Amartìa, l’inno al peccato di Ninfa Giannuzzi e Tosca in piazza a Galatone

by Paola Manno
Tosca e Ninfa Giannuzzi

Questo è un inno al peccato, un invito al peccato, che rivolgo, prima di tutto, ai miei figli, e a voi spettatori! – Con queste parole Ninfa Giannuzzi, sui gradini di una chiesa, in una piazza barocca di un paese salentino, Galatone, introduce il suo nuovo progetto artistico che ha un nome bellissimo: Amartìa, in greco, appunto, il peccato.

L’artista calimerese lo svuota da ogni senso di colpa, di frustrazione, dall’accezione più cupa e cattolica, e lo riporta al suo significato più coraggioso: il peccato è simbolo di curiosità, è simbolo di intelligenza! Mentre lo racconta al suo numerosissimo pubblico, è impossibile non pensare all’angelo splendente dello struggente Paradiso Perduto, di John Milton, ai fiori del male e a Borges: Se la sete deve bruciarmi, che già mi bruci.

Ninfa è una donna che è sempre alla ricerca di qualcosa: versi antichi, suoni nuovi, legami tra gli uni e gli altri, parole diverse per esprimere lo stesso amore, spazi lontani che si avvicinano, poesia –la musica è sempre poesia- che fa rima con cammino.  Parlare con Ninfa fa bene al cuore: nota per il legame con la pizzica, volto storico e già membro della notte della Taranta, è in realtà una convinta sperimentatrice: la sua musica non si stanca di confrontarsi, di mescolarsi; stasera ascoltiamo la tradizione, ascoltiamo la Puglia ma pure la Calabria, la Grecia, e Roma, ci sono brani che accompagnano teneramente l’amore e c’è la grinta di un’anima che è anche rock. Il mio vicino di sedia, questa sera, chiude gli occhi e dice “mi sembra di sentire addirittura i Metallica!”. Ecco, quello che scalda il cuore: il coraggio dell’incontro.

Amartìa segue un filo rosso attraverso storie minime, popolari, racconti di tentazioni e azzardi, come la riproposta di canzoni ormai consolidate nella tradizione spogliati da orpelli e stereotipi interpretativi.  Gli arrangiamenti e le nuove composizioni in lingua grika parlano di fioriture notturne, animali parlanti e riti propiziatori alla rinascita dell’istinto e dell’ingovernabilità dei sentimenti e dei destini.

Accanto a lei, sul palco, Tosca, cantante e attrice eclettica, ricercatrice musicale e sperimentatrice, da sempre affascinata dalle musiche di tutto il mondo.

“Tosca per me è stato un faro nell’incertezza di essere, di definirmi una cantante. Quando sei bambino, è semplice dire- Voglio cantare!, più difficile continuare a crederci, a farlo, da adulta, come mestiere. Tosca è una donna integra che si è dedicata alla musica senza piegarsi a niente se non a quello che ha fatto”.  “Ci siamo conosciute 3 anni fa – racconta Tosca – grazie a Carmen Consoli, allora maestra concertatrice della Notte della Taranta. Per questo progetto, Ninfa mi ha detto Portami Roma! Per me Roma è una ninna nanna antica”. Un racconto al femminile, un sodalizio, uno scambio, un abbraccio. Dalla canzone della rosa a Kali Nifta alla struggente Aremu rindineddha,  sul palco le due voci si intrecciano e il pubblico canta insieme versi antichi. Insieme a loro un’altra donna, Shadi Fathi, polistrumentista iraniana, artista intensa: il suo nome significa gioia, nei suoi strumenti c’è il vento del medio oriente. Gli arrangiamenti sono dell’arrangiatore e chitarrista Valerio Daniele. Sul palco anche Giorgio Distante, Dario Congedo e Federico Pecoraro.

Il verde brillante, il blu intenso e il rosso fuoco degli splendidi acquerelli di Egidio Marullo, proiettati sulla facciata della chiesa, accompagnano la voce di Ninfa, e la sua vita. Mi volto: in fondo alla piazza c’è un pittore che dipinge di fronte a una telecamera collegata al proiettore: è un’estemporanea ispirata alla musica, un momento artistico intenso e felice. 

Tra un brano e l’altro, Ninfa racconta di una lingua dimenticata, il griko, dei condizionamenti e costrizioni che obbligano al rimorso, al peccato, all’errore e al tradimento. Amartìa è  quindi soprattutto una rinascita che suona al tempo stesso come un’imprecazione, una invocazione, l’unico sentiero percorribile, insomma. Non è un caso, credo, che Ninfa utilizzi molte volte la parola “resistenza”. Una parola che si lega alla tenacia, alla speranza, al coraggio. Se dobbiamo entrare nel deserto, io sono già nel deserto. Se la sete deve bruciarmi, che già mi bruci. Se devo entrare nella solitudine, io sono già solo. Se la sete deve bruciarmi, che già mi bruci.

Le foto sono di Renato Colaci

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