Sulle piattaforme di streaming, i period drama vanno alla grande: lo conferma il successo di The Crown (vincitrice di due Golden Globe nel 2017), la serie su Elisabetta II d’Inghilterra alla quale The Last Czars viene immediatamente accostata, per essere il primo ambizioso progetto occidentale sulla Russia imperiale.
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Quando ci si chiede come gli sia riuscito di contribuire in modo così incisivo e determinante al decollo della serialità nazionale, non si possono dimenticare i percorsi intrecciati della sua vita straordinaria per cui un uomo di libri come lui si è incontrato con l’insegnamento, il palcoscenico, la televisione, acquisendo la dimensione mediologica purtroppo a lungo estranea alla cultura italiana.
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Accanto alla forza evocativa e alla potenza del concetto dietro La Casa di Carta, c’è l’incalzante ritmo narrativo che tiene lo spettatore incollato allo schermo. Decisamente un lavoro da lode, se si pensa che si tratta di una serie nata per la tv generalista spagnola.
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Molti interrogativi trovano finalmente risposta; primo fra tutti: cosa successe davvero la notte fra il 25 e il 26 aprile del 1986? L’espediente narrativo utilizzato per dire tutto questo è quello del processo, scritto sulla base di quello che si tenne nel 1987.
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Cinque episodi affilati come sciabole, dagli spigoli senza alcuna smussatura, che puntano a ripercorrere la causa di una catastrofe nazionale (e mondiale), la quale si scopre essere dentro ragioni che paiono briciole se rapportati agli effetti.
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Diretta, prodotta e interpretata da George Clooney, la mini serie originale Sky in sei episodi ha alle spalle l’omonimo film di Mike Nichols del ’70 e prima ancora il romanzo antimilitarista di Joseph Heller, edito nel 1961.
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A più di qualche ora dalla chiusura del cerchio, si è divisi fra qualche momento nostalgia…
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Alessio Giannone, noto anche con lo pseudonimo di Pinuccio, inviato per il sud della trasmissione Striscia la notizia di Mediaset, si occupa da sempre di ambiente e di pubbliche amministrazioni.
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Il fenomeno American Horror Story, il cui debutto con Murder House risale al 2011, è forse l’antologia televisiva più rappresentativa dell’estetica postmoderna, nonché la più nera delle contro-narrazioni americane
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Il Metodo Kominsky rappresenta alla perfezione quella porzione di piattaforma che non deve parlare necessariamente di supereroi, ragazzini o crimini per essere interessante: al centro della storia ci sono, in pratica, due vecchi arrugginiti, con un problema nuovo ogni giorno che passa, lo scarto di Hollywood, il ciarpame che non vuole più nessuno, ma che non ha ancora finito di dire la sua.