Razzolando lavoro sull’aia del mondo: Leon Marino mixa l’arte e racconta gli emigranti con parole e immagini

by Anna Maria Giannone

Una gallina migra sulle pareti della Creo Gallery, come sull’aia del mondo, tra colline e valli di croci e chiodi. Come i tanti migranti, vecchi e nuovi, va razzolando lavoro. Di stazione in stazione, in una via Crucis esistenziale e morale. Parte da questa metafora fortissima “Una assurda proposta per una reliquia”, il nuovo romanzo dell’artista e docente dell’Accademia di Brera a Milano Leon Marino, originario di Troia sui Monti Dauni e conosciutissimo per le sue opere, dal tratto minimo, concettuali e mistiche, piene di colombe, stelle, Cristi e cuori sanguinanti, che hanno affascinato imprenditori illuminati, designer e ristoratori in tutta Italia e non solo.

La sua scrittura, presentata nella generosa galleria diretta da Angelo Pantaleo a Foggia in Via Lustro, ci riporta però alle sue primissime opere, quelle degli anni Settanta, assai più carnali, così ricche di personaggi da strabordare dalla tela, con agricoltori e paesani panciuti, donne intente in cucina o alle nenie, in cui dominava il colore marrone delle giacche di velluto, dei calzoni con qualche toppa o il nero dei “maccaturi” sulle teste in processione.

In un percorso quasi picassiano, i suoi segni con gli anni si sono depurati del Sud dei “mangiatori di patate” per elevarsi al cielo, in una levitazione di forme e colori primari.

“Fedele Agro prefigurò l’esodo migratorio appartenuto alla sua epoca esattamente come la Via Crucis di una gallina. All’epoca molti instancabili lavoratori per lo più contadini, si trovarono a “razzolare” centesimi di giornate lavorative, persino ore, un po’ qua e un po’ là, da padrone a padrone, e ben pochi di essi intuirono che stava per tramontare l’epoca “terrigna” (detta agricola) e una nuova “ferrigna” (detta industriale) ne stava nascendo”, scrive Leon Marino nella sua prefazione.

In galleria, come in un happening l’artista ha disegnato su fogli appesi alle pareti il suo murales con la gallina. Noi di bonculture lo abbiamo raggiunto per qualche domanda.

Maestro, come nasce il suo romanzo e quanto è collegato alla sua arte?

Ho già scritto altri libri monografici riguardo la mia pittura, solo che circa 30 anni avevo scritto dei racconti. Chiusi la cartella e dopo 30 anni l’ho riaperta, non so per quale magica situazione del tempo e ho visto che c’era dell’oro colato. Motivo per cui ho cominciato a scrivere per assemblarli. Sono racconti che trattano dell’emigrazione. Sto trasferendo tutto quello che ho realizzato in pittura, che è già un racconto di per sé, in parola.

La sua pittura ha subito tanti cambi, vero? Ha avuto tante fasi.

Sì, prima era più votiva. Ha sempre una sua religiosità, ma adesso a questo bivio della mia arte sto sperimentando qualcosa che in letteratura non esiste e cioè la “scrittura in percentuale”. La parola ha i suoi limiti. Il Montale, il Quasimodo, il Pasolini hanno tutti dipinto, perché? Perché hanno sentito questa necessità? Perché evidentemente la loro scrittura non era sufficiente a far vedere e comprendere quello che realmente volevano trasmettere.

Non è la parola sempre inferiore, limitata rispetto all’immagine?

No, non è una questione di inferiorità, c’è tra parola e immagine un equilibrio ben definito, con la sola differenza che un matto ti può dire “ho contato tutte le stelle del firmamento”, ma un pittore non può dire “ho dipinto tutte le stelle del firmamento”. Alla limitatezza dell’immagine interviene la parola e viceversa. La parola può smettere e continuare il racconto attraverso l’immagine. Ma bene inteso non si tratta di illustrazione.

Cos’è la gallina per lei? Ritorna spesso nella sua opera.

Ritorna spesso e specie in questo romanzo, che tratta di emigrati. La Via Crucis rappresenta il viaggio dei nostri emigrati, in Belgio, in America, al Nord Italia. Il capo degli emigrati diceva che loro andavano razzolando lavoro sull’aia del mondo. Razzolare è una parola ben precisa, che può indicare solo la gallina. Ho usato la gallina per la Via Crucis dell’emigrato che cerca lavoro.

C’era un famoso film con Nino Manfredi emigrante che dava una accezione negativa alla gallina

Sì, ogni artista dà un suo rigore all’immagine. Io ho voluto darle dignità.

Il bianco e nero, dopo tanto colore nella sua opera, è legato alla scrittura o è una sua nuova cifra artistica?

È legato alla scrittura, l’ho voluto fare apposta, perché mettere il colore all’interno delle parole può essere deficitario. Per mantenere l’equilibrio tra immagini e parole ho voluto mantenere un tratto grafico.

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