«Accompagniamo gli spettatori in un percorso di emancipazione». L’ironia e la leggerezza di Castel dei Monti raccontate da Riccardo Carbutti

by Anna Maria Giannone

Un festival per sfidare la paura, colmare la distanza, ricominciare ad essere comunità attorno all’arte. Torna anche quest’anno ad Andria Castel dei Mondi, da 25 edizioni appuntamento di avvio dell’anno teatrale pugliese, preziosa occasione di incontro con le arti performative internazionali, le prime nazionali più ricercate e ponte fra linguaggi artistici diversi. Sfidando le insidie del virus la magia di Castel dei Mondi non si arresta e persegue nella sua missione: «rendere l’arte e la cultura più accessibili a chi ne ha più bisogno: oggi per difenderci da un nemico terribile e insidioso, domani per tornare a fiorire».

All’ombra di Castel del Monte, tra le chiese ed i castelli, i piccoli musei ed i palazzi storici, i vicoli, gli slarghi e le terrazze di Andria dal 27 agosto all’11 settembre si dipanerà un programma fatto di prime nazionali, talk, musica, installazioni e laboratori. Un festival fortemente voluto dalla Città di Andria con il sostegno dalla Regione Puglia e organizzato dal Teatro Pubblico Pugliese. A parlarci di questa nuova edizione di Castel dei Mondi è il suo direttore artistico, Riccardo Carbutti.

Il festival festeggia quest’anno le nozze d’argento con la città di Andria. Quale il tragitto percorso in queste 25 edizioni?

Per una città di provincia come la nostra, da 10 anni senza teatro, Il risultato più importante è quello di realizzare da così tante edizioni un festival di teatro internazionale e multidisciplinare. Teatro significa luogo da cui si guarda ma guardare non sempre significa saper vedere. Il nostro è un festival completamente finanziato da enti pubblici, per questo deve avere principalmente una funzione pubblica. La nostra missione principale anno dopo anno, è stata quella di accompagnare gli spettatori in un percorso di emancipazione. Nel corso di queste edizioni il festival ha dato a tutti i suoi fruitori gli strumenti per tradurre in pensiero ciò che si guarda, anche senza conoscere. I risultati sono abbastanza eclatanti, un pubblico sempre più ampio, trasversale che si è contaminato e ibridato. La maggior parte dei festival è fatto per segmenti specifici di pubblico, il nostro fa incontrare pubblici diversi. Il terzo punto importane, per noi che lavoriamo per il Comune di Andria è il sostegno dato a un’intera generazione di ragazze e ragazzi e la spinta a coltivare la propria passione per le arti. Chi ha voluto ha continuato a studiare e approfondire. Questo è il risultato più importante che Castel dei Mondi ha dato alla sua comunità.

Ci sono storie di pubblico passato poi dall’altra parte del palcoscenico?

Ci sono tanti esempi, alcuni spettatori hanno fatto di questa passione una professione: oggi sono attori, tecnici, organizzatori di compagnie nazionali, scenografi. Ma il rapporto con il festival ha creato idee nuove anche in chi ha deciso di fare altro nella vita. Mi piace raccontare la storia di un nostro spettatore, un fisico che al termine del suo percorso di laurea si è fatto promotore di un progetto internazionale mettendo in rete numerose università europee. L’obiettivo della sua ricerca è quello di dare un’immagine ai suoni dell’universo. L’idea è scaturita dalla visione di una delle performance più iconiche di Castel dei Mondi, l’installazione Magic Carpets di Miguel Chevalier a Castel del Monte del 2014.

Nella presentazione del festival avete sottolineato il ruolo degli operatori artistici, chiamati ora più che ami a un esercizio di inclusione. Castel dei Mondi come opera in questo senso?

