Fuoco

by Massimo Fragassi

“Sii sempre, in ogni circostanza 

e di fronte a tutti, un uomo libero

e pur di esserlo, sii pronto

a pagare qualsiasi prezzo.”

S. Pertini

Un giorno di aprile, lontano.

Aprii gli occhi all’improvviso.

Nel vento l’odore delle viole annunciava che la bella stagione non era solo una promessa, e lo sguardo, ora perso, si tuffò nell’indaco di un cielo terso da nuvole e pensieri.

Sul viso una carezza calda, la stessa che spazzava l’erba, e nel cuore e nella testa la sua voce in lontananza che chiamava alla finestra…

Partii senza voltarmi, ché a vent’anni devi andare, e lo sapevo che le facevo male, ma la vita deve averlo un senso, non è per questo, le dissi, che mi hai messo al mondo? Allora strinse la mia mano, forte, come fossi un bambino di cui avere cura. “Portalo con te”, mi disse, ed era il suo calore. Ché una madre lo sa quanto fredda è la notte, e buia. Ché una madre lo sa, a cosa serve l’amore.

A questo pensavo, chiudendo gli occhi come schiudono le rose, piano, col timore di lasciare quella voce, il tepore, la sua mano, perché perderli di nuovo davvero non volevo. Non ora, non qui, ché mi sentivo solo.

Mio padre ripeteva che i ricordi salgono dal cuore senza una ragione, ché non sempre le parole esauriscono i pensieri. E non conta il luogo, il tempo o l’occasione, perché i volti e le parole s’insinuano nel vento, e a volte è sufficiente un cielo terso, e a volte ci perdiamo in un odore.

Aveva ragione. Tutto ciò per cui vale la pena è in un lampo di vita che diventa memoria. Di voci, di luoghi, di mani. “E’ quello il senso”, mi diceva. “E’ lì che un uomo deve tornare”. E io, in cuor mio, l’avevo sempre saputo: non era in fondo anche per questo che ero partito? Non era forse quello, il mondo che volevo salvare?

La mente era altrove e respiravo il silenzio, poi, d’improvviso, anche Lei si affacciò ai miei pensieri, come i mulini che bussano al vento, rubando il respiro alla brezza che s’alza.

“Sì che ti amo, ma tu non partire”, e lì si interruppe per non continuare, ché certe frasi sanno essere banali anche quando vengono dal cuore. Allora mi abbracciò trattenendo il respiro, come si afferra un pensiero che fugge, e nel silenzio cercò la sua pace, ché certe pene, le più profonde, non hanno voce. Quindi sorrise e nascose lo sguardo, finché il dolore non si fece bacio.

Fu questo il mio ultimo pensiero.

Nel vento l’odore delle viole annunciava che la bella stagione non era solo una promessa, e allora respirai, lento, quel tepore, come una scommessa vinta.

Aprii gli occhi sul ricordo del suo viso, di fronte a me cinque divise, poi un sorriso e cercai il sole sull’ultima frase: “Puntate… Mirate… Fuoco”.

 Prima.

“Vorrei che tu non amassi che me, vorrei”, le disse, e la baciò come mai avrebbe saputo, mentre altrove, non lontano, i bagliori della guerra imitavano le stelle.

Dicono che tutto si riduca a questa scelta: o vita o morte. E che nel mezzo si combatte ogni battaglia, si resiste, si lotta. Non per tutti, non per loro, ché la guerra era un tormento più profondo. E quando lei gli sussurrò “promettimi che torni”, capì di essere libero e prigioniero al contempo, come solo sa chi ama.

Una voce da lontano lo incalzò: “E’ tardi, andiamo”. Lei lo guardò una volta ancora, come si fissa un attimo che non vuoi dimenticare. Poi realizzò il paradosso, e quel pensiero le rubò un sorriso: la guerra di liberazione stava incatenando le loro vite. Il destino sa essere ironico, quando vuole.

«Qual è il prezzo della libertà?», gli chiese stringendogli la mano, stavolta più forte, «qual è il prezzo, amore, tu lo sai?».

Forse un bacio, di notte, prima di partire.

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