Benedetto Croce e le sue frequentazioni con illustri uomini di cultura del Gargano

by redazione

Ricorre quest’anno appena iniziato il settantesimo anniversario della morte del filosofo, storico, letterato e politico Benedetto Croce avvenuta a Napoli il 20 novembre 1952 all’età di 86 anni.

Di chiare origini abruzzesi, essendo nato a Pescasseroli (AQ), terminale dei tratturi della transumanza che partivano da Foggia, fin da ragazzo, anche per i cospicui interessi economici della sua famiglia, intrattenne frequentazioni con la provincia di Capitanata, capitale della Regia Dogana della Mena delle Pecore.

In particolare con famiglie legate dagli stessi interessi domiciliate in Foggia, Troia, Lucera, San Severo e Torremaggiore. Tra queste spiccava a Foggia l’importante famiglia Pedone che, a partire dagli eventi usurpativi post-unitari, aveva egemonizzato l’occupazione dei latifondi a pascolo della cosiddetta Puglia (la Pugghije).

Proprio un discendente di questa famiglia Pedone, il dottor Michele Bisceglia (1894 – 1967), Commendatore e poi Grand’Ufficiale, nonché primo Sindaco di Foggia nell’immediato secondo dopoguerra, di chiare origini mattinatesi per via paterna, e figlio di donna Rosina Pedone, fu il trait d’union tra don Benedetto Croce, al quale era accomunato anche dalla militanza politica nel Partito Liberale di cui Croce era Presidente, e alcuni tra i più eminenti personaggi del panorama culturale garganico di quel periodo.

Stiamo parlando di Alfredo Petrucci, Michele Vocino, don Nicola Quitadamo, professore universitario a Napoli nonché Arcidiacono della Reale Basilica di San Michele a Monte Sant’Angelo, e Ciro Angelillis.

Don Benedetto, come molto bene descrive lo storico Antonio Vitulli in un suo saggio, arrivando da Napoli, amava fare tappa proprio nel capoluogo Dauno e soggiornare nel rinomato Hotel Sarti lungo Viale XXIV Maggio nei pressi della Stazione Ferroviaria, albergo di cui apprezzava anche l’ottima cucina. Qui dava convegno ai suoi fittavoli coi quali discuteva dell’azienda di famiglia, ma anche a politici e uomini di cultura, a partire dall’editore Giovanni Laterza, il quale molte volte si muoveva da Bari per incontrare l’illustre personaggio.

Il dottor Michele Bisceglia, del quale va ricordato il mecenatismo, tante volte sottaciuto, a favore dei suoi amici letterati garganici sopra citati, era un assiduo frequentatore, nei suoi frequenti viaggi nel capoluogo campano, della casa napoletana di Croce, quel Palazzo Filomarino nei pressi della Basilica di Santa Chiara, lungo il Decumano inferiore a Napoli, già abitazione nel XVIII secolo del filosofo e storico Giambattista Vico, di cui Croce era un grande estimatore, casa predestinata fin da tempi più remoti a essere quella che il suo ultimo proprietario volle fosse quello che ancora oggi è, ovvero la sede dell’Istituto Italiano per gli studi storici e della “Fondazione Biblioteca Benedetto Croce”.

Mecenatismo concretizzato una prima volta nel 1948 con l’aiuto finanziario per la pubblicazione del libro di Ciro Angelillis “Mattinata nel Monte Gargano”, terzo volume della Collana Daunia – Edizione Il Rinnovamento, ma ancor di più nella monumentale opera dal titolo “Il Santuario del Gargano e il culto di San Michele nel mondo”, opera questa, come già la precedente su Mattinata, dedicata al dottor Michele Bisceglia “grande Signore di Foggia, ma di puro sangue garganico, alta personalità di Capitanata nel campo politico, economico e industriale” e all’Avvocato Giuseppe d’Addetta “pioniere della Rinascita garganica”.

I coniugi Bisceglia-Pedone

L’11 marzo 1956 Ciro Angelillis muore ad Arezzo all’età di 83 anni, mentre è in corso di stampa il II tomo dell’opera sul Santuario Micaelico: in appendice all’opera Giuseppe d’Addetta traccia il suo profilo biografico, mentre alla penna di Monsignor Quitadamo, dell’onorevole Michele Vocino, di Alfredo Petrucci e di Michele Bisceglia sono affidati i ricordi di amici garganici cui lo legavano comuni interessi culturali.

E proprio dalle pagine del dottor Bisceglia apprendiamo di un incontro con un già vegliardo Benedetto Croce avvenuto nell’aprile 1950 nella sua dimora di Palazzo Filomarino a Napoli.

Ma leggiamo.

Era l’aprile del ‘50, a Napoli, nel primo pomeriggio. Il sole dava colore e vita ad ogni angolo della città vecchia dei vicoli di Toledo.

Eravamo in tre a percorrere tutto intero il cammino che da Santa Lucia porta allo <Spaccanapoli> e di qui a Palazzo Filomarino.

Il Maestro della cultura italiana ci attendeva, ma la nostra attesa di parlarGli era anche maggiore della indicibile speranza coltivata negli animi, cioè la speranza che, nonostante le precarie condizioni di salute, Croce potesse riceverci.

Ricordo queste cose, care come poche altre, non a me, ma a quelli che leggeranno il Vostro libro, Amico scomparso.

Voi, amico Angelillis, Voi non sapevate di certo che in quel pomeriggio d’aprile, in casa del più illustre Uomo della Cultura italiana si parlò di Voi, del disegno Vostro di dedicare tempo ed energie alla ricerca di motivi nuovi (e più seri sul piano della storiografia) attinenti la storia garganica, i monumenti che ne sono la testimonianza, i costumi.

Il Maestro apprezzò gli studi “di quelli che si mettono dietro a cose che conoscono” e per amore delle verità”; ma aggiunse anche considerazioni le quali testimoniavano che l’opera era impegnativa e richiedeva davvero buona volontà e sincero amore”.

Antonio Latino

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