“Prendila con Filosofia”, Maura Gancitano del duo Tlon racconta come diventare antifragili e fiorire. «Accorgersi è tra gli esercizi più cari alla filosofia antica»

by Alesssandra Nenna

E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica.” Se bastasse dunque sintonizzarsi su una nuova frequenza, proprio come si faceva una volta girando la rotellina della radio, per resistere e superare questi tempi di prove infinite? Superarsi allora, sarebbe la ricompensa scoprendo che, sotto la prima superficie, il mutamento è avvenuto e dovevamo solo liberarci della vecchia pelle.

Ci provano da tempo, a sfidare convenzioni e convinzioni, i tipi di Tlon, al secolo Maura Gancitano.e Andrea Colamedici per offrire un modo alternativo per affrontare le giornate. Perché sempre e solo un giorno alla volta si vive. Iniziando a seguirli vi potrebbe perfino capitare di improvvisare una “camminata filosofica” nel parco della vostra città, cuffiette alle orecchie. Ma andiamo con ordine.

Maura e Andrea sono coppia professionale e nella vita, creatori di un progetto così fluido e vivace che si sviluppa per quattro: casa editrice, libreria teatro, scuola di filosofia e agenzia di eventi. Riuscire a scuotere la polvere dai tomi classici, spesso percepiti poco fruibili, per svelarne la completa aderenza al quotidiano è il loro merito. Una filosofia così “popolare” che durante il primo lockdown si è trasformata in una staffetta di due giornate in diretta streaming durate ciascuna quasi 24 ore, in cui scrittori, divulgatori, giornalisti e gente di spettacolo hanno sfilato di schermo in schermo per offrire strumenti pratici alla gestione della quarantena. Esperimento poi replicato live durante l’estate al Parco Appio di Roma. “Prendiamola con filosofia”, così chiamato quell’evento, coltivava tuttavia nuove direzioni. A fine gennaio è diventato anche prodotto editoriale, un libro game (Prendila con filosofia, HarperCollins) che in soli due giorni ha obbligato l’editore alla ristampa. Per scoprire i dettagli di questa avventura, si potrà seguire la diretta Facebook di venerdì 19 febbraio alle 19.30 dove la coppia sarà ospite della rassegna “Case di Carta”, voluta e organizzata dal Bookstore Mondadori “Vecchie Segherie Mastrototaro” di Bisceglie.

Scopriamo però che il web è uno spazio che Maura Gancitano e il compagno abitano da tempo, in una direzione ostinata e contraria a quello che, nei fatti, il digitale dimostra essere: una piazza poco sicura e scarsamente responsabile (come nelle parole di sfogo della stessa Gancitano in una diretta Instagram di poche settimane fa). Perché scegliere la rete, allora, le abbiamo chiesto. Quale bisogno avete intercettato che vi ha fatto intravedere una sponda positiva?

“Abbiamo iniziato a usare i social perché volevamo aprire un dibattito sui pericoli legati alla spiritualità contemporanea, e ci siamo resi conto che c’erano molte persone interessate a dialogare su questo tema, e che cercavano uno spazio per potersi confrontare e parlare di dinamiche sociali e di quello che chiamiamo “fioritura personale”. Non è stata quindi una pianificazione, piuttosto un dialogo costante che negli anni è cresciuto. Spesso questo infastidisce delle persone e ci fa entrare nel mirino di shitstorm e attacchi più o meno organizzati, ma rimane comunque il senso di ciò che facciamo”.

Essere attaccati, ancorché virtualmente, non riduce tuttavia la sensazione di ricevere una violenza. Tuttavia i saggi dicono che gran parte di ciò che ci accade rivela il proprio senso nel modo in cui reagiamo. Penso allora agli episodi di zoombombing che hanno provato a zittire alcune donne come le scrittrici Lia Tagliacozzo e Marina Pierri. Quest’ultima, parte della “scuderia” Tlon con il recente Eroine, ha subito unattacco disturbatore proprio mentre parlava di universo femminile e della fatica di riconvertire secoli di credenze e influenze patriarcali. La sua reazione è stata esemplare. Piuttosto che fermare la riunione ha usato l’episodio come prova sul campo di ciò che aveva appena cercato di spiegare. L’ha presa con filosofia, diremmo. Ma è proprio così?

