“La paranza dei bambini”, la voglia di roba e di vita adulta dei giovanissimi boss di Napoli

by Antonella Soccio
la paranza dei bambini

Sanità, Stella, Forcella, Ponticelli, Scampia, Mezzocannone e l’Orientale, i Quartieri Spagnoli. Eppure “La Paranza dei bambini”, appena premiato con l’Orso d’Oro a Berlino per la migliore sceneggiatura a Roberto Saviano e Maurizio Braucci, non è un Gomorra junior per le strade partenopee, sebbene in questo film la città sia ripresa come non mai, in uno spaccato straordinario e realista, senza imbellettamenti turistici o al contrario splatter e noir, che raramente si è visto al cinema o alla tv.

I tanti mercati ambulanti, i vicoli, i tetti comunicanti di San Carlo all’Arena, le risalite, i negozi avviliti delle estorsioni, i night. Il mare di Anna Maria Ortese, che “non bagna Napoli” e che si vede solo una volta sul lungomare, quando i due giovani bellissimi fidanzati protagonisti in scooter tentano di fuggire al loro destino di morte, sognando la Puglia e Gallipoli. Come due ragazzi qualunque, padroni della propria età spensierata. 

 “Non un film sulla camorra giovanile ma sui sentimenti intrecciati derivanti dalle loro esperienze, su come questi adolescenti cavalcano in poco tempo e con avidità la loro età inafferrabile rinunciando ad amore, amicizia e famiglia pur di ottenere tutto e subito”, ha detto il regista Claudio Giovannesi in un’intervista a Vivi il Cinema, il bimestrale d’informazione cinematografica edito da Fice.  

La camera a mano per i quartieri di Napoli, divenuti quasi ghetto, fa vivere da spettatori nell’ossessione dei napoletani per le loro tante città nella città. Con Elena Ferrante milioni di lettori hanno conosciuto il Rione di Gianturco, con Saviano si riconoscono le piazze di spaccio controllate, in un romanzo di formazione criminale.

Insieme al giovane Nicola, interpretato da un incredibile e bravissimo Francesco Di Napoli, e al suo gruppo di amici composto da Biscottino di Alfredo Turitto, da Tyson di Ar Tem, Lollipop di Ciro Pellecchia, il pubblico entra nelle storie di una comitiva di adolescenti, “condannati” a fare i boss, per la loro naturale voglia di crescere. “Vogliamo fatica’”, dicono raccomandandosi ora a questa e ora a quella batteria, in cerca di alleanze.

Diventano boss per guadagnarsi un tavolo privè da 500 euro in discoteca da cui dominare la città, per i vestiti firmati, per dei nuovi mobili pacchiani. Per l’amore per la roba, simulacro di un’esistenza giovanile votata alla distruzione. Ma nel film non c’è nessuna sociologia, lo sguardo è pulito, senza giudizio, sospeso. Non c’è nessuna teoria, né Baudrillard né Galimberti.

Avevano un’unica destinazione: Foot Locker. Lo assaltavano, quel negozio. Entravano a testuggine, come volessero abbatterlo e poi varcata la soglia, si disperdevano. Le T-shirt le tiravano su a dieci, quindici alla volta. ‘O Tucano se le mette una sull’altra. Just Do It. Adidas. Nike. I simboli scomparivano e venivano sostituiti in un secondo. Nicolas si era preso tre Air Jordan tutte insieme.
Roberto Saviano

Il film è un magnifico racconto di passioni giovani. Dall’amore per la madre che non deve più pagare il pizzo alla baldanza delle armi e della vendetta.

Indimenticabili alcune scene, come quella della Paranza costretta a fare da cameriere al matrimonio della figlia di un boss in galera. La scelta stilistica è particolare, tutta in soggettiva girata come se vedessimo un video amatoriale di quart’ordine nella sala ricevimenti.

Pieni di emozione i baci e le coccole tra Nicola e Letizia.

“Senza i suoi messaggi su WhatsApp, senza la sua dolcezza, si sentiva vuoto. Voleva le carezze di Letizia. Quelle che si merita chi fatica”.

La colonna sonora con i brani neomelodici, la trap, l’hip hop e i pezzi originali, Adunata, Joia, Nella Cava di Andrea Moscianese arricchisce il film, rendendolo un documento sulla giovinezza e sulla malavita.

Antonella Soccio

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