Via Arpi e il degrado del centro storico. Gianni di Bari: “Torniamo a dare identità alle piazze”

by Antonella Soccio

Via Arpi a Foggia. Il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università e il Conservatorio Umberto Giordano, due tra le istituzioni di formazione più importanti, aprono e chiudono la strada più antica della città, che dai Tre Archi si dirige verso Piazza Piano delle Fosse, il Gargano e il mare. Nel mezzo, insieme alle due Fondazioni cittadine culturali, l’Apulia Felix e i Monti Uniti, più di 30 saracinesche abbassate, ormai chiuse- un cimitero commerciale e sociale- pari ad altrettante botteghe che non ci sono più.

Ha da poco chiuso, per trasferirsi altrove, anche un ristorante chic, aperto pochi anni fa con molte speranze dei soci e del talentuoso chef, il Mena Restaurant.

L’ennesima deflagrazione nella notte in centro storico, stavolta al locale Poseidon, le cui motivazioni sono tutte da accertare, ha ferito nel sonno una donna anziana ad un occhio e ha scheggiato rovinosamente una delle vetrate laterali della Cattedrale romanica.

Il declino e la marginalità del centro storico si vivono ad ogni ora: la sera però, nel buio e nella rassegnazione, si percepisce anche la tenace resistenza di chi, appassionatamente e in maniera forse romantica, continua a dare senso e corpo alla socialità delle piazze, invece di trasferirsi in qualche angolo illuminato delle nuove periferie edilizie.

Gianni di Bari, giornalista ed operatore culturale, è tra questi. Da qualche tempo insieme all’amico Leo De Santis ha rilevato uno spazio, Anime Brille, poco lontano da dove è scoppiato l’ordigno, in una delle piazze più suggestive della città, Piazza Federico II con l’omonimo pozzo. A lui abbiamo rivolto qualche domanda sullo stato attuale di degrado del centro cittadino.

Gianni, a Bari l’amministrazione sta curando un progetto per la valorizzazione turistica delle 240 edicole votive di Bari vecchia, che diventeranno un percorso per tutti i visitatori appassionati di devozione popolare, qui a Foggia, sembra che il centro storico non interessi più a nessuno. Si respira paura, con i cani antidroga per strada. Siamo ritornati al clima degli Anni Ottanta e della strage del Bacardi?

Il passaggio agli anni Ottanta non è sbagliato: questo quartiere è rinato grazie ai fondi Urban e all’amministrazione Agostinacchio e a Maria Rosaria Lo Muzio negli Anni Novanta. Quella era un’idea di politica: c’erano dei fondi specifici che sono stati utilizzati, a tratti bene a tratti male- per me la struttura di Piazza Mercato era orrenda ad esempio- e che esprimevano una politica, un concetto del centro storico. Quell’idea cercava di dare una nuova identità ad una zona che era un’altra periferia in città. Era complicato entrarci negli anni Settanta. Con Urban si inizia a pensare che il centro storico, come in tante parti d’Italia, potesse diventare, essendo il luogo in cui è nata una comunità e dove c’è la maggior parte di storia e cultura popolare, altro rispetto ai bassi e alle grotte.

Per certi versi la riqualificazione di Foggia cominciò anche prima di Bari Vecchia, no?

Sì, cominciò prima, Bari vecchia era enormemente peggio, era off limits, la sera calava il tramonto, non potevi entrare, se non eri conosciuto. C’erano scene che oggi vediamo nei film, con le vedette agli ingressi. Ci si perdeva con facilità perché l’illuminazione pubblica era scarsissima. Quella idea di centro a Foggia risultò allora vincente e sollecitò attività anche di carattere culturale.

Tu avevi all’epoca il Bellamì, vero?

Sì, sono arrivato dopo, era già il 1997, ma Urban stava ancora producendo qualcosa. Come il Bellamì c’erano tanti altri posti: il banale pub del centro storico era considerato un’assurdità prima di Urban. Urban ha significato pavimentazioni, luce, tendine fuori dai negozi, pulizia, riassesto generale della viabilità all’interno del centro storico. Una serie di cose che invogliavano a starci.

Quando si è interrotto questo percorso, secondo te? Il declino è cominciato già con l’Amministrazione Mongelli, di cui tu eri portavoce.

Sì, forse è iniziato anche prima. Il declino, dal mio punto di vista, è cominciato quando si è esaurita una spinta propulsiva di quelle politiche e non se n’è trovata un’altra.

Intendi nuovi fondi a cui attingere?

No, un’idea specifica per una zona peculiare. Non occorre dire: occupiamoci in maniera generale del centro storico, serve pensare a misure specifiche per gli slarghi, le piazze. Come creiamo sinergia? Come invitiamo alla partecipazione? Come costruiamo una identità? Qui invece, con l’affermarsi dei locali notturni, il criterio della identità è diventato la contrapposizione tra residenti, commercianti, esercenti e proprietari degli immobili. A noi, ad Anime Brille, è capitato pochissime volte di chiudere oltre le due di notte, ma la zona intera resta aperta e somministra alcol fino alle 5 del mattino. C’è gente per strada per un banale motivo: su Via Arpi non ci sono quasi più negozi e le poche attività aperte sono cicchetterie, ossia locali molto piccoli che vendono alcol.

