L’eterno mondo di Vasco. Considerazioni eretiche di Alessandro Alfieri su un mito rock

by redazione

Torna, dal 29 al 31 luglio, a Civitanova Marche il festival Rocksophia, un viaggio verso le radici culturali della musica che abbiamo ascoltato in musicassetta e poi nei cd, che ora viaggia su Spotify, ma che ha saputo raccontare la società molto più da vicino di quanto non abbia fatto la cronaca o la storia.

Promosso dall’Associazione Popsophia, il festival animerà per tre giornate la cittadina marchigiana in compagnia di grandi nomi del panorama culturale italiano. Miti rock, icone pop e jazzismi: una contaminazione continua tra note e pensiero, una tre giorni – diretta dalla filosofa Lucrezia Ercoli – dedicata all’incontro tra musica e riflessione critica. Al centro dell’indagine filosofica saranno la vita e le produzioni di miti assoluti dell’universo musicale italiano come Vasco Rossi, Raffaella Carrà e Lucio Dalla. Tantissimi gli ospiti che rifletteranno sulla poetica dei tre, sui rimandi e le fusioni che hanno caratterizzato la loro composizione. Tra questi il giornalista Leo Turrini, la filosofa Ilaria Gaspari, l’esperto di comunicazione culturale Paolo Armelli, il critico musicale Carlo Massarini, l’autrice televisiva Claudia Bonadonna e molti altri ancora.

Con loro anche il filosofo ed esperto musicale Alessandro Alfieri che interverrà con un dibattito intitolato “Miti Rock” venerdì 29, alle ore 18 presso l’Hotel Miramare. Elementi eversivi e di rottura, musicisti che incarnano l’aspetto dionisiaco ma, talvolta, anche figli della cultura pop e frutto della macchina dello spettacolo: cosa rappresenta la figura del rocker?

bonculture anticipa alcune riflessioni dell’intervento di Alessandro Alfieri.

Quando dieci anni fa pubblicai per l’editore Mimesis, insieme al critico musicale Paolo Talanca, il libro dal titolo Vasco, il male. Il trionfo della logica dell’identico, la sollevazione da parte dei tantissimi fan della rockstar emiliana non si fece attendere, dal momento che la posizione del sottoscritto non era per niente lusinghiera nei confronti del “fenomeno Vasco”.

È quanto mai ovvio che molte delle cose sostenute in quel volume non continuerei a sostenerle con la stessa convinzione; tuttavia, l’analisi dei paradossi che caratterizzano il personaggio Vasco fin dalle origini, restano a mio avviso ancora valide oggi. D’altronde, partiamo dalla considerazione assolutamente incontestabile che Vasco è ed è stata la più grande star della musica italiana. Certo, c’è in Vasco un radicamento provinciale innegabile, non trasferibile nell’immaginario dello spettacolo globalizzato, perciò in questo diverso tanto dai Maneskin, ma anche dai più navigati Eros Ramazzotti e Laura Pausini per intenderci; ma se si studiassero i numeri delle vendite dei dischi e dei biglietti degli innumerevoli concerti-evento, nonché l’impatto che sull’immaginario del nostro paese hanno avuto Vasco e il vaschianesimo, ebbene, i paragoni sarebbero veramente pochi, soprattutto perché Vasco è stato l’asse che messo in comunicazione almeno quattro generazioni, cresciute con la sua musica a partire dall’adolescenza fino all’età adulta.

