Hedera, atmosfere gotiche per un romanzo con giochi di ruolo ottocenteschi. Gli autori: «L’amore genera amore»

by Michela Conoscitore

I libri sono in grado di farci viaggiare, idealmente e metaforicamente, stimolando la capacità immaginativa di ognuno, facendo leva sull’emotività del lettore che la narrazione accende. C’è da mettere su un’impalcatura, in cui perdersi, ma accogliente allo stesso tempo. Come fare? Solitamente, oltre all’inventiva e alla fantasia contemporanee, le grandi scrittrici e scrittori del passato accorrono in aiuto. La magia, nonostante i secoli, rimane intatta perché non ha tempo. Poche cose al mondo non possiedono date di scadenza, e tra queste rientrano sicuramente i libri.

L’incantesimo letterario creato da tanti autori e autrici britannici rivive oggi in un romanzo italiano, Hedera: edito dalla casa editrice Becco Giallo, l’opera è il frutto di un team di creativi, scrittori e fumettisti, che ha deciso di unirsi non solo per raccontare una storia ma anche per incantare i lettori di tutte le età con un universo onirico, dove parole e immagini in sinergia concorrono per trasportarli in un viaggio difficile da spiegare. Tutto si svolge a Dartmoor, un piccolo paese immerso nella campagna inglese, nel 1826. Qui si è trasferito l’ombroso dottor Norland, che per reminiscenze letterarie ricorda il coriaceo Mr. Rochester del romanzo Jane Eyre. Stessa scontrosità, stessi demoni, il dottore è un medico legale e un giorno si imbatte nel cadavere di Edith Wilson. Completamente nuda, ma ricoperta di edera, il dottor Norland deve comprendere le cause di morte della ragazza, in un paese dove il tempo pare non scorra, tutto sembra immerso in una quiete irreale e, soprattutto, nessuno dei suoi abitanti vuole che quella soprannaturale serenità venga rotta a causa di una morte sospetta.

bonculture ha intervistato Ernesto Anderle, Irene Bruno, Nicolò Targhetta ed Eugenio Belgrado, autori di Hedera:

Come e quando nasce la collaborazione che vi ha visti coinvolti in questo libro?

Ernesto: Durante una notte d’estate. Era giugno. Ricordo che c’era un gran temporale. Erano le due di notte quando ho scritto a Nicolò chiedendogli se avesse voglia di scrivere qualche testo per la pagina Facebook di Hedera, che avevo aperto da un paio di settimane…

Nicolò: Ernesto mi ha chiamato proponendomi la strana idea di una sorta di Twin Peaks ambientato nell’Inghilterra del 1800, alternando narrazione e disegno. Io, che sono schiavo delle atmosfere austeniane, non potevo dirgli di no. Inoltre collaborare con lui è sempre stimolante.

Ernesto: Inizialmente volevo pubblicare solo illustrazioni, poi ho sentito l’esigenza di includere dei testi. Successivamente ho chiesto a Irene di scrivere delle pagine di diario che raccontassero la vita di una ragazza nella campagna inglese all’inizio dell’Ottocento…

Irene: Ernesto ha iniziato a disegnare, a creare Edith, immersa in uno scenario onirico. Vedendo le illustrazioni mi è venuto spontaneo scrivere un ipotetico diario, vista la mia passione per questo periodo storico.

Ernesto: Infine ho chiamato Eugenio, non lo conoscevo personalmente, ma seguivo con passione il suo lavoro sui social.

Eugenio: Conoscendo la mia passione per il diciannovesimo secolo e per la letteratura di allora, Ernesto mi ha proposto di prendere parte all’universo narrativo che si stava creando, dando volto e pensiero ad un nuovo personaggio. Quando mi ha spiegato i dettagli del progetto, sono saltato immediatamente a bordo.

Hedera è sicuramente un’opera innovativa nel proprio ambito editoriale, come lo descrivereste?