Ci stiamo provando attraverso la partecipazione diretta degli spettatori alle attività del festival. C’è quest’anno un progetto speciale messo su direttamente dall’Assessorato alla Bellezza del Comune di Andria diretto da Daniela Di Bari – “Le persone al centro” – che ha coinvolto una serie di realtà associative locali molto attive, chiamate a creare iniziative assieme ai cittadini, utilizzando gli spazi urbani della città. Poi ci sono i laboratori e ancora le azioni installative nella città, penso al lavoro di alcune illustratrici andriesi che hanno illuminato con i loro disegni i palazzi abbandonati del centro storico e, ancora, quello di un gruppo di artiste donne che hanno lavorato alla creazione di pannelli, esposti sui balconi dei condomini delle vie del centro di Andria. Sono azioni di ricucitura del festival con gli spettatori dopo questo anno e mezzo di emergenza sanitaria in cui si eravamo un po’ smarriti.

Questo festival ha il compito un po’ arduo di riportare il pubblico pugliese a teatro dopo la sospensione. Che aria c’è?

A pochi giorni dall’inizio abbiamo già la metà degli spettacoli tutti esauriti e c’è un continuo flusso di gente. Abbiamo uno zoccolo duro di pubblico affezionato che ci segue in ogni caso, che si fida di quello che proponiamo in qualsiasi modo. Mi rendo conto però che la questione esiste. La Regione Puglia si è comportata in maniera eccellente garantendo in questo anno e mezzo, con il suo sostegno, la conservazione delle realtà dello spettacolo dal vivo pugliesi. Ora tocca agli operatori pugliesi lavorare al meglio per evitare questa emorragia continua di spettatori. I dati nazionali sono impietosi, c’è una disaffezione che rasenta il 90% su alcuni segmenti.

Venendo alla programmazione, quali sono i temi guida su cui si muove?

I concetti base che ci hanno guidato nella ricerca degli spettacoli sono legati a un sentimento, abbiamo voluto lavorare sulla leggerezza e l’ironia. In questo solco abbiamo scelto spettacoli che comunque elaborassero un pensiero profondo, una complessità. Su tutto il lavoro che si sviluppa in questa edizione aleggia la presenza inquietante dell’opera gigantesca dell’artista tasmaniana Amanda Parer che he rielaborato in chiave contemporanea l’immagine del Pensatore di Rodin: un’installazione alta più di 13 metri che sta lì a farci riflettere su cosa è andato storto in questo anno e su come possiamo intervenire per liberarci dalle fragilità di questo tempo. Il festival si articola poi in diverse sezioni, in quella di “Shakespeare con altri occhi” avremo modo di vedere il lavoro di Babilonia Teatri. Il gruppo, Leone d’argento alla Biennale Teatro, ha convinto due mostri scari del teatro di prosa come Ugo Pagliai e Paola Gassman a mettersi in gioco in un “Romeo e Giulietta” letto in chiave attuale, il risultato è davvero commovente. Poi c’è un caro amico del festival, Gianfranco Berardi con il suo “Amleto Take Away”, un Amleto immerso nei giorni nostri, in rapporto con la contemporaneità più stringente. Nella sezione dedicata ai debutti delle produzioni nazionali avremo il nuovo spettacolo di Massimiliano Civica, un Eduardo De Filippo inedito e per certi versi oscuro, e la scheggia impazzita dei Supershock. il gruppo torinese, partendo dal dato eclatante sull’impennata di fruizione dei siti porno in questo periodo di pandemia, darà forma a un concerto lisergico, sonorizzando immagini licenziose del cinema anni ’20. Altra costante del festival è il sostegno alle giovani compagnie. Anche quest’anno abbiamo individuato una compagnia nata dalla scuola Paolo Grassi, gli Ensamble Teatro, che porteranno in prima nazionale il loro lavoro “Venire al Mondo”. Questo è tanto altro compone il programma della 25esima edizione.

La parte internazionale del festival per forza di cosa è venuta meno. Cosa ci stiamo perdendo?

Avremmo voluto portare lavori dagli Stati Uniti, dalla Francia, dall’Armenia. Non abbiamo voluto rischiare per questioni logistiche ma la sezione internazionale è solo sospesa. Torneremo il prossimo anno a portare in Puglia il nostro sguardo sulla scena estera.

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