I ragazzi restano fino all’alba? C’è da dire che anche loro sono diminuiti di numero.

I locali dovrebbero poter vivere il maggior numero di ore possibile, qui ormai è tutto ridotto a sole 3 ore. Dalle 23 in poi. I giorni feriali si finisce prima, nel weekend molto tardi. È questo un modello che non porta nulla, con tutto il rispetto per coloro che hanno le cicchetterie, fatta eccezione per coloro che somministrano alcol ai minorenni e sarebbe utile si facessero i nomi per non fare confusione tra persone perbene e non. Si è perso quello che era stato ricercato tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli Anni Novanta, manca un’idea identitaria per il centro storico, realizzata anche attraverso attività commerciali, con caratteristiche diverse.

C’è anche una colpa dei commercianti, che non hanno accettato l’isola pedonale in Via Arpi? C’è stato troppo conservatorismo? Si sono persi degli anni?

L’isola pedonale su Corso Vittorio Emanuele si potrebbe già fare. Secondo me l’occasione persa è stata la mancata riqualificazione di Piazza Mercato. Quel progetto dell’amministrazione Mongelli di sostenere anche finanziariamente, con l’affiancamento di Confcommercio, Cofidi, l’apertura di nuove attività e la riqualificazione di attività esistenti, non è stato portato avanti ed è stata una sconfitta.

Perché non è proseguito?

Lui non ce l’ha fatta perché è finito il mandato, fu smantellato il trenino, ma non c’era tempo e poi il progetto non è stato ripreso. Era una ipotesi emendabile, ma esprimeva una politica, una attenzione e un concetto. Una analoga attenzione, un analogo concetto e politica, ora non ne vedo.

Nel frattempo si disse che c’era un interesse di Coldiretti Campagna Amica, oggi sappiamo invece che il mercato di Coldiretti aprirà in Piazza Piano delle Fosse, in prossimità di Natale.

Sì, aprirà fuori dai Tre Archi. Sono scelte commerciali, a loro va bene così, non so perché abbiamo scelto l’ex ferramenta Lioce, ma ricordo che è uno spazio immenso. Il tema è cosa si fa col centro storico. C’è un dato di fatto, si è svuotato della parte adulta della popolazione, che si riversa in periferia. Qui arrivano solo ragazzetti dai 15 ai 25 anni.

Nel caso del vostro locale, i ragazzetti non hanno capacità di spesa

A loro non interessa questo tipo di offerta gastronomica e culturale. Non trovano riscontro. Il sabato sera Via Arpi è un tappeto di giovanissimi, hanno aperto altre due nuove cicchetterie.

Si affronta spesso il tema dell’Unifg. Quanto riesce a dare agli spazi che la ospitano?

Gli studenti ci sono, nelle cicchetterie. C’era un gruppo di studenti spagnoli che cantavano in pianta stabile fino alle 5. Sono entrate alle volte delle giovani Erasmus a degustare il Nero di Troia, questo tipo di contaminazioni c’è. Ma il centro storico è un posto di consumo, nel quale non ti interessa se dietro l’angolo c’è la presentazione di un libro e l’esibizione di un band jazz.

In questi 5 anni di offerte culturali, con l’assessorato e l’amministrazione Landella, ce ne sono state.

Sì ma tutte limitate a Piazza Battisti, al Teatro Giordano. Piazza Federico II è un palcoscenico naturale, ma viene ignorata. Sarebbe adatta al cinema all’aperto, ai concerti, c’è anche la pendenza. Invece i due lampioni qui non funzionano, il tratto di strada è illuminato solo quando apriamo noi.  

Quest’anno anche Libando “emigra” dal centro.

Quello ha un senso, forse. Piuttosto che concentrare tutto in uno spicchio di città, che è il Giordano, allargare la fruizione della città è positivo. L’alternativa era Piazza Mercato, ma non funziona. Ormai ha guadagnato una pessima fama e per come me la descrivono è una piccola comunità, più o meno a se stante, con cene in piazza. Ogni evento è percepito come una invasione.

C’è una collaborazione tra i commercianti? O ognuno è battitore libero?

No, stiamo provando a fare qualcosa insieme per l’8 dicembre, come commercianti di questo pezzo di Corso Vittorio Emanuele.

Cosa ti sentiresti di consigliare ai decisori politici?

Occorrerebbe spostare qui qualche evento culturale, per definire l’identità del centro storico, che non può essere solo il luogo delle cicchetterie. Mettiamoci altro, facciamo rivivere le belle piazze che ci sono, organizziamo un’idea che tenga conto della complessità di questo luogo. Serve creare una abitudine alla fruizione culturale per riprendere un processo che si è interrotto. Torniamo nelle piazze: gli adulti cercano i bei locali della periferia, perché qui si sentono fuori posto, ma lì manca la socialità.

Essendo oggi il centro storico un luogo di giovanissimi servirebbe un’offerta culturale a loro dedicata o no?

Certo, ma mettiamoci altro. Non solo i cicchetti.  

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