Monoporzioni, cucinare insieme lo stesso piatto da innovatori sociali in pandemia

by Anna Maria Giannone

È in libreria Monoporzioni il libro generativo di ricette scritte per una sola persona.

Guglielmo Apolloni, social entrepreneur e changemaker apre il primo capitolo del libro MONOPORZIONI, con il saggio “La caduta (e rinascita) delle innovatrici e innovatori sociali”, che noi pubblichiamo integralmente.

La caduta (e la rinascita) delle innovatrici e innovatori sociali

Perché definire “sociale” un obbligo alla distanza fisica?

Chi ha deciso che stare vicini meno di un metro da un’altra persona non convivente significhi essere socialmente vicini?

E poi, improvvisamente, tutto si bloccò. E con il lockdown perdemmo gran parte dei nostri strumenti e il nostro ruolo.

Per prima cosa perdemmo la terza dimensione: quella dei “terzi luoghi”, ossia gli spazi pubblici e privati che non sono né lavoro né casa. Co-stretti nelle nostre case abbiamo imparato a stare bene in due dimensioni: l’altezza e la larghezza degli schermi.

Prima ancora però perdemmo la fiducia: prima la fiducia nei ristoranti cinesi, poi quella nei mezzi pubblici, infine quella in qualsiasi persona incrociassimo per strada. È strano come la mascherina nel suo coprire la bocca ti faccia abbassare anche gli occhi, diventati timorosi di compiere peccati. I nostri occhi, da sempre vettori di fiducia e complicità.

E saltando la fiducia salta la condivisione. Saltando la condivisione, salta l’ascolto. Senza ascolto non possiamo immaginare mondi diversi dai nostri, che invece vengono rinforzati dai messaggi mediatici televisivi o algoritmicamente tagliati per noi. Ricreare la capacità di fidarsi degli altri, del diverso da noi è un lavoro costoso, prende tempo, tanto, ed energia, tanta.

Perdemmo tanto altro, ma soprattutto perdemmo il nostro aggettivo preferito, dopo averlo tanto conteso con Facebook e gli altri. Cosa hanno infatti in comune l’Impresa sociale, l’Innovazione sociale e il Capitale Sociale con il Distanziamento… sociale?

Perché definire “sociale” un obbligo alla distanza fisica? Chi ha deciso che stare vicini meno di un metro da un’altra persona non convivente significhi essere socialmente vicini?

Al contrario: nelle metropolitane alle ore di punta, quanto più vicini stavamo, tanto più socialmente incazzati eravamo. Il distanziamento sociale è altro: è la distanza che decidiamo di mettere con chi crede in un’altra religione, con chi ha un diverso colore della pelle, paesello di nascita, numero civico, preferenze calcistiche, sì o no, orientamento sessuale, accettazione di una differente lunghezza delle sigle per chi non si identifica in uomo o donna, purezza degli ingredienti delle ricette da trattoria. Distanziamento sociale è essere divisi per unirsi solo quando si identifica il nemico, che solitamente è qualcuno più sfigato di noi, che possiamo fisicamente vedere nelle tv, nelle strade, ma con cui non ci è dato modo di conversare: e oggi siamo finalmente giustificati a tenerlo fisicamente distante da noi, che puzza.

Eppure in queste perdite, dalle macerie dei nostri credo, dopo le lacrime e il disorientamento, abbiamo visto le gemme. Sì, eravamo fisicamente distanti, ma socialmente vicini con i dirimpettai paninari con cui cantare la stessa canzone, dai balconi distanti. Eravamo socialmente vicini con le spese solidali. Lo eravamo con le brigate di volontarie e di volontari che, non potendo più attrarre nei loro terzi luoghi, sono entrati nei terzi luoghi altrui (gli androni delle scale) per portare la spesa a chi non poteva uscire di casa o non poteva permettersela. E le fiabe raccontate da sconosciuti ai bambini per telefono?

Grazie alle storie di vicinanza sociale abbiamo iniziato a interrompere sorde catene di numeri. Urla nella narrativa ogni giorno uguale per tutti: numeri di morti, infetti, intubati e ricoverati, percentuali di giovani e di anziani, studenti tagliati fuori dal percorso educativo perché privi di internet o computer, i numeri dei disoccupati e l’immancabile PIL.

Il nostro essere inermi davanti ai numeri della tragedia doveva essere spezzato, interrotto. Stanche e stanchi di ingerire il presente, ci siamo rimessi a cucinare il futuro, prendendo ingredienti da diverse parti, arrangiandosi con quel che c’era a casa o al negozio o supermercato più vicino.

Da qui nascono gli Smart Co.cooking. Abbiamo aperto le nostre cucine a persone sconosciute, per cucinare insieme lo stesso piatto in differenti modi, a seconda degli ingredienti e attrezzi a disposizione. A scambiarci consigli per capire quale ingrediente sostituire quando la farina non si trova sugli scaffali dei supermercati di Milano ma solo su quelli di Taranto. Imparare gli uni dagli altri, conoscere cucine diverse dalle nostre, metterci in gioco su ricette tradizionali con ingredienti sbagliati, oppure fusion con ingredienti improvvisati: sono ingredienti validi per la rinascita delle nostre vite. Costruire qualcosa insieme, un’unica ricetta divisa in tante monoporzioni diverse le une dalle altre, questo è stato il momento della rinascita.

Guglielmo Apolloni

Come Designer disegna e facilita processi che portano le persone a valorizzare l’efficienza e l’efficacia della collaborazione, diventando più antifragili al cambiamento.

Questo lo fa collaborando con alcune realtà come Social Seed, Shifton e Boundaryless. Come imprenditore sociale ha co-fondato School Raising, la prima piattaforma italiana di crowdfunding per finanziare progetti scolastici, e Mitosis, co-working e spazio eventi berlinese.

Secondo una ricerca condotta da Ashoka Italia nel febbraio 2015, Guglielmo è uno dei 12 changemakers più connessi in Italia. Lui sa essersi trattato di un errore.

Ogni tanto scrive qualcosa – sempre meno del voluto – cercando di apportare riflessioni interessanti, ma senza prendersi troppo sul serio. Questa volta ritiene di esserci riuscito.

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