“Io non combatto”, il progetto che salva i cani e svela la correlazione tra combattimenti clandestini e abusi minorili

by Michela Conoscitore

È dello scorso dicembre la notizia del salvataggio di cinque cani nel Salernitano, sottratti al giro dei combattimenti clandestini. I pitbull sono stati trasferiti in un rifugio di Roma, sotto la tutela della Fondazione CAVE CANEM che con l’organizzazione Humane Society International ha avviato recentemente il progetto “Io non combatto”.

Dedicato proprio ai cani intrappolati nel giro dei combattimenti clandestini, il progetto dopo averli salvati li accompagna in un percorso di recupero, fisico e psicologico, per trasformarli da macchine addestrate alla morte in cani liberi e in cerca di una famiglia che li adotti. “Io non combatto” si articola ulteriormente in un corso di formazione online e gratuito che prossimamente vedrà veterinari, Forze dell’Ordine, volontari e studenti insieme per unire energie e conoscenze al fine di sradicare il fenomeno criminoso.

bonculture ha intervistato Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International, Federica Faiella e Mirko Zuccari, rispettivamente Vicepresidente e Dog trainer manager della Fondazione CAVE CANEM, per farsi raccontare il progetto e la vita al buio di un cane sfruttato.

Qual è l’articolazione del fenomeno criminoso del combattimento tra cani?

Faiella: Inizio col dirle che il fenomeno dei combattimenti clandestini fra cani è tutt’altro che sconfitto, si tratta di una pratica illegale e crudele, che prospera nel sommerso sia a livello nazionale che internazionale. Questi “eventi” sono spesso il teatro di altre attività illecite. Infatti, il fenomeno si collega a criminalità organizzata, traffico internazionale di stupefacenti e di armi, comprese quelle da fuoco, pedo-pornografia e scommesse illegali attorno alle quali ruotano cospicue somme di denaro. È difficile da quantificare in termini di numeri ma è ipotizzabile che i cani coinvolti siano molti di più rispetto ai casi che emergono. Quello che è certo è che ai cani è riservato un destino brutale: vengono addestrati per diventare delle vere e proprie armi e sono costretti a sfidarsi fino alla morte.

Com’è nata la sinergia tra Humane Society International e Fondazione CAVE CANEM che ha portato all’ideazione del progetto “Io non combatto”?

Pluda: Il progetto è nato dalla volontà di unire i punti di forza delle nostre due realtà: l’operatività e il network internazionale di HSI e l’esperienza diretta in ambito di recupero comportamentale di cani considerati pericolosi di FCC. Abbiamo voluto dare vita a un progetto che potesse creare valore aggiunto e generare un impatto concreto sia dal punto di vista della diffusione di strumenti e conoscenze specifiche, con le attività di formazione, sia dal punto di vista operativo, con le attività di salvataggio e riabilitazione dei cani. Siamo fieri che da questa unione si sia creato un progetto che oggi mette a disposizione dei cani, alleati ed esperti provenienti, ad esempio, da Carabinieri e FBI.

Come si articola attualmente il progetto?

Faiella: Attualmente sono due i punti cardine del progetto: la formazione e il recupero psico-fisico di cani coinvolti. In primis, la formazione è necessaria per permettere a tutta una serie di figure professionali chiave di inquadrare il fenomeno dei combattimenti clandestini tra animali, imparare a intercettarne i segnali sul territorio, intervenire e riabilitare gli animali maltrattati sia dal punto di vista fisico che psicologico. Questo per creare un’azione sinergica e coordinata di contrasto al fenomeno. In secondo luogo, interveniamo in situazioni concrete, per la riabilitazione comportamentale di cani traumatizzati dal coinvolgimento nelle attività di allevamento, addestramento o combattimento. L’obiettivo è quello di affiancarli a educatori cinofili esperti per accompagnarli verso l’equilibrio e il reinserimento in famiglia.

Il corso di formazione che prenderà avvio il prossimo 1° marzo quali obiettivi si pone di raggiungere e a chi è rivolto?

Pluda: Il programma, consultabile su www.iononcombatto.it, composto da sei incontri fruibili gratuitamente in streaming dal 1° marzo al 5 aprile, è funzionale a formare tutti coloro i quali sono impegnati nella prevenzione e nella repressione del fenomeno dei combattimenti clandestini tra cani. L’offerta formativa del progetto “Io non combatto” è rivolta infatti principalmente a membri delle Forze dell’Ordine, medici veterinari, educatori cinofili, operatori e volontari di canili rifugio, studenti di medicina veterinaria e giurisprudenza. Gli incontri sono altresì aperti a tutte le figure professionali che possono dare un contributo per arginare il fenomeno dei combattimenti clandestini tra cani.

Quali saranno i futuri interventi e chi coinvolgeranno principalmente?

