Friedrich Nietzsche ed Henri Bergson: filosofia come ribellione e filosofia come riflessione

by redazione

A cavallo fra Ottocento e Novecento, risulta complesso trovare due figure di filosofi capaci di cogliere nel segno il cambiamento dei tempi come Friedrich Nietzsche ( 1844-1900) ed Henri Bergson  (1859-1841). Tuttavia, l’aver penetrato così profondamente la propria epoca così come l’avvento di nuove problematiche per l’umanità non implica che queste due personalità possano essere considerate simili.

La grandezza di questi due personaggi, che come lo studioso Mitto Cheli afferma, si conobbero a Torino nel 1891, consiste proprio nella loro diversità. Infatti il rapporto di Nietzsche con la cultura “ufficiale” del tempo, con l’università, la religione e in linea di sintesi con l’intera società fu molto  problematico, segnato da un crescente isolamento che sconfinò nella pazzia. Un caso poco fortunato vuole che le condizioni di salute del filosofo tedesco ( ma che amava essere apolide, quindi senza una patria) fossero diventate terribilmente precarie, tanto da segnarlo in maniera irreversibile, proprio quando le sue opere stavano finalmente per riscontrare un meritato successo a livello internazionale. 

Henri Bergson il successo lo incontrò fin da giovane, quando da studente intelligentissimo della Università Sorbona di Parigi faceva lincetta di premi  sia in campo letterario che scientifico: di origine ebraica, quando divenne professore le sue lezioni erano così assiduamente frequentate e i suoi scritti tanto accettati ( nonostante qualche diffidenza degli accademici) da valergli il Premio Nobel per la Letteratura, fra i filosofi un fatto così raro quanto unico. Tralasciando i tratti prettamente biografici dei due, è molto importante comprendere le molteplici differenze fra loro a livello puramente filosofico.

Friedrich Nietzsche ritiene del tutto fallaci i sistemi filosofici a lui precedenti, criticando non solo la Germania di fine Ottocento ma anche la culla della “nottola di Minerva”: quella Grecia classica, dove uno dei primi filosofi, Socrate, venne condannato a morte con accuse che sono ancora oggetto di discussione. Da parte di un filologo classico, da parte di un filosofo come lui ai più stupisce che Nietzsche non solo non abbia preso le difese di un suo “simile”, ma avesse addirittura osato considerare la sua condanna giusta, motivandola con il fatto che Socrate ed i filosofi come lui fossero colpevoli di avere tolto la libertà agli istinti dell’uomo, volendolo rendere una creatura fin troppo razionale. Quella di Nietzsche alla società è una critica “tout court”: colpevoli della decadenza dei costumi, dell’ipocrisia della Germania del fine Ottocento, non sarebbe solo Socrate, ma il suo discepolo Platone, infine il Cristianesimo. Il rapporto del professore Henri Bergson con la religione è meno banale di quanto possa emergere dall’esterno: prima le sue origini ebraiche, poi un approccio alla vita idealistico e metafisico lo porteranno ad un’adesione postuma al Cristianesimo. Si tratta comunque di un rapporto, come già anticipato, articolato, fatto anche di momenti di scontro con l’autorità della Chiesa Cattolica, che non accettò alcuni passaggi di spinoziana memoria nelle opere in cui il professore parigino tratta il tema, affascinante ma delicato. La conversione tardiva al Cristianesimo è comunque dettata da decisioni più impellenti sulla persecuzione antisemita perpetrata dal nazionalsocialismo teutonico:  “pensare da uomo d’azione, agire da uomo di pensiero”, questo è uno dei maggiori aforismi per cui Bergson è noto, ha portato il grandissimo pensatore francese a restare solidale con il mondo ebreo. In sintesi, si può concludere che Nietzsche e Bergson abbiano avuto un diverso approccio verso il proprio tempo: il primo , ha fatto della sua critica al mondo una filosofia vitale come una dinamite, il successivo ha fatto del pensare un faro per districarsi dagli abissi umani, da cui anche lo stesso Nietzsche metteva in guardia.

Leo Donvito

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