La filosofia, che vuol dire amore per la conoscenza, se per un verso aumenta il numero dei significati che diamo al mondo, dall’altro elimina uno dopo l’altro concetti ereditati da una società conservatrice e con cui vestiamo i nostri pensieri quotidiani. Il prezzo di troppa filosofia non sarà sentire il mondo direttamente sulla pelle, rendendosi più vulnerabili?

“Questi attacchi sono sintomo del fatto che l’idea di una società inclusiva e libera faccia paura. Credo che se ne debba parlare per mostrare che esiste il fenomeno e per mostrarne la radice, perché sono tutte pratiche che si mettono in atto a partire da uno stesso modello culturale. Questo può aiutare a reagire senza farsi fermare e silenziare – che è poi lo scopo di chi fa zoombombing o diffonde odio – ma credo che le reazioni personali a qualcosa del genere non si scelgano, quindi nei casi che hai citato siamo tutte andate avanti, ma altre persone potrebbero invece fermarsi per proteggersi, e non sarebbe comunque un problema loro. In questo processo la filosofia è essenziale perché prende in considerazione fenomeni che si tendono a ridimensionare o addirittura a negare, dà loro un nome e si domanda come cambiare paradigma. Si diventa quindi più forti o più deboli? Diciamo che si diventa più sensibili, si alza la soglia dell’attenzione, si accetta di sforzarsi di più, e questo io credo sia un bene, anche se comporta fatica. Per dirla con Nicholas Taleb, si diventa antifragili”.

Parliamo del vostro “Manuale di fioritura personale”, come recita il sottotitolo. La parola manuale fa pensare a un’utilità, qualcosa da agire; un libro con cui giocare per conoscersi. Le persone hanno più bisogno di filosofia o di giocare?

“Abbiamo iniziato a pensare al libro alla fine del 2019, dunque in un mondo totalmente diverso. L’idea era di rispondere alla domanda “come si fa a fiorire?”, quindi ci siamo immersi nello studio della filosofia della cura e della narrazione, nelle ricerche di Hadot, Foucault e in tutta la letteratura filosofica legata a quella che chiamiamo fioritura personale. Quando abbiamo iniziato a scriverlo, però, eravamo nel bel mezzo di una pandemia e ci domandavamo come essere utili alle persone che lo avrebbero letto. Non è quindi venuto fuori il saggio che avevamo pensato. Abbiamo cercato di renderlo più accessibile e di creare un rapporto di fiducia con i lettori inserendo una dimensione notevole di gioco ed esperimento. In questo senso, non credo che filosofia e gioco siano idee separate, perché il gioco senza pensiero non coinvolge, e il pensiero senza pratica non trasforma”.

In una vostra presentazione avete usato un’espressione che mi è piaciuta: un libro per stapparsi. Come una pregiata bottiglia di vino o spumante tenuta da parte per un’occasione importante. Per scoprire che l’attesa era riservata a noi stessi. È questo, tra gli altri, il fine? Vi è una qualche affinità con gli “atti poetici” citati da Jodorowsky in Psicomagia?

“Abbiamo cercato di capire come un libro potesse non finire con l’oggetto di carta e spingere a fare delle cose un po’ stupide nella vita reale. Non si tratta di atti psicomagici, perché quelli suggeriti da Jodorowsky sono rituali impegnativi, costosissimi e che hanno lo scopo di trasformare definitivamente la tua vita una volta per tutte. Piuttosto noi ci siamo ispirati all’idea di cura e fioritura che sono più legate alle piccole azioni quotidiane, all’attenzione, a quella che James Hillman avrebbe chiamato bassa manutenzione. L’idea alla base, come emerge da tanta filosofia antica, e che piccoli esercizi e piccoli esercizi filosofici abbiano, in realtà, un potere superiore a quello che pensiamo”.

