Dal profondo degli archetipi, con le donne dell’arte contemporanea, riparte il Museo Novecento di Firenze

by Michela Conoscitore

Il Museo Novecento di Firenze, dopo due mesi di chiusura causa Covid, riparte e questa volta spera in modo continuativo. La ripartenza del museo civico fiorentino è rosa, perché sono ben quattro i percorsi artistici che attendono i visitatori, tutti firmati da donne. La donna, simbolo di vita, per il museo diventa anche sinonimo di rinascita con questi progetti significativi che non solo celebrano linguaggi artistici innovativi ma affermano con forza il ruolo sempre più preponderante delle donne nell’arte contemporanea. Di ciò, da sempre, si fanno ambasciatori il Museo Novecento e il suo direttore Sergio Risaliti.

Risaliti, nel corso della conferenza stampa, ha definito sciagurata la decisione di tenere chiusi i musei, luoghi sicuri e ad ingressi contingentati, quando altre attività aprivano. “Un dramma culturale che inciderà soprattutto sui più giovani, ce ne renderemo conto nei prossimi anni”, così il direttore ha concluso la sua amara riflessione sulla situazione attuale degli spazi culturali.

Emerge la particolare sensibilità che il Museo Novecento dimostra specialmente verso le nuove leve dell’arte contemporanea, alcune già lanciate nel panorama internazionale come Giulia Cenci, altre appena sbocciate e parecchio promettenti, come la lombarda Chiara Gambirasio, classe 1996. Nell’antico Spedale delle Leopoldine prendono vita i nuovi percorsi espositivi che si affiancano alla mostra imperdibile dedicata allo scultore Henry Moore.

Giulia Cenci è la protagonista di Duel, uno dei progetti del museo dove un’artista contemporaneo dialoga con un’opera delle collezioni del museo. Cenci ha scelto la scultura in bronzo Leone di Monterosso – Chimera di Arturo Martini. Tallone di Ferro è il nome della personale di Cenci che costruisce, intorno alla chimera di Martini, una selva di mostri meccanici, tanto che la scultura pare ne sia assalita. L’artista, tuttavia, racchiude la scultura in una gabbia come a proteggerla da quelle creature di ferro che la assediano, questo perché Cenci afferma con forza il fallimento della società industriale di cui appunto rimangono solo dei resti. Invece la chimera, simbolo di un’epoca, mitologica e artistica, solo apparentemente superata, sopravvive e resiste.

Giulia Cenci, Chimera

L’architettura è un mestiere da uomini, ma ho sempre fatto finta di nulla”, parola di Gae Aulenti: da qui parte la riflessione per l’appuntamento del museo Novecento con l’architettura, Il tavolo dell’architetto. Gender Gap, a cura di Laura Andreini, ha raccolto i progetti di venti architette attive a livello mondiale per raccontare questo mestiere, ancora ammantato da un’aura maschilista. Attraverso le testimonianze femminili si “prende atto della disparità di genere ed individuare le strategie per superarla”, come affermato dalla curatrice Andreini.

Titina Maselli-Salvatore Ferragamo

Salendo al primo piano nel loggiato del museo, spazio usualmente destinato ad accogliere le personali dei giovani artisti, prendono vita i sogni su tela della giovanissima Chiara Gambirasio. “Istruzioni di volo rappresenta il debutto di Chiara in un museo”, racconta Risaliti che prosegue, “ricava dall’immaginario del profondo degli archetipi che emanano una forte energia”. Le piccole composizioni artistiche di Gambirasio raccontano di mondi intimi dove il colore detta le regole di un’esistenza ai limiti tra il mondo reale e quello dell’artista. Definito dalla stessa Gambirasio Kenoscromia, la vibrazione cromatica nel e del vuoto, le opere dell’artista lombarda estraniano trasportando il visitatore in una dimensione onirica bambina, che spicca appunto il volo per discostarsi dal reale.

Si chiude, in bellezza, con il primo percorso espositivo del ciclo Étoile: protagonista La Divina, Greta Garbo ritratta dalla pittrice Titina Maselli. L’opera, facente parte delle Collezioni Civiche fiorentine, racconta una delle dive più misteriose del Novecento attraverso una raffigurazione ideale in cui Maselli la disegna col bavero dell’impermeabile alzato e l’inconfondibile sguardo della diva svedese a scrutare il visitatore, come se lo stesse redarguendo per le sue occhiate troppo insistenti. In esposizione, grazie alla collaborazione del Museo Ferragamo e di Stefania Ricci, alcune delle calzature che Salvatore Ferragamo, il calzolaio delle dive, confezionò per Greta Garbo. Comode e funzionali, le scarpe dell’attrice erano fatte per camminare non per apparire, quindi nessun divismo ma solo tanta normalità. “Lo studio dei suoi piedi mi dice chiaramente che ha una personalità sicura ed equilibrata”, affermò Ferragamo.

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