Eugenio: Il nomignolo che abbiamo usato più volte è “gioco di ruolo letterario”, e trovo che sia calzante. Hedera nasce dall’atmosfera dei romanzi gotici, con Irene, Ernesto e Nicolò che lavorano ad una pagina Facebook frammentaria e senza trama unitaria, in cui spezzoni di immagini, foto, note e diari dipingono una sensazione più che una storia. Ernesto illustrava e Nicolò e Irene scrivevano. A un certo punto, si è sentito il bisogno di dare uno scopo a questo contenitore, e i frammenti hanno assunto coesione fino a dipingere la cornice di un enigma, un giallo ultraterreno e misterioso. Ogni scrittore ha interpretato un personaggio continuando di settimana in settimana la storia sulla base di quello che gli altri pubblicavano prima, improvvisando senza una vera trama scritta ma solo con una scaletta molto vaga. Ho iniziato a creare la terza voce del coro. In fase di stampa abbiamo ovviamente ripulito il tutto da ciò che era incoerente o di troppo, ma badando a mantenere quell’originale sensazione di spontaneità e improvvisazione che ci ha caratterizzato. Nella versione definitiva, Ernesto ha illustrato, Nicolò e Irene scritto, ed io ho fatto un po’ di entrambi.

Irene: Che sia scritto da tre differenti penne è l’elemento che lo rende innovativo.

Ernesto: Esatto. Hedera è un esperimento narrativo in cui si cerca di superare il limite che comporta la scrittura di un libro per mano di un solo autore. Solitamente a dar voce ai personaggi di una storia è un solo scrittore e più è bravo, più riesce a immedesimarsi nei vari personaggi e creare le diverse sfumature che ne caratterizzano il ruolo. Se invece dietro ai diversi personaggi ci sono realmente diverse persone il risultato è indubbiamente più autentico.

Modelli, influenze letterarie, cosa vi ha ispirato maggiormente nel processo creativo che ha poi dato vita ad Hedera?

Irene: Devo dire che durante le nostre numerose videochiamate per delineare la trama abbiamo tirato in ballo di tutto. Dalle serie tv ai videogiochi, ma naturalmente anche la letteratura inglese e la poesia. Per quanto riguarda me, ho tratto molta ispirazione da un’autrice contemporanea Jane Harris, in particolare un suo romanzo dal titolo “Le osservazioni”. Ma anche Emily Brontë e Virginia Woolf mi hanno guidata in questo percorso.

Nicolò: Hedera, secondo me, è influenzato sia dal passato, i feuilleton, le opere di Conan Doyle, le atmosfere più cupe di Edgar Allan Poe, così come i romanzi della Austen o di Mary Anne Evans, che dal presente, non solo David Lynch, ma credo anche la cultura delle serie tv che ci hanno in qualche modo “insegnato” a vivere una storia a capitoli ricca di colpi di scena e di cliffhanger.

Ernesto: Aggiungo anche i vecchi cartoni come “Le avventure del bosco piccolo”, che in pochi ricorderanno, anche se credo che l’influenza più significativa sia stata l’opera di Beatrix Potter, quel tipo di campagna rilassante, ma allo stesso tempo inquietante.

Eugenio: Io, invece, ho introdotto l’elemento esoterico e gnostico della trama, con il dualismo tipico dei poeti ed occultisti di quei tempi, tra cui in particolare William Blake, sui cui lavori mi laureai. Nello specifico la poesia The Human Abstract, tradotta talvolta ne Il compendio dell’uomo, ha fornito gran parte del tono onirico e melanconico dell’intreccio.

Oltre alla narrazione, magiche sono le illustrazioni che accompagnano chi legge nello sviluppo della vicenda di Edith. Come avete concepito questa tipologia di disegni affinché si creasse proprio un’alchimia, come siete riusciti a fare, tra parola scritta e immagine?

Irene: Può sembrare strano, ma non avevamo un piano, un progetto di come le illustrazioni si sarebbero collegate ai testi. È venuto tutto spontaneo. A volte è nata prima l’illustrazione, e noi scrittori avevamo una buona fonte di ispirazione, altre il contrario. Ernesto e Eugenio leggendo i nostri scritti hanno creato splendidi disegni. È un po’ come rispondere alla domanda “è nato prima l’uovo o la gallina”. Il processo è stato così naturale che non ci siamo mai dovuti confrontare su questo aspetto.

