Kurt Cobain e la rivoluzione del grunge nella mostra a Palazzo Medici Riccardi

by Michela Conoscitore

Bloccata a causa della pandemia da Covid-19 lo scorso marzo, dal 2 luglio presso Palazzo Medici Riccardi di Firenze è finalmente possibile visitare una delle mostre più complete su Kurt Cobain e i Nirvana, Come as you are: Kurt Cobain and the grunge revolution. La mostra, che sarà visitabile fino al 18 ottobre, raccoglie più di ottanta foto firmate da due dei fotografi statunitensi più celebri della scena internazionale, Charles Peterson e Michael Lavine.

Un racconto per immagini, ovviamente, ma allo stesso tempo una parabola discendente non solo del gruppo cult della scena grunge di Seattle ma, anche del suo leader, Kurt Cobain. Peterson e Lavine non erano semplici spettatori del successo dei Nirvana, ma amici molto vicini a Cobain di cui hanno raccolto confessioni e confidenze, seguendolo nel suo breve e accidentato percorso di vita. Se Peterson preferiva realizzare immagini dove un flash potente illumina la scena includendo, oltre alla band, anche il pubblico che per il fotografo ha creato quella nuova ‘cultura’ che sarebbe stata ribattezzata grunge, Lavine usa i colori, a volte psichedelici, per sottolineare la novità straniante che era al di là dell’obiettivo: i Nirvana.

Il gruppo nasce nel 1987, con una formazione differente inizialmente, provando a farsi conoscere in quel fermento musicale che era Seattle, la periferia dell’impero: la nascita del gruppo si inscrive in un periodo critico dell’America, poiché i formidabili anni Ottanta stanno per terminare, da lì a poco sarebbe crollato il Muro di Berlino, e gli Usa avrebbero perso non soltanto il loro nemico storico, la Russia, ma anche la propria collocazione nello scacchiere politico mondiale. Ciò portò ad un crollo degli ideali socio-culturali, e questo crollo trascinò con sé anche le famiglie che vissero nel disagio il passaggio agli anni Novanta. A farne le spese, ragazzi come Kurt Cobain che alla vista dello sfaldamento della propria sicurezza famigliare, trovò nella musica l’unica valvola di sfogo.

Dopo il primo album Bleach e un cambio all’interno della band con l’arrivo del batterista Dave Grohl, i Nirvana pubblicano l’album Nevermind, e da lì non si arrestarono più. Il successo del gruppo e il mal di vivere di Cobain aumentavano di pari passo, così come l’uso di eroina da cui era dipendente. Nella lettera di addio, ritrovata accanto al suo corpo quel 5 aprile del 1994, il cantante definiva sé stesso troppo sensibile ed empatico, aveva timore di deludere tutti e quindi preferiva togliere il disturbo, scrivendo alla compagna Courtney Love che la figlia Frances sarebbe stata meglio senza di lui. Cobain aveva paura di proiettare anche sulla figlia quel malessere che lo aveva attanagliato per tutta la vita, e che traspare nelle immagini della mostra: disposte seguendo un ordine cronologico, si assiste all’evoluzione del musicista da ragazzo spaesato e comunque contento di quello che stava vivendo, ad uno degli ultimi servizi fotografici scattati da Michael Lavine dove si nota la totale assenza di Cobain che, quel giorno, arrivò sul set fotografico completamente assuefatto da stupefacenti tanto da far fatica a tenere gli occhi aperti. Inoltre, la sua difficoltà nel confrontarsi con la fama, sempre crescente, accelerò la sua auto-distruzione.

Come raccontato dai curatori della mostra, Vittoria Mainoldi e Maurizio Guidoni, nel corso della visita durante la quale hanno accompagnato la stampa ad esplorare il percorso espositivo in anteprima, non è stata Courtney Love a creare problemi e dissesti nel gruppo, ma la dipendenza di Cobain dalla droga e il suo disagio psicologico. Lo stesso Lavine ha raccontato a Guidoni che la coppia si amava moltissimo, ed è una cosa risaputa che tutti i loro amici possono affermare.

Con Maurizio Guidoni, bonculture ha ricordato l’indimenticato concerto Unplugged che Kurt Cobain registrò per MTV e il giorno del suicidio: “Cobain stava pensando al futuro, aveva già in mente nuovi progetti. Il concerto per MTV sicuramente non era una di quelle cose che avrebbe amato fare, ma doveva. Accadde qualcosa quella primavera, me lo raccontava Charles Peterson: in quel periodo pioveva in continuazione nello stato del Wyoming, le cose stavano cambiando ed erano tutti drogati, depressi. Peterson era solito telefonare Kurt la mattina, per chiedergli come stesse. Quel 5 aprile non lo fece, perché non stava bene. Si alzò molto tardi dal letto, un amico lo telefonò dicendogli di accendere la televisione. Praticamente, Peterson si chiede ancora oggi se quel giorno avesse telefonato a Cobain, le cose sarebbero andate diversamente?”.

A Vittoria Mainoldi abbiamo chiesto delucidazioni in merito all’entità del lascito di Kurt Cobain e dei Nirvana, ora che gli anni Novanta sono finiti: “È vero gli anni Novanta sono finiti, ma Kurt ha ancora una grande potenza mediatica perché la mostra, organizzata già in altre sedi, è stata visitata da un pubblico transgenerazionale: dai fan della prima ora ai ragazzi di oggi. Credo che la potenza comunicativa di Cobain derivi oltre che dalla sua avvenenza che, nel mondo dello spettacolo e della musica nello specifico, ha la sua importanza, anche dai testi delle canzoni che scriveva, quelle di un ragazzo che si era fatto da sé e che conservano ancora un’energia, soprattutto in questo periodo di grande cambiamento. La voce di Kurt è una voce ancora molto ascoltata. E speriamo lo sarà sempre”.

La Mainoldi prosegue: “I Nirvana e il grunge hanno portato avanti un processo di popolarizzazione del punk: dal punto di vista tecnico tutte le sonorità che erano già nate alla fine degli anni Settanta, sono state sdoganate dai Nirvana in chiave più pop. A questo si aggiunge anche la grande capacità comunicativa del gruppo. Quelli erano gli anni dove si giravano i primi videoclip, una vera e propria rivoluzione. Entrare nelle case, attraverso i video a rotazione su MTV, ha trasformato anche l’approccio alla musica che non si limitava più all’ascolto dell’album nella propria stanza”.Meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.

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