I misteri di Piazza del Gesù

by Eugenio D'Amico

Spaccanapoli, prima che la città si ampliasse verso la collina, si concludeva nello slargo che è l’attuale Piazza del Gesù. La piazza è delimitata dal convento delle Clarisse con la Chiesa di Santa Chiara; dall’Insula gesuitica che comprendeva la Chiesa della Trinità Maggiore, meglio nota come Gesù Nuovo, il Palazzo delle Congregazioni e la Casa Professa, che ora ospitano rispettivamente il Liceo Genovesi e l’Istituto Magistrale Pimentel Fonseca, quella “scola d’o Ggesù”, che Domenico Modugno e Riccardo Pazzaglia immortalarono in una canzone; e, infine, dal Palazzo Pignatelli di Monteleone che i napoletani di metà dell’Ottocento cominciarono a chiamare “’o palazzo d’o gas”, dove però il gas che a Napoli già illuminava vie e piazze cittadine non c’entrava niente, poiché “d’o gas” era una corruzione del cognome di Renè Ilaire De Gas, il banchiere francese che lo aveva acquistato nel 1832. Renè era nonno di Edgar Degas e il maestro dell’impressionismo dimorò a lungo nel palazzo.

Nel centro della piazza si erge l’Obelisco dell’Immacolata, costruito dai Gesuiti nella seconda metà del Settecento anche per riaffermare la potenza dell’Ordine, con i frutti di una colletta popolare promossa dal padre gesuita Francesco Pepe. Il progetto è di Giulio Genoino, ma la costruzione fu affidata a due valenti architetti del tempo, Giuseppe Di Fiore e il gesuita Filippo D’Amato. L’obelisco si sviluppa sul modello delle macchine da festa dell’epoca e termina con una statua di bronzo dorato della Vergine. Sculture, medaglioni e bassorilievi lo decorano dal basso verso l’alto per celebrare i Santi dell’Ordine di Sant’Ignazio di Loyola ed episodi della vita della Vergine. 

Intorno all’obelisco sono fiorite curiose dicerie legate al fatto che con particolari condizioni di luce radente, ponendosi in un punto preciso della piazza, più o meno all’altezza di quello che è ora l’ingresso del Liceo Genovesi e sollevando lentamente lo sguardo verso la statua della Madonna che si presenta di spalle, per un curioso effetto di prospettiva può capitare di vedere al posto della statua della Vergine, l’Angelo della Morte, una minacciosa figura incappucciata e con la falce sulle spalle.

L’illusione ottica, abbastanza evidente, ha dato la stura a fantasiose interpretazioni: secondo alcuni, i Gesuiti costruttori hanno voluto affidare alla statua un “memento mori”, un monito sulla caducità della vita, che appare all’alba ed al tramonto; secondo altri, il gioco di prospettiva risponde ad un non meglio precisato simbolismo massonico; qualcuno poi trova addirittura improbabili e anacronistiche analogie con il recente culto messicano di Nostra Signora della Santa Morte che viene raffigurata come uno scheletro che stringe nelle mani una clessidra ed una falce ed ha il capo nascosto da un velo che gli scende lungo il corpo come un mantello. Ma che sia un voluto effetto ottico o una casuale suggestione, la trasformazione della statua dell’Immacolata nell’Angelo della Morte è tuttora un efficace espediente degli studenti napoletani per agganciare le ragazze, incuriosendole con la intrigante promessa di far vedere loro la  Morte sull’obelisco…  

Intrigante è anche quanto si narra intorno alla facciata della Chiesa della Trinità Maggiore, meglio conosciuta come Gesù Nuovo, che è una delle basiliche più importanti di Napoli. In origine dove ora sorge la Chiesa vi era il Palazzo dei principi di Sanseverino, edificato nel 1470 da Roberto Sanseverino, primo principe di Salerno, che i gesuiti acquistarono nel 1584 e sventrarono completamente per costruire la chiesa, salvandone solo le mura esterne con la splendida facciata in bugnato pipernino e l’ingresso che venne poi parzialmente modificato con l’aggiunta di due colonne. Le pietre di piperno tagliate a diamante del bugnato della facciata recano tutte misteriose incisioni, che hanno scatenato la fantasia popolare.

Secondo la leggenda, si tratterebbe di simboli astrali o alchemici poiché Roberto Sanseverino era un mago ed alchimista e per questo volle che i muratori fossero tutti iniziati all’arte nascosta dei maestri pipernieri che intagliavano la pietra lavica seguendo le precise indicazioni dei rabdomanti che individuavano le correnti di energia positiva che in esse scorrevano. Ogni pietra, poi doveva contenere una parola o una lettera di protezione ed essere disposta in una posizione precisa, per poter convogliare le energie positive verso l’interno del palazzo e quelle negative verso l’esterno. Si narra però che i lavoranti mal concepirono l’opera invertendo la disposizione delle pietre. In questo modo il magnetismo positivo fu rivolto verso la piazza e quello negativo verso l’interno.

Dagli influssi malefici della facciata del palazzo nacquero così le disgrazie dei Sanseverino che per ben due volte persero i loro beni e furono costretti ad abbandonare Napoli. Antonello, il figlio di Roberto, si mise a capo della rivolta contro Ferrante I d’Aragona che passò alla storia come “congiura dei baroni” e nel 1485 subì la confisca dei beni e fu costretto a fuggire in Francia; Ferrante Sanseverino, invece, dopo che i Sanseverino ebbero riottenuto dagli spagnoli i loro feudi, capeggiò l’opposizione popolare all’introduzione dell’Inquisizione a Napoli e per questo si scontrò con il Vicerè Don Pedro de Toledo e nel 1552 perse definitivamente beni e titolo, finendo anche lui esule in Francia. Peraltro anche i Gesuiti subirono gli influssi malefici della facciata, visto che la chiesa fu più volte interessata da crolli della cupola e nel 1639 fu devastata da un disastroso incendio.

Proprio perché la facciata proietta gli influssi positivi verso l’esterno, si dice che, sapendo decifrare i simboli del bugnato e ponendosi nel punto della piazza che corrisponde a quello da cui la statua sulla guglia dell’Immacolata assume le sembianze della morte, guardandola si conquisti l’immortalità.

Ma le storie raccontate sul bugnato del Gesù Nuovo, qualche anno fa si sono arricchite di un nuovo, stupefacente capitolo. Un’equipe di studiosi, guidati dal professor De Pasquale, storico dell’arte, e da due ungheresi, il musicologo Lòrant Réz e il gesuita Csar Dors, studioso di aramaico, ritenendo che i sette misteriosi simboli che si ripetono sulle bugne siano caratteri aramaici, li hanno tradotti in latino e traslati in note musicali, scoprendo che il bugnato è un enorme pentagramma scolpito che, letto da destra a sinistra e dal basso in alto riproduce un concerto per plettri della durata di 45 minuti a cui, trascritto per organo, è stato dato il nome di Enigma. La questione diventa ancora più interessante se si pensa che, come mistero richiede, pare che le chiavi di lettura siano molteplici poiché il bugnato consente anche letture da sinistra a destra, e in diagonale e verticale.

Ma non finisce qui poiché torna il mistero e l’esoterismo quando facendo notare  curiose assonanze tra Enigma e la corale “Herr Jesu Christ, dich zu uns wend, BWV 655” di Johann Sebastian Bach, qualcuno sostiene che Bach e forse anche Mozart, entrambi massoni, abbiano conosciuto, non si sa come il segreto della musica del bugnato e ne siano stati influenzati.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.