André Bazin fra realtà e fantastico

by Orio Caldiron

Straordinaria figura di critico cinematografico, forse tra i maggiori del Novecento, André Bazin nasce a Angers il 12 aprile 1918. Studia a la Rochelle, a Versailles, all’École Nationale Supérieure.

La sua affermazione avviene sullo sfondo del dopoguerra francese, ricchissimo di stimoli culturali. Se la Cinémathèque di Henri Langlois è il primo punto di riferimento in cui giovani e giovanissimi scoprono il cinema del passato e insieme la propria vocazione, l’ufficio di Bazin al 5 di Rue des Beaux-Arts è la sede di “Travail et Culture” che organizza le proiezioni di una vasta rete di cineclub, dove si ritrovano i primi discepoli, da Alain Renais a Chris Marker, da Alexandre Astruc il teorico della caméra-stylo a Janine Kirsch, la futura signora Bazin. Il più inquieto è il diciassettenne François Truffaut che ben presto accompagna Andrè nelle scuole, nelle fabbriche, nei club della banlieu in cui si infiamma la passione per il cinema prima delle tournée in Francia e in Europa.

Il movimento dei cinéphiles, che con le sue accese polemiche non passa certo inosservato, accentua la popolarità del critico attivo sui quotidiani e sui settimanali, ma a lungo fedele a “Esprit”. La collaborazione al mensile del cattolico Emmanuel Mounier non gli impedisce di ispirarsi nel ‘45 alla concezione sartriana dell’immaginario per Ontologia dell’immagine fotografica, il primo importante saggio su cui si fonda la sua idea del cinema della realtà: “L’opposizione che certuni vorrebbero vedere fra la vocazione di un cinema consacrato all’espressione quasi documentaria della realtà e le possibilità d’evasione nel fantastico e nel sogno offerte dalla tecnica cinematografica è, in sostanza, artificiale. Méliès e il suo Voyage dans la lune non è venuto a contraddire Lumière e il suo Arrivée d’un train à La Ciotat. L’uno è inconcepibile senza l’altro. Le grida d’orrore della folla impressionata dall’ingenua locomotiva di Louis Lumière preludevano alle esclamazioni degli spettatori del teatro Robert Houdin. Il fantastico al cinema è consentito solo dal realismo irresistibile dell’immagine fotografica. È essa a imporci la presenza dell’inverosimile, a introdurlo nell’universo delle cose visibili. Ciò che piace al pubblico nel fantastico cinematografico è il suo realismo, voglio dire la contraddizione tra l’oggettività irrecusabile dell’immagine fotografica e il carattere incredibile dell’avvenimento”. Ma quando esce a Parigi Quarto potere di Welles e Jean-Paul Sartre lo stronca perché troppo letterario e manieristico la reazione di Bazin è immediata e senza sconti.

La politica degli autori, la valutazione del cinema americano, la questione del realismo sono al centro dei “Cahiers du Cinéma”, la rivista che debutta nell’aprile 1951, rinnovando profondamente il panorama della cultura cinematografica. Diretta da Bazin e Jacques Doniol-Valcroze, vi scrivono Eric Rohmer, Jean-luc Godard, Jacques Rivette, François Truffaut, Claude Chabrol, che non nascondono il gusto della polemica e la diversità di opinioni. Certo, Rossellini e De Sica sono tra gli ospiti privilegiati della “serie gialla” come Renoir, Bresson, Chaplin, Welles. Ma Hawks, Hitchcock, Preminger, Ray, Ford occupano sempre più spazio soprattutto grazie ai preziosi intretiens. Quando l’11 novembre 1958 André Bazin se ne va a quarant’anni sopraffatto dalla tubercolosi, la generazione della Nouvelle Vague, dopo aver animato le pagine della rivista è ormai sul set, Chabrol con Le beau Serge, Godard con Fino all’ultimo respiro, Truffaut con I quattrocento colpi. Il numero di gennaio ’59 dei suoi “Cahiers” gli è dedicato con scritti e testimonianze di amici e cineasti, tra cui spicca quella di Buñuel: “Adorava gli animali, viveva circondato da un piccolo serraglio. Guardava questi esseri con un sorriso tenero e ironico, con un sorriso di bambino che i bambini non hanno”.

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