La leggenda in sella al Salento, Lucio Cetra

by Fabrizio Stagnani

Un po’ Yosemite Sam della Looney Tunes, una nota di Crocodile Dundee con un che di Lemmy Kilmister dei Motorhead, è lui Lucio Cetra, la leggenda della cavalleria salentina.

Si scende sulla litoranea adriatica sotto San Foca, Torre dell’Orso, poco dopo Frassanito uno svincolo e si è già in un altro habitat rispetto alle attrattive balneari. Si va verso i Laghi Alimini, già i canneti prendono più spazio alle acacie, eucalipti e tamerici. Solo gli occhi più esperti riescono ad identificare fra i tornati e i bagliori dell’acqua salmastra mimetizzati aironi cinerini, ma basta alzare il naso e di certo qualche piccolo gheppio che punta immobile la sua preda lo si incontra sempre. Un altro svincolo, seguendo la freccia di una rugginosa insegna che porta la scritta “Maneggio di Lucio – Ippogrifo” s’imbocca una stradella sterrata. Poi varcando due colonne sulla sinistra si entra in un’altra dimensione ancora. Steccati, conifere a cingere rettangoli e tondini, covoni di paglia e un aromaticissimo profumo si stallatico fresco. Dall’ombra di una pensilina viene in contro un uomo dal sorriso nascosto da due baffoni nicotinici, i suoi passi sono sornioni e serafici come quelli di un ipotetico Dio nel suo salotto tra le nuvole. Il cappello in fibra vegetale a falda larga e gli stivali sembrano far ormai parte delle sui confini biologici. Piccolo, con cervo, stretta di mano netta dal cuore buono. La parlata è tagliente, tuonante, salentina come un pasticciotto mangiato dopo un pizzo ai bordi della Cava di Bauxite a Orte. Quei solchi espressivi disegnati sul volto hanno tanto da raccontare, a partire dalla scelta del nome per il loro regno.

 Perché Ippogrifo? La risposta ha un che di lapidario ed infinitamente sincero.

“Mi piaceva l’immagine di questa bestia leggendaria incrocio fra un leone, un’aquila ed un cavallo!”

Fa questo mestiere, il suo, dal 1969, camminando lungo la strada che porta alla riva di Alimini Grande, circondati da uno stuolo di cani, tocca indagare ancora. 

Come è iniziato tutto?

“Io sono nato qua, con le pecore, con i cavalli, con le vacche. Con i cavalli si arava la terra. In mezzo agli animali ci sono cresciuto. Questa terra ci è stata data, a noi, perché eravamo famiglie numerose. Dopo la guerra, nel cinquanta scoppiò la riforma, così detta riforma. E fu data la terra a noi. Sessant’anni fa, con questa terra che ti veniva assegnata dovevi lavorare. La dovevi migliorare. Fecero lotti di sette ettari compreso la casa. Comunque la dovevamo pagare entro trent’anni. Settecentocinquantamila lire in trent’anni.”

Inizia a scucirsi

Da quando la cavalleria è entrata a far parte della tua vita?

“Inizio tutto negli anni settanta. All’epoca inaugurò il Club Mèditerranèe qui vicino, erano francesi. Era il primo villaggio che si apriva qui. Loro portarono tutto qua. Era un villaggio al quale non mancava nulla. Trekking, escursioni in bici, barche, erano organizzati! Volevano anche offrire un servizio di equitazione. Loro avevano l’obbligo di assumere personale del territorio. Qualora non ce ne fosse stato erano autorizzati a coinvolgere francesi. Quando arrivarono ad affrontare la questione ippica, si sapeva che io ed altre cinque persone avevamo già questi animali. Mio padre era amico di un funzionario dell’ufficio collocamento, il quale gli suggerì di candidare uno dei figli per questo lavoro.”

