Ogni madre è per il suo bambino la madre migliore al mondo. Parola di psicologa

by Germana Zappatore

Se corri da lui ogni volta che piange lo vizi, sono solo capricci”. Alzi la mano la mamma che non si è sentita rimproverare con queste parole almeno una volta durante i primi mesi di vita del suo primogenito. È un classico, l’evergreen preferito dal tuttologo di turno in visita alla puerpera convinto che un bebè di pochi mesi abbia la prontezza psicologica e la malizia di ricattare i genitori con le lacrime per ottenere qualcosa.

Ora, non bisogna essere Freud o la Montessori per capire che un neonato non piange perché vuole il motorino, ma molto più probabilmente perché ha fame o qualche malessere come lo stress da ‘venuta al mondo’ (come mi piace chiamarlo). E dal momento che i neonati non sono dotati di parola e non sono ancora così autonomi da aprire il frigorifero e prepararsi un panino, riescono a comunicare queste esigenze del tutto naturali soltanto attraverso il pianto.

Non lo dico io, ma Christine Rankl, psicoterapeuta tedesca e co-fondatrice del reparto di psicosomatica neonatale presso il Wilhelminenstal di Vienna. Come accade per gli altri mammiferi i cuccioli di uomo hanno bisogno di rimanere vicini alla madre non solo per nutrirsi, ma anche per avere quel contatto avvolgente e rassicurante tipico dell’utero dove hanno vissuto per nove mesi e dal quale sono stati ‘strappati’. E ce lo ha confermato anche la dottoressa Filomena Patetta, psicologa e psicoterapeuta (oltre che mamma di due bambini).

“In realtà, ogni madre – ha spiegato la dottoressa Patetta – è per il suo bambino la madre migliore al mondo. Una mamma porta in grembo il suo cucciolo per nove mesi ed entrambi vivono in una simbiosi perfetta che continuerà anche dopo la nascita. Infatti, il bambino al momento della nascita cercherà solo lei, e soltanto la sua voce, il suo profumo, il suo calore saranno in grado di rasserenarlo, solo fra le braccia di sua madre si sentirà protetto e al sicuro”.  

E non solo. Una madre pronta a rispondere alle richieste del suo piccolo non correrà neppure il rischio di crescere un figlio ‘mammone’ che non sarà mai autonomo.

“Come dimostrato dagli studi del noto psichiatra J. Bowlby – ha precisato la dottoressa – quanto più la madre sarà pronta ad ascoltare il suo pianto e ad accudirlo, tanto più il bambino crescerà sicuro di sé e sereno. Infatti una madre premurosa e pronta ad assecondare i bisogni del proprio bambino rappresenta per quest’ultimo una ‘base sicura’grazie alla quale riuscirà ad allontanarsi da lei e ad esplorare con sicurezza e fiducia il mondo esterno. Anzi, paradossalmente, quanto più le madri risponderanno adeguatamente al loro pianto tanto prima i bambini si staccheranno da loro perché avranno acquisito la sicurezza indispensabile per sganciarsi da lei e per affacciarsi al mondo esterno con fiducia. Anche perché lo faranno con la certezza che se fuori c’è qualche pericolo la loro madre è sempre lì, pronta a proteggerli”.

Insomma, si tratta di un modo per acquisire fiducia in se stessi e nelle proprie capacità (se la mamma risponde al mio richiamo vuol dire che mi esprimo nel modo giusto), e questa sicurezza darà al bebè una certa stabilità emotiva che gli permetterà di diventare presto autonomo. Altro che mammoni!

“L’invito che va alle neomamme – ha concluso – è quello di affidarsi al proprio istinto di madre, di ascoltare il pianto del proprio cucciolo e di rispondergli prontamente. Al bando luoghi comuni che terrorizzano le madri e destabilizzano il loro sano istinto: un bambino che piange è un bambino che ha bisogno di sua madre, di protezione e di calore oltre che di soddisfare i suoi bisogni primari quali fame, sete, sonno. Non è ‘mammone’ e se la sua mamma risponde prontamente sta solo facendo quello che è giusto che vada fatto, non lo sta di certo viziando”.

Dunque, la relazione madre-bambino non va giudicata e tanto meno modificata: è perfetta così.

Germana Zappatore

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