Un ricordo di Ulay – la vita come performance

by Lorenzo Tomacelli

Pochi artisti negli ultimi anni hanno fatto parlare di sé riuscendo allo stesso tempo ad essere amati dal grande pubblico. È il caso di Marina Abramović, artista di origine serba, ad oggi acclamata da critici e nota come la madre (o “nonna”, come lei stessa ama definirsi) della performance art. Parte della sua fortuna, a ragion del vero, è dovuta anche all’ex compagno Ulay, nato Frank Uwe Laysiepen a Solingen in Germania nel 1943 e venuto a mancare a Lubiana a seguito di una lunga malattia.

Nei primi anni ‘70, nel tentativo di evadere da un matrimonio infelice e dalla disastrosa situazione complessiva della Germania post bellica, Ulay si trasferì ad Amsterdam, dove sperimentò con la fotografia, facendosi notare nella scena culturale della città. Esplorò il corpo, il genere e l’intersezione tra performance e fotografia. “Non ho la pazienza di provare a produrre un’immagine superlativa”, disse di sé, “credo che usare una Polaroid sia ciò di più vicino che riesco a ottenere tra le mie idee e la realtà, perché è istantaneo: ci sono dai 60 ai 90 secondi tra l’atto e l’immagine.” Nel ‘76, presso la Galleria de Appel, incontrò Marina, legandosi a lei per circa dieci anni fra alti e bassi. Il loro rapporto, lungi da poter essere definito una semplice relazione amorosa, diventerà il terreno di scontro/incontro per cercare di indagare la relazione uomo donna e i limiti del corpo e della mente. Fu in questo decennio che nacquero le loro opere più famose, note come Relation Works.

In AAA-AAA, tenutosi a Liegi, i due si affrontano in una sorta di duello vocale, gridandosi contro finché le urla di Marina non sovrastarono quelle di Ulay. È la rappresentazione di un conflitto in cui l’uno cerca di sovrastare l’altro nel rapporto di coppia.  In Imponderabilia, tenutosi a Bologna durante la Settimana Internazionale della Performance, i due si pongono nudi l’uno contro l’altra nello spazio dell’ingresso della Galleria d’arte moderna. I partecipanti, costretti ad attraversare tale angusto spazio, devono decidere a quale corpo rivolgersi mentre entrano. Marina ne racchiuse il senso in poche parole: “è questo il gioco di Imponderabilia, nel volgere di un secondo devi prendere una decisione, ancor prima di comprenderne il perché”.

Durante la serata la polizia intervenne sospendendo tutto. In Light/Dark del 1977, Ulay e Abramović si inginocchiarono uno di fronte all’altra e si schiaffeggiarono sulla faccia con crescente ferocia. Tre anni dopo, il lavoro Rest Energy vide Ulay puntare un arco e una freccia direttamente al cuore di Marina, un leggero movimento di un dito avrebbe potuto ucciderla. Nell’ultimo lavoro insieme, The Lovers, commemorarono la fine della loro relazione. A partire dall’aprile 1988, ognuno cominciò a percorrere dalle estremità opposte della Grande Muraglia Cinese, Ulay nel deserto del Gobi e Marina sul Mar Giallo. Dopo aver percorso più di 1.500 miglia ciascuno, si incontrarono nel mezzo e, senza parlare, si salutarono. La performance suscitò grande stupore e consacrò definitivamente i due artisti. “Ogni volta che andavo in un villaggio, l’intero villaggio veniva e mi guardava”, disse Abramović ad Art Newspaper. Nel 2010, ventidue anni dopo la fine della loro relazione, Ulay prese parte alla nota performance che Marina tenne al MoMA di New York, The artist is present: per 730 ore l’artista siede immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto. Difronte una sedia vuota che può essere occupata da chiunque, in una sorta di scarna ma evocativa rappresentazione del rapporto fra esseri umani, privato delle convenzioni. Il museo fu preso d’assalto, tutti volevano fissare negli occhi la leggenda vivente dell’arte contemporanea. A sorpresa, un uomo sulla sessantina occupa il posto, destando sorpresa persino nell’imperscrutabile protagonista. Ulay riprende la scena che aveva occupato vent’anni prima, ricostituendo una delle coppie più iconiche della storia dell’arte e lasciandosi andare in un pianto liberatorio e curativo. L’anno seguente a Ulay fu diagnosticato un tumore linfatico. Due anni dopo girò il documentario Project Cancer: Ulay’s Journal, diretto da Damjan Kozole, in cui si mise a nudo, testimoniando le sue cure, la sua vita e il suo lavoro. Il due marzo 2020 la sua scomparsa è annunciata dalla stessa Marina che lo ricorda come “il più libero degli spiriti – un pioniere e provocatore con un’opera radicalmente e storicamente unica, che operava all’intersezione della fotografia e degli approcci concettualmente orientati alla performance e alla body art. La sua scomparsa lascia un enorme vuoto nel mondo – uno che non sarà facilmente sostituito”.

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