Pasolini e il ‘circolo dei poeti superbi’ in mostra al WeGil

by Michela Conoscitore

Se si pensa alla Roma degli anni Cinquanta e Sessanta, il pensiero corre subito a Cinecittà presa d’assalto dai divi di Hollywood, alla Dolce Vita, e al cinema italiano che, proprio in quegli anni, vive uno dei suoi periodi più fruttuosi e ispirati. La Capitale, però, in quel periodo non fa da culla solamente all’inventiva di registi e sceneggiatori, ma attira anche numerosissimi letterati che scelgono proprio l’Urbe come casa, anzi di più, come luogo eletto a cui legare la propria vita, indissolubilmente. Uno fra tutti, Pier Paolo Pasolini.

Bonculture ha visitato la mostra Poeti a Roma. Resi superbi dall’amicizia, ospitata presso lo spazio culturale WeGil a Trastevere che, con le sue duecentocinquanta fotografie e altro materiale documentario, accompagna il visitatore in un ‘viaggio’ alla scoperta di questa piccola comunità di intellettuali, sconosciuta ai più, che vede proprio in Pasolini il suo fulcro, il trait d’union tra la Roma trascendentale degli scrittori e quella delle borgate. L’esposizione, curata da Igor Patruno e Giuseppe Garrera che sarà al WeGil fino al 23 giugno, oltre a documentare un periodo irripetibile e prezioso della cultura italiana, raccoglie soprattutto attimi di amicizie e affetti nati, a volte, per caso tra persone che avevano scelto la scrittura come fonte per il loro pane quotidiano. E quell’amicizia l’avevano trasformata in comunanza, di bellezza e ideali.

Tutto inizia con l’arrivo a Roma, da Casarsa, di Pier Paolo Pasolini, il 28 gennaio del 1950. A ventotto anni, lo scrittore friulano lascia la sua terra con l’amatissima madre Susanna, “la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore”, in seguito ad uno dei tanti processi che lo vedranno protagonista, nel corso della sua esistenza. A Roma è alla ricerca di lavoro, e in attesa di ricongiungersi col padre, lo scrittore e la madre si stabiliscono in una modesta sistemazione in periferia, a Rebibbia, dove Pasolini comincia a respirare la stessa aria dei suoi futuri ragazzi di vita. Dopo un inizio difficile, la sua energia inizia ad attirare altri intellettuali, che se inizialmente gli si avvicinano per aiutarlo nello stabilirsi a Roma, poi rimarranno colpiti dall’immenso vigore della sua creatività. Scrittore, poeta, regista, sceneggiatore, giornalista: la fantasia pasoliniana è multiforme e sfaccettata. Questo percepirà, prima di tutti, il poeta livornese Giorgio Caproni, amico di Pasolini negli inizi dell’avventura romana, che racconta:

Facevamo lunghissime passeggiate da Ponte Mammolo a Viale Quattro Venti senza dire una parola. La sua miseria era spaventosa e io avevo intuito la grandissima intelligenza di quest’uomo timidissimo. Gli presentai Attilio Bertolucci che gli fece conoscere Penna e Moravia e di lì prese il via.

È col trasferimento di Pasolini, da Rebibbia al quartiere di Monteverde, dapprima in via Fonteiana e, in seguito, in via Carini 45, nella stessa palazzina abitata da Attilio Bertolucci e famiglia, che lo scrittore, inconsapevolmente, traccia quel percorso che annoderà così tante vite alla sua, come un qualcosa di predestinato. Il percorso espositivo parte da foto esclusive, che ritraggono Pasolini nelle borgate, a discutere e parlare con la gente delle baracche: il suo è uno sguardo concentrato, quasi intimorito da quell’umanità che lo affascina così tanto e che, ai suoi occhi, cela una qualche grandezza. Mentre il resto della città, volutamente, li ignora. Proseguendo, si incontrano scatti che ritraggono gli anni dell’impegno intellettuale quando, grazie all’amicizia con Bertolucci ottiene un contratto editoriale con la casa editrice Guanda, e collabora con la rivista Paragone, in cui lo scrittore parmense era redattore. Proprio sulla rivista sarà pubblicato il racconto Ferrobedò, che rappresenterà il nucleo iniziale del futuro romanzo di Pasolini, Ragazzi di vita, pubblicato da Livio Garzanti, amico di Attilio Bertolucci.

