: in quegli anni fa parte del Gruppo dei Sei di Torino che elaborano una pittura incentrata esclusivamente sul colore come ribellione alla precisione del disegno dell’arte fascista. Contemporaneamente conosce i fratelli Roselli, dei quali è esposto il Ritratto di Carlo Roselli e diventa uno dei principali esponenti del Gruppo Giustizia e Libertà del quale collabora alla stesura del programma rivoluzionario.

Nel 1935 è arrestato per la seconda volta e condannato a tre anni di confino in Lucania. L’esperienza meridionale, la scoperta della civiltà dei contadini, lo cambia profondamente sia nei modi sia interiormente e il suo stile diventa più sobrio e realistico.

 Le opere realizzate a partire dal 1940 sono caratterizzate da una pittura misurata, con toni severi e la presenza di simboli che rimandano alle atrocità del fascismo e della guerra come la cravatta rossa dell’Autoritratto. Pochi i casi in cui si vedono soldati e corpi straziati, ma di particolare intensità e preveggenza come Campo di concentramento o Le donne morte (Lager presentito) dipinto nel 1942 quando la realtà dei campi di concentramento non era conosciuta, Bombardamento e La guerra eseguite nell’inverno del 1943-44 che, come scrive lo stesso Levi, “sono immagini vissute o presentite della guerra”. Anche le sue nature morte sono l’interpretazione dell’angoscia e della drammaticità che investe tutto il Paese in quegli anni.

Dopo la guerra si trasferisce definitivamente a Roma e qui ricompone i diversi tratti della sua attività di pittore politico e scrittore. Le 30 opere pittoriche esposte riferibili all’ambito cronologico 1945-1950, integrano lo scorrere delle vicende storiche toccate dalle vignette del Quotidiano Socialista delle quali l’Orologio rappresenta la controparte letteraria. L’Orologio è il racconto della caduta del Governo di Ferruccio Parri che segna la fine delle speranze di una radicale rivoluzione sociale e politica nell’Italia appena uscita dal fascismo. I personaggi che animano questa narrazione sono gli amici e i compagni politici di Levi, come lo scrittore e giornalista Manlio Cancogni o il critico e poeta Carlo Muscetta.

I ritratti di alcuni di loro qui esposti, di data precedente alla scrittura, sono misurati, composti, ma allo stesso tempo complessi, con un risvolto psicologico ed emotivo che si confronta con quello descritto nella narrazione. Questi personaggi si muovono all’interno della Roma caotica del dopoguerra, ma di questa città non si trova traccia in pittura. I paesaggi romani conosciuti sono vedute rese dall’alto come a volersi estraniare dalla realtà quotidiana, (Tetti di Roma), dove i tetti fanno da sfondo ai giovani romani ( Ragazzo  romano). C’è solo un’eccezione, la Scena Allegorica, dove Levi sembra aver voluto restituire visivamente la scena nel romanzo del suo incontro con la venditrice di sigarette, Teresa, e dei suoi battibecchi con la donna del banchetto limitrofo; tutto accompagnato da un sentimento di inquietudine dovuto alla presenza di personaggi (preti, carabinieri e fascisti teschio con le ali) che rappresentano i poteri forti.

 Sono di questo periodo le opere che raffigurano l’eterna lotta tra “Contadini” e “luigini” due civiltà diverse, i Luigini che prosperano esercitando violenza e repressione contro i contadini e questi ultimi che non possono essere liberi senza combattere i loro nemici. Nel disegno esposto in mostra e intitolato Contadini e luigini, sulle spalle dei due lavoratori, un operaio e un contadino, sono appollaiati ominidi calvi e occhialuti in giacca e cravatta che brandiscono carte e documenti; sullo sfondo campeggia una banca. Ne L’Orologio descrive chi sono queste due “Italie”: “Chi sono i Contadini? Sono, prima di tutto, i contadini: quelli del Sud e quelli del Nord. Sono contadini tutti quelli che fanno le cose, che le creano, che le amano e sono gratificati da loro. Sono contadini anche gli artigiani, i medici, i matematici, i pittori, le donne, quelle vere, non quelle finte.  Infine, se mi permettete, anche noi siamo contadini: quelli che si usano chiamare, con una parola odiosa, intellettuali. E i luigini chi sono? Sono gli altri. Sono quelli che dipendono e comandano; e amano e odiano le gerarchie e servono e imperano. Sono la folla dei burocrati, degli statali, dei bancari, degli impiegati di concetto, dei militari, dei magistrati, degli avvocati, dei poliziotti, dei laureati, dei procaccianti, degli studenti, dei parassiti”. (C. Levi, L’Orologio, Torino 1950, cit. pp.187-189)

Anche i disegni di grafica politica realizzati per il Quotidiano Socialista diretto da Aldo Garosci tra il 1947 e il 1948 rappresentano in chiave ironica la caduta del sogno di giustizia e libertà perseguito negli anni della Resistenza. E’ il periodo che precede le elezioni politiche del 1948 e la campagna elettorale è uno scontro in cui sembrano stagliarsi il bene contro il male, la luce e le tenebre, uno scontro apocalittico che avrebbe dischiuso o compromesso per sempre il futuro dell’Italia. L’avversario è raffigurato con tratti zoomorfizzanti e mostruosi per disumanizzarlo, come nel disegno Razze umane in cui Levi ironizza su nuove tipologie di individui che la scelta di voto avrebbe potuto determinare. Ma nello stesso tempo in Libertà di pensiero sottolinea come ambedue le campagne elettorali abbiano dimenticato i valori della Resistenza trasformandoli in slogan e parole vuote di contenuti. Nel Prestigiatore e il Contadino ironizza anche sulla eterna lotta tra contadini e luigini, “sposti l’asse tra i due blocchi ma le masse non le tocchi”, riferendosi all’incapacità della politica di risolvere i problemi delle masse e di occuparsi dei problemi reali.

La produzione pittorica degli anni Cinquanta è dedicata principalmente alle tematiche sociali e del meridione. Tra le opere dedicate alle lotte dei contadini sicuramente una delle più incisive è Contadine rivoluzionarie realizzata per testimoniare la rivoluzione dei contadini contro le baronie feudali, culminata con l’occupazione delle terre tra il 1947 e il 1950. Mentre Il lamento per Rocco Scotellaro (scrittore poeta) diventa il simbolo del dibattito della questione meridionale, ripreso nel grande telero di Lucania ‘61realizzato per rappresentare la Basilicata nelle celebrazioni del centenario dell’Unità d’Italia.

Ma ne L’Orologio Levi conclude con un messaggio di speranza: “La Resistenza è stata una Rivoluzione contadina, la sola che ci sia stata mai. I Luigini le sono saltati in groppa, e ora pensano di averla addomesticata, ma qualcosa ci sarà pur rimasto, anche se le hanno messo briglie e morso…. Bisognerà fare tutto da capo e ..senza fretta, senza illusioni, giorno per giorno, senza eroismi, ma con idee chiare”. (cit. Levi L’Orologio pp. 192-193)

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