“Poverty safari”, un viaggio pericoloso nella rabbia e nella speranza del “dark side” di Glasgow

by Francesco Berlingieri

Darren McGarvey
Poverty safari – Viaggio nella rabbia della mia gente
(Rizzoli – 296 pagine – 18 euro)

In tutta onestà, pensavo fosse un romanzo. Uno di quelli neri, tetri e crudi, da dark side of the moon. Ho immaginato Glasgow – la sempre sognata Glasgow – vista e vissuta dalla sua cintura urbana fatta di grattacieli solitari e di grigia lotta per la sopravvivenza. In una palude di inestricabili contraddizioni.

Quando ho capito che così non era, ho pensato ad una sorta di diario di bordo dell’io narrante: le sue esperienze di volontariato in carcere, la musica rap, le tortuose strade per sanare il tessuto sociale dalle ferite della violenza, della disoccupazione, dell’alcolismo, delle tossicodipendenze. Ci ho messo poco per comprendere che mi sbagliavo ancora.

Poverty safari è un oggetto letterario diverso da tutto ciò. Un ibrido: non è una trama noir, non è una parabola a lieto fine, non è un apologo virtuoso. È un percorso ad ostacoli, sospeso tra la spudorata autobiografia, la cronaca di una militanza civile e l’analisi politica. È un sentiero che si percorre facendo a sportellate con la vita, a spallate con se stessi e con i propri simili.

Darren McGarvey è, anch’egli, tante cose assieme. Basta scegliere una prospettiva e farla propria. O evitare di farlo, e abbracciarle tutte indistintamente. Un tossico figlio di una madre uccisa dalla violenza domestica e dall’alcool; un uomo di buona volontà, che ha prestato i suoi dolori privati al riscatto di una comunità; un osservatore acuto della società scozzese, con le sue ruvidità e la sua mancanza di diplomazia. Non è un politologo, McGarvey, ma è un attivista, uno che con la povertà e lo stress di una vita da ultimi ci ha fatto a pugni dai tempi della scuola elementare.

E non è un caso che le sue conclusioni – su Brexit, arte, fast food, dipendenze, immigrazione – siano quanto di più politicamente lucido possa capitare di leggere “a sinistra”. Il soverchiante monopolio culturale della classe media, l’arroganza delle elite, l’abbandono dei quartieri al razzismo e alla guerra fra poveri: analogie inevitabili coi tempi che ci apprestiamo a vivere anche dalle nostre parti, nel nostro paese, appena appena in ritardo rispetto alle stridenti contraddizioni del Regno Unito.

Una lezione importante e senza sconti per chi – specie nel campo che fu della classe operaia e dei suoi leader – pensa ancora che la realtà sia maestra di vita. E di politica. Per chi non ha un pregiudizio da imporre pedissequamente, ma ha ancora tanta voglia di capire le dinamiche – la “dialettica”, si sarebbe detto un tempo – di un mondo senza capisaldi inossidabili, dove tutto tende a mescolarsi senza offrire riferimenti immutabili. Un viaggio pericoloso, quello nella rabbia e nella speranza del “dark side” di Glasgow. Si rischia, sul serio, di comprendere parecchio. Di noi stessi.

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