Proprio i Bertolucci si affezionano molto ai loro nuovi ‘vicini’, e il futuro regista, Bernardo, instaura con lo scrittore un rapporto speciale, nato fin dal loro primo incontro, che descrive così: “Sarebbero passati molti anni prima che io capissi che in quel momento, su quelle scale, avevo evocato e materializzato l’essenza del mito, per affidargli l’essenza della mia anima e del mio cuore”. La loro amicizia culminerà, prima, nella collaborazione come aiuto regista di Bertolucci nel primo film di Pasolini, Accattone (- Non ne sono capace, non ho mai fatto l’aiuto. Neanch’io ho fatto mai un film, tagliò corto Pasolini rispondendo al giovane), e nella sceneggiatura del film d’esordio di Bernardo, La comare secca, che reca proprio la firma dell’amico scrittore.

Nel frattempo, intorno a Pasolini, si agita quella galassia ristretta di amici che arrancano con le loro vite, letterarie e private: numerose le foto con l’amico fraterno Alberto Moravia, inseparabile dallo scrittore-regista; trascorrevano insieme, accompagnati dalla scrittrice Elsa Morante, moglie di Moravia, serate a discorrere di letteratura e nuovi progetti, alla vigilia della vittoria della Morante al Premio Strega del 1957, con L’isola di Arturo. Moravia, come altri del ‘circolo dei poeti superbi’, gli è particolarmente vicino durante il processo che lo vede coinvolto, nel 1963, in seguito all’uscita del film Ro.Go.Pa.G, a causa dell’episodio firmato da Pasolini, La ricotta. Lo scrittore-regista è accusato di vilipendio alla religione di Stato. Moravia, su l’Espresso, scrive: “L’accusa era quella di vilipendio alla religione. Molto più giusto sarebbe stato incolpare il regista di aver vilipeso i valori della piccola e media borghesia italiana”.

Oltre all’amico di vecchia data, il poeta Sandro Penna, che grazie a Pasolini riuscirà, poco prima della morte, a ripubblicare la sua raccolta di poesie, negli scatti in mostra compaiono la poetessa Amelia Rosselli, tra le fautrici di questa ripubblicazione, insieme allo scrittore. Ancora, Carlo Emilio Gadda, che collabora con lui in Rai, in radio, per cui Pasolini nutre un’immensa ammirazione, lo definisce “intero paesaggio della letteratura italiana”. E in ultimo, altri grandi come Renzo Paris di cui lo scrittore friulano fu quasi un mentore, Laura Betti, anima affine e presenza costante per Pasolini, Dacia Maraini, compagna di Moravia, e Natalia Ginzburg che, con Pasolini e la Rosselli, aiutò Penna a riaffermare la sua grandezza come letterato, in un mondo che si era dimenticato di lui.

Tutto finisce, purtroppo. Per il ‘circolo dei poeti superbi’ la data è quella del 2 novembre 1975, giorno della morte di Pier Paolo Pasolini. Le fotografie che documentano il ritrovamento del cadavere straziato dell’intellettuale, all’Idroscalo di Ostia, colpiscono per la loro ferocia, per la totale mancanza di clemenza che gli assassini hanno impresso sul corpo dello scrittore. Toccanti le immagini del funerale, della folla che circonda la bara dello scrittore, e altre che ritraggono gli amici sgomenti, la madre Susanna che nasconde il viso tra le mani, Laura Betti incredula. Quel che rimane del ‘circolo dei poeti superbi’ è la letteratura che ha prodotto, attestazione di un impegno culturale che Pasolini, in primis, e gli altri a seguire presero non soltanto con i lettori ma con la società tutta, affinché il cambiamento sociale passasse attraverso la luce dell’arte. Significativo, uno degli ultimi interventi pubblici di Pasolini, che suona come un testamento morale:

Contro tutto questo voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare.

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