Chi sono i destinatari preferenziali di questo libro?

“Le persone che non hanno paura di giocare, di liberarsi dalla performatività e di imparare a osservarsi”.

Mi è piaciuto trovare, tra le varie suggestioni, il riferimento all’accorgersi. Accorgersi è uno dei vocaboli suggeriti anche da Igor Sibaldi nel suo Vocabolario. Le parole dai mondi più grandi. Gli esercizi per allenare la presenza sono utilizzati nei contesti di crescita del proprio potenziale anche dallo storico Napoleon Hill in Pensa e arricchisci te stesso.

C’è una forma di sapere universale che, pur se ispirata da fonti diverse, arriva al suo nodo gordiano che è l’agire. Potrebbe essere una lettura possibile del vostro libro?

“Accorgersi rientra negli esercizi più cari alla filosofia antica, al pensiero occidentale, ma non solo. Si trovano esercizi simili in moltissime scuole, tradizioni, discipline. Il punto è perché cerchi di farlo, come abbiamo scritto nel primo libro pubblicato insieme con Andrea nel 2016, Tu non sei Dio. Napoleon Hill è uno dei principali responsabili di un certo modo utilitaristico di vedere la spiritualità in Occidente, per questo ha unito la regola aurea con l’idea di arricchirsi, che non è certamente ciò che è scritto nei Vangeli. Significa portare l’ordinario nello straordinario, non meravigliarsi per fiorire, ma usare la meraviglia per essere ancora più performativi. Quindi il punto non è tanto quello che fai, ma il processo che compi e il senso che ha per te il percorso di fioritura”.

Tornando al significato delle parole. Alcune nel tempo evolvono e ne acquisiscono di nuovi. Altre ne perdono. Positivo oggi si sta connotando come parola da censurare perché rimanda a contesti apocalittici. Che ne sarà del pensiero positivo?

“Il pensiero positivo nasce dall’idea di poter avere il controllo sulle cose, ma nell’ultimo anno ci siamo resi conto – forse come mai prima – che in un mondo così complesso ci sono sempre migliaia di variabili da considerare e infiniti scenari possibili. Mi auguro quindi che si abbandoni l’idea di poter avere il controllo sulle cose e ci si inizi a domandare cosa abbiamo il potere di cambiare. Non si tratta di essere pessimisti e ottimisti, ma anzi di superare queste polarizzazioni, cercando invece di andare in profondità e essere sinceri con noi stessi a livello personale e collettivo. Può essere molto più entusiasmante dell’idea di pensiero positivo, che sembra confortante ma innesca spesso sensi di colpa e di inferiorità”.

Da lettori, il vostro manuale, prima di consegnarlo al mondo, lo avete sperimentato da lettori? Se sì, qual è stato il tuo personale punto di partenza: campagna, città, provinciale, autostrada?

“Inizialmente abbiamo scritto il libro, poi abbiamo immaginato le strade, quindi abbiamo sperimentato i vari percorsi per capire che tipo di esperienza avrebbero fatto lettore o lettrice. Avendoli sperimentati tutti, non so quale percorso avrei fatto se ne avessi dovuto scegliere uno. Forse la città, perché sembra un contesto banale e invece può essere ricchissimo di sorprese”.

Ti diverti più da editore, scrittrice o divulgatrice di pianeti immaginari?

“Difficile sceglierne solo una, perché mi piace sperimentare e non mi riconosco in un’unica identità. Di sicuro, non potendo viaggiare di continuo come prima, mi piace l’idea di incontrare persone molto diverse da me e misurarmi con progetti inediti. Quindi forse la terza, che contiene anche le altre”.

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