Silenzio, si spia!

by Orio Caldiron

Si pensa di solito agli Stati Uniti, ma questa volta il modello vincente viene dalla Gran Bretagna. Se il film americano è stato per tanto tempo il punto di riferimento del nostro cinema nazionale, negli anni sessanta a far scuola è la bondmania, lo strepitoso successo dell’agente segreto con licenza di uccidere e di amare – non tanto il primo Agente 007, Licenza di uccidere del 1962, quanto piuttosto il secondo A 007, dalla Russia con amore del 1963, entrambi di Terence Young – che rimbalza in una serie infinita di film spesso improbabili e approssimativi. Non diversamente avviene nello stesso periodo con l’uscita a pioggia dei fumetti neri, in una ossessiva ripetizione di formule che mandano all’aria i codici culturali pre-contestazione.

TRA IL PEPLUM E LO SPAGHETTI-WESTERN

Sarebbe tuttavia un errore sottovalutare il ruolo che ha avuto la fioritura di spy-story d’imitazione e dei fumetti neri che ha contribuito a sprovincializzare la scena italiana imponendo la forza delirante dell’immaginario. Non si allude tanto alla trasgressione sessuale che pur importante, ma al più ampio allargamento di confini, allo sdoganamento dell’altrove. La spy-story internazionalizza la città, moltiplica gli scenari urbani, familiarizza il pubblico italiano con Londra, Parigi, New York, Los Angeles, Hong Kong e introduce la dimensione del futuribile tecnologico, della possibilità dell’impossibile, mentre il fumetto nero punta sull’improbabilità delle imprese criminali, la moltiplicazione delle performances sessuali, la ripetitività degli eccessi visivi.

La breve parabola della spy-story italiana si consuma nel momento in cui i pepla, sopravvissuti all’ondata aggressiva ma circoscritta del filone sexy-notturno, cedono il passo all’avanzata irresistibile dello spaghetti-western. Mentre gli storico-mitologici non avevano superato i centosettanta film e i western all’italiana arriveranno a oltre quattrocento, lo spionaggio autarchico si afferma tra il ’65 e il ’67 con alcune centinaia di titoli, senza contare le coproduzioni. Soltanto un assaggio di mercato è Da 077: criminali a Hong Kong (1964) di Giorgio Stegani, il primo a servirsi di una sigla che passa subito di mano. Con lo pseudonimo di Terence Hathaway, Sergio Grieco riprende il personaggio dell’Agente 077, nome in codice di Dick Malloy, interpretato dal biondo e atletico Ken Clark, in Agente 077:missione Bloody Mary e Agente 077: dall’Oriente con furore, due film del 1965, che fin dai titoli rincorrono i prototipi bondiani con la scaramantica coazione a ripetere il modello, nella speranza d’impadronirsi della formula segreta del successo. La terza puntata è Missione speciale Lady Chaplin (1966) di Alberto De Martino, che arruola la “Bond’s girl” Daniela Bianchi nel ruolo della perfida antagonista e fa cantare Lady Chaplin a Bobby Solo.

MASSIMO SERATO, PERFIDO NEONAZISTA

Quanto a Ken Clark, spalle larghe e volto tagliato con l’accetta, rispunta in Tiffany memorandum (1967) e Rapporto Fuller, base Stoccolma (1968) – gli ultimi due spionistici di Grieco – nei panni di un giornalista e di un corridore automobilistico, coinvolti senza volerlo nel grande gioco tra Cia e Kgb, che la coesistenza pacifica ha attenuato solo in parte. 3S3 – protagonista della serie inaugurata da Agente 3S3: passaporto per l’inferno – è George Ardisson, un bello dei pepla che non ha bisogno di pseudonimi. L’agente segreto Jo Walker non salva il mondo da solo, come gli altri erori del filone spionistico, ma ricorre all’aiuto del capitano di polizia Tom Rowland. L’allegra scorrevolezza delle loro imprese – Dodici donne d’oro (1965), Operazione Tre Gatti Gialli (1966), Agente Jo Walker: operazione Estremo Oriente (1966), Strategic Command chiama Jo Walker (1967) – deve molto a Luciano Stella, in arte Tony Kendall, e al muscoloso Brand Harris, un team dalla risata facile, che sembra anticipare la coppia Terence Hill e Bud Spencer. Il regista Gianfranco Parolini – firma Frank Kramer, viene dal set dei pepla come i suoi protagonisti – attinge le storie dai romanzi tedeschi del Kommissar X di Bert F.Islande, ma non perde mai di vista i ritmi concitati del fumetto d’avventura.

Le spie amano i fiori

Umberto Lenzi è il solo che in A 008: operazione sterminio (1965) punti su un’eroina, la bionda Ingrid Schöeller accanto all’improbabile Alberto Lupo che il pubblico rifiuta perché troppo televisivo. Con Superseven chiama Cairo (1966) il regista ci riprova. Questa volta l’agente è l’americano Roger Browne, mentre il cattivissimo neonazista è il mito Massimo Serato e la spia doppiogiochista la bellissima Rosalba Neri. Il terzo spionistico di Lenzi è Le spie amano i fiori (1966), ancora con Browne, assieme a Emma Danieli e Yoko Tani. L’ultimo appuntamento è Un milione di dollari per sette assassini (1967), che s’imparenta qui con la storia criminale, senza dimenticare la seducente ambiguità di Erica Blanc, la bella di turno.