Vasco è un’autentica rockstar proprio per queste ragioni. La musica rock è la religione postmoderna per eccellenza perché non si limita a rendere manifesto un mondo per metterlo in mostra e testimoniarlo, ma fonda l’orizzonte nel quale si instaura la verità: noi percepiamo e abitiamo il mondo attraverso le canzoni e gli album che abbiamo ascoltato e con i quali siamo cresciuti. È anche vero che il rock nasce e vive all’interno di una tensione dialettica irrisolvibile, che è l’essenza della sua efficacia, la sua capacità di farsi motore dell’immaginario, ma nello stesso tempo anche la messa in evidenza della sua ipocrisia strutturale, del suo connaturato fallimento. Questo perché il rock è da sempre trasgressione, rottura delle convenzioni, blasfemia, ribellione, e contemporaneamente produzione musicale che nasce incardinata nell’orizzonte commerciale dell’industria culturale. I suoi rapporti col mercato, anche quando si pone in posizione di avversione, è sempre presente nelle sue intenzionalità comunitarie, nelle sue ambizioni di diffusione; anche quando si è trattato di canali di diffusione indipendenti, che tentano in tutti i modi di strapparsi dalle imposizioni del capitalismo culturale, quest’ultimo ha imparato a un certo punto – a partire dagli anni 90 in maniera sempre più evidente – ad assorbire la sua stessa negazione, come avrebbe affermato Mark Fisher. Si presenta il paradosso strutturale della musica rock che si manifesta in questa spirale dialettica irrisolvibile, dove in gioco sono la natura e il senso stesso del rock, la sua carica rivoluzionaria e contemporaneamente la sua funzione tardo-capitalista, ovvero la sua tendenza religiosa e quella commerciale: la carriera di Vasco, il suo successo, il suo ruolo culturale, la sua ipocrisia possono essere rintracciate proprio all’interno di quest’ordine di discorsi.

Quando si chiede a qualcuno, specie ai fan più affezionati, di definire Vasco, sono due le risposte più frequenti, diverse tra loro ma anche strettamente connesse da un punto di vista concettuale. Si dice di solito che “Vasco è un mito” oppure, in maniera ancora più radicale e non replicabile, “Vasco è Vasco”!

Cos’è un mito? Il mito è il fondamento, è la colla che tiene unita una comunità. Abbiamo bisogno di miti, non ci potremmo mai liberare di loro, e la mitizzazione nella nostra epoca emerge dai processi di idealizzazione che riguardano lo star system contemporaneo. Ora, uno è abituato a considerare il mito qualcosa di positivo, anzi di perfetto, di non ulteriormente migliorabile; ma proprio per questo il mito è principio statico, come sostiene la tradizione novecentesca che fa capo alla Scuola di Francoforte che ha messo in evidenza la natura regressiva del mito in quanto principio dell’identità reiterata e perpetuamente preservata, impedimento all’autentica rivoluzione e alla sovversione dei valori della tradizione. Il mito è ritorno dell’identico, è blocco. È impossibilità di critica. E qui veniamo al principio della pura tautologia dell’espressione identitaria della seconda definizione: “Vasco è Vasco”. 

Infatti i miti non solo raccontano, non si limitano a fotografare la verità e il mondo, o quantomeno anche quando sembrano fare solo questo, in realtà quel mondo lo fondano, lo creano. In tale circuito identitario, come tutte le grandi star della storia del rock, Vasco pone continuamente se stesso dettando le condizioni della reiterazione del suo successo, perché in un modo o nell’altro siamo tutti vaschiani e il mondo (magari “italiano” degli ultimi 30 anni) si è plasmato in base al messaggio di Vasco. Nel cuore del riflusso, Vasco ha promosso l’idolatria dello sballo, una trasgressione segnata dal rifiuto di aderire ai principi della modernità. Una svolta dalla cappa degli anni di piombo, a prezzo però dello svanimento delle logiche identitarie, svanimento tipico della “condizione postmoderna”.

Nella fase originaria, come era stato colto brillantemente da Pier Vittorio Tondelli, Vasco ha posseduto un’autentica portata rivoluzionaria, in quanto figura che mal tollerava le istituzioni e la cultura ufficiale, un bifolco provinciale inadeguato ai sistemi ufficiali della comunicazione, che si è trovato quasi per caso sul palco dell’Ariston nell’edizione di Sanremo del 1983. La dialettica della trasgressione e dell’opposizione radicale e sovversiva si blocca però nel giro di pochi anni: Vasco vince, il vaschianesimo diventa la logica di maggiore diffusione degli ultimi 30 anni, nel bene come nel male – questo ognuno può deciderlo in maniera autonoma! Il mondo si adegua a Vasco, mentre lui resta sempre lo stesso, in maniera coerente. I fatti della cronaca politica e sociale potrebbero confermare tale assunto in molteplici modi. Oggi però le adunate oceaniche dei vaschiani dovrebbero far riflettere: si tratta di un requiem di un tempo che fu, un tempo in cui Vasco era un riferimento essenziale? O forse continuare a idolatrare Vasco significa insistere sul fatto che senta tale bisogno, confermando anche la circolarità che esclude la possibilità di qualsiasi progresso e cambiamento?

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