Nicolò: Le illustrazioni non si limitano, come spesso accade nei classici feuilleton, ad arricchire il racconto, ma hanno il grande pregio di fornire al lettore indizi, informazioni, punti di vista, emozioni e sensazioni aggiuntive. Fanno dunque da vero e proprio contraltare ai vari capitoli e io suggerisco di “leggerle” con altrettanta attenzione.

Eugenio: Ultimamente non solo si è recuperato lo strumento già esistente in passato del silent book, il libro muto, ossia una narrazione che avviene solo per immagini, ma anche il rapporto tra linguaggio scritto e visivo si è evoluta o, per meglio dire, sta recuperando quella profondità che già aveva. La scrittura è dunque sempre autosufficiente e dipinge una determinata visione, ma lo diventa ora anche l’illustrazione e ne crea un’altra leggermente diversa, complementare piuttosto che ripetitiva. In questo modo la sinergia tra i due linguaggi crea un terzo universo, in cui il risultato è superiore alla somma delle sue parti ed ogni suo elemento è funzionale e imprescindibile dagli altri.

Le illustrazioni sono soltanto per libri da ragazzi?

Nicolò: Se è pur vero che, nel contesto attuale, un libro con le illustrazioni automaticamente perde una certa maturità, sono convinto che il successo di certi fumetti e graphic novel abbia aiutato a educare i lettori all’idea che il disegno può essere un importante valore aggiunto al racconto e non una sua semplificazione. D’altra parte i grandi classici dell’avventura e del mistero erano spesso illustrati.

Qual è il target di lettori che sperate di appassionare?

Eugenio: La parola target non è mai saltata fuori nella fase creativa del nostro lavoro. Grazie ai social abbiamo avuto un ritratto molto specifico dei nostri lettori, che sono divisi abbastanza equamente tra i generi, anche se con una prevalenza leggermente femminile, e di età compresa in linea di massima tra i 20 e i 30 anni. Ciononostante non mancano eccezioni ed è piuttosto trasversale.

Ernesto: Quando fai qualcosa sperando di appassionare qualcuno ti aspetta un doppio fallimento. Non esiste un gusto di massa, quindi la tua ricerca è inutile perché è impossibile indovinarlo, e magari per inseguirlo perdi di vista il tuo. Per fare le cose in maniera sincera bisogna appassionarsi e non cercare di appassionare.

Secondo voi quali dovrebbero essere gli ‘ingredienti’ che necessariamente un libro deve possedere per catturare l’attenzione di un giovane lettore, sempre più preso da computer e social?

Nicolò: Anche qui, avere come punto di riferimento le serialità può essere importante. Le serie tv moderne hanno dimostrato che il pubblico, anche quello giovane, è più che disposto a investire il proprio tempo e la propria attenzione su trame lunghe e articolate, purché siano anche soddisfacenti, pensiamo a Game of Thrones, a Dark, a Stranger Things. Se si ha per le mani una storia intrigante e la si riesce a raccontare con intelligenza, sono convinto che il lettore giovane sia quello più attento di tutti.

Irene: Credo che leggere un romanzo in forma di lettere, pagine di diario e appunti possa essere interessante per una generazione che comunica in tempo reale con tutto il mondo. Fa riflettere il fatto che la comunicazione di oggi sia sempre più scarna e si stia impoverendo. Forse per molti ragazzi tutta questa velocità e immediatezza possono essere un limite. Crediamo di essere liberi di esprimere ogni nostra opinione, ma anche nella nostra epoca ci sono molti ostacoli da superare per essere noi stessi. Un po’ come quelli che devono affrontare i nostri personaggi in Hedera.

Eugenio: Se da un’opera si riesce a percepire la passione degli autori, il pubblico viene da sé. Amor gignit amore, come dicevano i latini: l’amore genera amore.

Ernesto: I giovani si rifugiano in computer e social perché la vita li spaventa. Dunque in un libro mi sento di dire che dovrebbe esserci una storia che ti faccia venire voglia di trovare il coraggio di vivere la vita, e l’entusiasmo per cambiarla se fosse necessario.

Michela Conoscitore

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