L’EFFETTO LEONE

Nello spionistico all’italiana si sente che è mancato l’”effetto Leone”, e cioè la forza di attrazione che un grande autore riesce a imprimere al genere. I registi più importanti del western avvertono solo marginalmente la suggestione di un genere estraneo alle loro corde. Nonostante un paio di titoli – da La sfinge sorride prima di morire-Stop Londra- (1964) a Kiss Kiss…Bang Bang (1966) – Duccio Tessari si sintonizza solo in parte con il gioco delle spie. Professionalmente ineccepibile è anche Bersaglio mobile (1967) di Sergio Corbucci, un action movie particolarmente violento più che uno spionistico, tutto girato a Atene, tra ladri internazionali, night club equivoci, microfilm nascosti nei denti del cadavere. Se Corbucci si accontenta di Paola Pitagora e di Graziella Granata,  Alberto Lattuada per Matchless (1967), una vacanza nell’esotico-avventuroso girata a New York, Londra, Scozia, Amburgo, mobilita la principessa Ira von Füstenberg, celebrità del jet set con aspirazioni da diva. Sceneggiato da Luigi Malerba, il film è divertente per il taglio all’americana di un regista che sa tenere a bada la sua cultura cinefila.

Matchless

Se con la saga di James Bond il cinema inglese si apre un varco nella supremazia americana, gli spionistici autarchici rappresentano la risposta dell’artigianato italiano, povero di mezzi ma ricco d’inventiva, alla scommessa britannica. Nello spionaggio nazionale, che aggira il pauperismo puntanto sull’iperbole, l’imitazione stinge nella parodia. Sulla distanza dal modello si basa James Tont, operazione U.N.O. (1965) di Bruno Corbucci e Gianni Grimaldi, ingenua presa in giro di Agente 007: missione Goldfinger, il terzo Bond firmato da Guy Hamilton. Le futuribili tecnologie dell’originale sono capovolte nei messaggi con lo sciacquone del bagno e nella modesta Fiat 500 in cui Lando Buzzanca dà la caccia a Loris Gizzi.

Il gioco continua con James Tont, operazione D.U.E. (1966) di Bruno Corbucci, in cui i cattivi prendono di mira la capitale, come suggerisce il nome in codice dell’operazione Distruzione Urbe Eterna. Il vostro super agente Flit (1966) di Mariano Laurenti rifà il verso a Il nostro agente Flint di Daniel Mann dell’anno precedente: il ruolo che nell’originale è di James Coburn viene qui impersonato da un biondo Raimondo Vianello, e bionda e anche la tremenda Raffaella Carrà. Dopo decine e decine di aiuto regie, è un film d’esordio che, tra Parigi, Berlino, Cortina d’Ampezzo, non esita a mettere in scena una misteriosa potenza extraterrestre decisa a impadronirsi del pianeta terra. Ma gli extraterresti hanno un punto debole: la paura dei pesci rossi.

LA PARODIA È INEVITABILE

Neppure Totò si sottrae ai diktat della parodia che mescola con suprema disinvoltura Lawrence d’Arabia e i primi film di James Bond nello sgangherato Totò d’Arabia (1965). Molto meglio Totò e Peppino divisi a Berlino (1962), che precede la bondmania con un esilarante pasticcio di guerra fredda, scambi di spie, irriducibili nazisti, muri berlinesi e bombe pronte a scoppiare. «Non ti muovere che scoppiamo per aria», dice Totò a Peppino. «Io non ti conosco, ma che me l’ha fatto fa’?San Gennaro mio, perché mi hai fatto capita’ vicino a questa carogna? A questa calamita in corpo?Fermo, non ti muovere per carità, non fare movimenti bruschi, arriva uno scoppio a ogni movimento. Specie con le parole. Controlla le parole, non pronunciare certe parole, soffia le sillabe, la p per esempio, la t, la c sono pericolosissime. Eh, già perché la p fa più-più, la t fa tà-tà, la c cium e saltiamo in aria».

Le spie vengono dal semifreddo

I più scatenati sono sin dall’inizio Franco Franchi e Ciccio Ingrassia con 002-Agenti segretissimi (1964) e 00-2 operazione Luna (1965), entrambi di Lucio Fulci, e Due mafiosi contro Goldginger (1965) di Giorgio Simonelli. Le spie vengono dal semifreddo (1966) di Mario Bava è un curioso pastiche a corrente alternata, dove il virtuosismo dell’impaginazione visiva prevale sull’efficacia degli spunti comico-parodici. Ma le sequenza di Franco che nel lager sovietico si nasconde nel pentolone degli spaghetti e di Ciccio, che allo specchio si misura con il proprio doppio sono irresistibili. L’ultima parola spetta a Come rubammo la bomba atomica (1967) di Fulci, sgangherato zibaldone in cui si ritrovano il Dottor Sì, James Bomb, Derel Flit, Modesty Bluff, gli agenti Spectrales, fino al finale con Franchi e Ingrassia che, rischiando di stravolgere gli equilibri dello scacchiere internazionale, nascondono la bomba nel giardino di casa.

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