Pluda: Nei prossimi mesi ci piacerebbe sviluppare delle attività destinate alla sensibilizzazione dei più giovani. Si sono riscontrati casi di minorenni presenti ai combattimenti e ciò sviluppa in loro un’insensibilità rispetto alla sofferenza degli animali, alla violenza in generale e al rispetto per la legge. Infatti, tra i temi che tratteremo nell’ambito della formazione ci sono degli approfondimenti sul collegamento tra il fenomeno dei combattimenti tra animali e l’abuso di minori tenuto da Janette Reever, e la devianza minorile che avrà come docente Fiammetta Trisi.

È prevista una campagna di sensibilizzazione rivolta alla popolazione per scoraggiare la partecipazione al giro di scommesse legate ai combattimenti clandestini?

Faiella: Dall’avvio del progetto è partito il lavoro di sensibilizzazione sul tema e soprattutto il salvataggio di cinque cani – Ascanio, Michi, Zoe, Shrek e Fiona – sequestrati dalle Forze dell’ordine da un circuito di combattimenti illegali, che abbiamo portato a termine a fine 2021, ci sta permettendo di fornire delle testimonianze concrete, delle storie vere per poter raccontare e mostrare alle persone quanto sia brutale e crudele questa pratica. Allo stesso tempo però ci dà la possibilità di mostrare la dolcezza, la fiducia e la possibilità di riscatto di questi cani. Il loro percorso di recupero ci permette di dimostrare che con l’intervento coordinato di Forze dell’ordine, medici veterinari e educatori cinofili non solo è possibile assicurare i responsabili alla giustizia ma anche dare ai cani una nuova vita, lontana dalla crudeltà dei combattimenti.

Quale è il profilo, fisico e psicologico, di un cane sottratto ai combattimenti clandestini?

Zuccari: Dal punto di vista fisico, un cane sottratto ai combattimenti clandestini presenta, generalmente, varie ferite, concentrate principalmente su testa, collo o zampe anteriori. Nel peggiore dei casi, si possono riscontrare fratture agli arti o alla mascella, mutilazioni o zoppie. Dal punto di vista psicologico, la maggior parte di loro presenta atteggiamenti fobici nei confronti dell’uomo, il quale rappresenta una fonte di trauma e forte stress, e risposte variabili, a seconda del ruolo ricoperto (combattente, fattrice/fattore o sparring partner ndr.), nei confronti di altri cani e dell’ambiente. La risposta nei confronti dei loro simili è spesso aggressiva, e sono cani non abituati all’ambiente esterno poiché non ne hanno mai avuto esperienza. Per questi motivi, si trovano spesso a loro agio in contesti chiusi, scarsamente illuminati e molto silenziosi.

Quantificando, solitamente quali sono i tempi di recupero degli ex cani combattenti e quali sono i profili professionali impiegati per il loro percorso riabilitativo?

Zuccari: I tempi di recupero sono tendenzialmente variabili, a seconda del trauma subito e delle esperienze vissute. Riabilitare questi cani dal punto di vista comportamentale significa modificare integralmente il modo in cui percepiscono il mondo circostante, le persone e gli altri animali, soprattutto i loro simili. Per esperienza personale, il percorso di recupero più lungo che mi è capitato di seguire è stato di 8 mesi. Le figure professionali prevalentemente impiegate sono educatori cinofili e medici veterinari. In particolare, gli educatori cinofili coinvolti nel recupero di cani con queste problematiche necessitano di un’esperienza specifica: devono conoscere i loro traumi, le modalità di addestramento che riducono il cane in questo stato e come quest’ultimo percepisce l’uomo. Il medico veterinario, invece, si troverà a effettuare una diagnosi differenziale per capire se le alterazioni del comportamento sono dovute a una patologia in atto o alle esperienze traumatiche vissute; avrà a che fare con cani che presentano cicatrici, problemi alle ossa e altri tipi di ferite. Nei casi in cui il soggetto è maggiormente traumatizzato, non è inusuale trovare ferite da leccamento o ferite dovute ad autolesionismo che si concentrano soprattutto sulle zampe, il posteriore, la coda. Non meno importante il ruolo di volontari il cui contributo è fondamentale per la generalizzazione dei cani e per facilitarne la possibilità di adozione.

Non solo i cani sono vittime di questo circuito criminoso, chi sono gli sparring partners?

Zuccari: Gli sparring partnerssono soggetti definiti ‘sacrificabili’, che servono a preparare e migliorare le capacità combattive dei cani.Molto spesso questo ruolo è ricoperto da altri cani che, avendo le stesse caratteristiche fisiche dei combattenti, vengono impiegati negli addestramenti preparatori. Talvolta, invece, vengono coinvolti soggetti appartenenti ad altre specie, quali gatti, galline e cinghiali.

I cittadini che volessero sostenere il vostro prezioso progetto, come possono affiancarvi in questa battaglia civile e di legalità?

Si possono seguire tutti gli aggiornamenti sul progetto e sul recupero dei cani salvati tramite i canali social di HSI Italia e FCC, condividere le loro storie, divulgare i nostri contenuti sul tema e soprattutto donare per sostenere il nostro lavoro.

Inoltre, è importante che chiunque sia testimone di queste attività illecite a danno degli animali, allerti immediatamente le Forze dell’Ordine.

Photocredit: Chiara Muzzini per FCC e HSI.

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