Il Lago si avvicina sempre più, è al fondo di una piccola discesa dove la stradina bianca di ghiaia si insinua in una cappella di aghifogli. I cani, tutti attorno, ogni tanto si azzuffano fra l’erba alta ai margini, ogni tanto spariscono seguendo, da buoni segugi, tracce odorose. Soffermandosi anche lui ad osservare ogni tanto un albero del quale chiaramente conosce tutta la storia piuttosto che un muretto a secco dissestato da poco, Lucio continua a rivelare come tutto ebbe inizio.

“Mio padre questa proposta non la comprese bene di prima. Lui pensava che con i cavalli si stesse già lavorando. Venivano impiegati per i campi coltivati. Ma loro, i francesi, ci stavano proponendo di convertirli. Ci stavano suggerendo di inaugurare un nuovo settore sportivo. Fino ad allora la sella non era conosciuta. I cavalli aravano la terra. Io ed altre tre persone andammo a formarci al club Mediterranè. Li ci insegnarono a portare la gente sul cavallo… per farsi una passeggiata! A noi sembrava strana questa cosa.” Campanilismo a parte con i nostri cuginastri d’oltralpe, sembra proprio che sia andata così. “Loro erano a conoscenza di questa moda, di questo sport!”

Sono passati cinquant’anni da allora, ma manca ancora sentire dalla viva voce di chi è stato protagonista di questa era come degli animali abituati a trainare siano diventati dei mansueti compagni di trotto. “Si doveva iniziare a lavorare con la sella. Abbiamo iniziato ad addestrare questi cavalli. C’erano i nostri e quelli che ci arrivavano, ma all’inizio erano tutti un po’ schizzati. Con la pazienza ci siamo riusciti. Abbiamo anche iniziato ad armonizzarli fra loro. Non sempre andavano d’accordo in gruppo. Noi abbiamo iniziato a comprendere i loro caratteri. Li abbiamo studiati…il loro modo di pensare. Sapevo già fare questo, io ero nato con gli animali. Già ero consapevole che due cavalli se vanno d’accordo è facile che lavorino bene insieme.”

Un territorio, il Salento, che già allora, prima del grande boom turistico, faceva gola alla classe medio alta francese. Antesignani degli approcci briatoriani o quando ancora non era possibile immaginare che iniziassero a girare fake news in merito a calciatori di fama internazionale intenti a costruire grandi alberghi nel tacco d’Italia, i francesi stabilirono un loro avamposto per il turismo ricercato ed altolocato e l’ippica era una passione che non poteva mancare. “Venne un istruttore, ammaestrammo insieme i cavalli, lui era il capo nostro, ci coordinava, ma non conosceva il territorio. Le famiglie francesi erano abituate a fare attività tutti nello stesso momento della giornata, ma bisognava differenziare la proposta. Alla stessa ora, c’era chi voleva andare in barca sugli Alimini, chi in bici e chi voleva andare a cavallo e noi proprio per questo eravamo tenuti ad organizzare delle passeggiate, anche sino a tre gruppi da quindici persone, divisi dai meno esperti sino ai più. Era una clientela benestante, prima ancora che il grande pubblico conoscesse il nostro territorio loro erano già qui, per periodi che andavano dalla settimana sino al mese intero, a chiedere una proposta turistica completa.”

Negli anni ottanta, forse già ormai stanchi del Salento o addirittura autonomi nell’andarlo a scoprire nei suoi meandri più nascosti in autonomia, i gallici abbandonarono il villaggio Mèditerranèe, ora diventato Le Cale d’Otranto a seguito di una serie di rimpastoni proprietari tra i quali persino al Cetra è difficile saperne di più. Ma una traccia del loro passaggio rimase, oltre i confini geografici dove arrivò la voce di luoghi incantati e fra gli ulivi autoctoni, le spiagge e le rive dei Laghi Alimini che avevano conosciuto per la prima volta il passo dei cavalli montati da entusiasti turisti, da allora una nuova tradizione.

(continua…)

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