Ribelliamoci o tradiamo. Il Lexicon di Andrea Marcolongo “Alla fonte delle parole”

by redazione

Il Lexicon, come lo chiama la stessa autrice è un sorprendente viaggio che ci conduce per mano, con leggerezza e meraviglia all’origine delle parole: quest’arte si chiama: Etimologia. Andrea Marcolongo dice “Solo quando ci si rende conto della provenienza di una parola, possiamo pienamente comprenderne il valore”.

Chi di noi non ha sperimentato almeno una volta quel senso di oppressione, di inadeguatezza di fronte alla mole enorme di parole che incrociamo ogni giorno, soprattutto oggi, ai tempi dei social. Ci lascia senza fiato o ci trascinano sul loro stesso terreno e il nostro desiderio di dire veramente, ossia il vero che ci viene da dentro, è coperto. Lemmi nuovi, o parole vecchie che con disinvoltura sono sguainate come spade o brandite come asce, si abbattono sulla nostra vita più o meno allegramente, senza responsabilità. Come salvarsi? Come operare una catarsi? Eppure le parole sono lì. Ribelliamoci o tradiamo. Avete mai pensato che in realtà in origine tradire voglia dire: consegnare, mettere nelle mani altrui, dunque trasmettere?

Alla fonte delle parole è una ricerca minuziosa, acuta, intelligente e geniale di 99 etimologie, suddivise in 9 capitoli. Non è un ordine alfabetico. Si può leggere dall’inizio alla fine, o al contrario, oppure consultare. Ciò che interessa, e che ricorre come dato principale nel libro, è imparare a connettere il sentire dentro con il significato delle parole. Scavare e scavare fino all’origine di quello che vogliamo davvero dire perché le parole -noi donne lo sappiamo bene- sono pensiero ma il pensiero è tale solo se viene messo in parole.

fonte delle parole è una ricerca minuziosa, acuta, intelligente e geniale di 99 etimologie, suddivise in 9 capitoli. Non è un ordine alfabetico. Si può leggere dall’inizio alla fine, o al contrario, oppure consultare. Ciò che interessa, e che ricorre come dato principale nel libro, è imparare a connettere il sentire dentro con il significato delle parole. Scavare e scavare fino all’origine di quello che vogliamo davvero dire perché le parole -noi donne lo sappiamo bene- sono pensiero ma il pensiero è tale solo se viene messo in parole.

Bisogna abbattere le incrostazioni esterne ma anche quelle interne che si annidano dentro di noi. Andrea Marcolongo ci sprona ad entrare nella macchia (da macula che in latino significa vuoto) non per nasconderci, ma per osservare nello spazio che si fa tempo e vedere (non guardare) ciò che l’ordito -proprio quello che troviamo nei merletti e nei pizzi che ricamavano le nostre nonne- ci può svelare. Di pretendere rispetto per il significato delle parole “e andare in direzione contraria a quel luogo comune che è divenuto troppo affollato, e troppo inutilmentechiassoso”.

Si tratta di un saggio? Senz’altro. Sicuramente è un racconto affascinante, stimolante e mai noioso che chiunque può leggere -anzi destinato ad essere letto- in cui s’intrecciano tre piani narrativi:

Scientifico: il significato originale e molteplice, a volte inatteso, del lessico che conosciamo, o in disuso, la radice indoeuropea che si fa romanza, panromanza, sanscrito, ecc. Andrea Marcolongo ci accompagna attraverso un viaggio nel tempo, in cui incontriamo miti, autori e autrici vecchi e nuovi, incontrati sui banchi di scuola e non solo. Aneddoti, ricostruzioni storiche, citazioni, i riferimenti sono davvero tanti: da Omero a Pasolini, da Catullo a Garcia Marquez passando per Umberto Eco, Kavafis, e poi Dante, Petrarca, Manzoni, Pascoli, Leopardi, Rebecca West e Virginia Wolf, Helen Grimaud, Eugenio Montale, Hikmet, Freud, Platone, Sciascia, Marguerite Yourcenar…Elena Ferrante, Italo Calvino e tanti, tante altre ed altri: non mancano artisti e artiste contemporanee per raccontare tutto il discorso dei lemmi.

Psicologico: il parlare di sé. Con struggente lucidità indaga la portata interiore, psicologica del peso delle singole parole su di noi.

Politico: il rivolgersi a noi con lucida saggezza, esortandoci a stracciare il velo delle apparenze linguistiche, il mondo asfittico, platinato delle parole svuotate del loro significato o inappropriate, ma non per questo meno pericolose sia per chi le pronuncia e sia per chi le riceve. Così scopriamo la genuina purezza della parola confine e con stupore capiremo il profondo significato della sua origine: ti sono vicino. Ma oggi la parola confine è territorio marcato, è ciò che è mio contro ciò che è tuo: è muro. Vogliamo davvero che sia cosi? Allora, perlomeno, non bariamo con le parole. “La scrittura è già politica” afferma Andrea Marcolongo. Se la scrittura è politica, l’etimologia ci impone un patto di realtà; a questo serve scoprire l’origine delle parole. La parola è come una scultura, bisogna battere bene, ancora e ancora per togliere il superfluo e dare alla luce l’opera d’arte. Perché ella dice: “Le cose non sono come le vedi, sono come le chiami”.

In conclusione possiamo dire che non c’è una strada per dire la parola giusta. Molto verosimilmente la parola è la strada, a patto che se ne conosca origine e significato.

Lina Appiano

Presidente Associazione Donne in rete, Foggia

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